Nell’affollato scenario internazionale contemporaneo, nuove forme di potere affiancano e ridefiniscono i tradizionali strumenti di affermazione degli stati entro la dimensione sovranazionale. Il soft power (Nye, 1990, 2005, 2012), cioè la capacità di imporre la propria agenda internazionale tramite l’attrazione esercitata da cultura, valori e stili di conduzione della politica estera, è sempre più rilevante quando si assume che, nella società in rete, l’imposizione di un significato sia una forma di potere (Castells, 2009). Definire il senso degli eventi, così come gli attributi degli attori concorrenti, trasforma le relazioni internazionali in un processo interattivo di costruzione di senso, in cui gli stati aspirano, anche in chiave competitiva, a definire quanto sia legittimo, e quindi ‘normale’, nell’ambiente sovranazionale, determinando così il social power come incessante modellamento delle percezioni, inglobato nelle relazioni istituzionali o divulgative (Van Ham, 2010). Questo perché le narrazioni costituiscono la realtà delle relazioni internazionali per la maggior parte degli individui, che fondano il proprio giudizio sulla politica mediata: in tal senso, le narrazioni diventano uno strumento strategico di coltivazione delle opinioni pubbliche; di definizione della realtà; di selezione degli elementi di autorappresentazione (Miskimmon, O’Loughlin, Roselle, 2012, 2013). Per tale ragione, anche i tradizionali strumenti di gestione delle opinioni pubbliche internazionali, come la diplomazia pubblica (Gilboa, 2000, 2001; Melissen, 2007), devono adeguarsi al nuovo ambiente mediale ibrido (Chadwick, 2013). La pratica del presenziare lo spazio digitale (Couldry, 2015), così, rafforza e amplifica i tentativi di autorappresentazione diplomatica, di consuetudine deputate alla familiarizzazione alle politiche internazionali di uno stato tramite campagne diplomatiche o il condizionamento dei frame attraverso i media broadcast (Entman, 1993, 2008; Livingston 1997, 2011; Robinson, 2002, 2011). Internet permette di sfruttare la moltiplicazione dei centri di potere e di immettere informazioni nei propri termini, inserendosi nelle reti orizzontali costruite sulla mutua affinità che definiscono lo spazio (e il tempo) dell’interdipendenza (Volkmer, 2014). Così, gli stati sfruttano le piattaforme di social networking per immettere informazioni di narrazione autobiografica che contribuiscono alla costruzione simbolica delle proprie identità (cfr. Marinelli, 2004), selezionando, come nelle iniziative di nation branding, gli aspetti rilevanti che si crede possano delineare la riconoscibilità e la differenziazione internazionale, seppure spesso volutamente stereotipe, o appiattite sui dettami del linguaggio del consumo (Anholt, 2006, 2007; Aronczyck, 2008, 2013), esplicitando, tuttavia, la volontà di imporre un frame alla nazione (Van Ham, 2010) che contribuisce alla naturalizzazione delle conoscenze (Couldry, 2015) intorno alla politica internazionale e le rappresentazioni statuali. In tal senso, la diplomazia digitale si impone come strumento di disvelamento di identità: ciò emerge dalle azioni e le modalità con le quali si stabilisce la propria presenza in rete; i contenuti che vengono immessi; l’appartenenza e il sostegno alle comunità virtuali. Si è quindi indagato come, attraverso la presenza nei principali social network sites (Twitter e Facebook) gli stati contribuiscano alla promozione e alla definizione delle narrazioni strategiche della politica estera, rivolte anche a pubblici esteri (si è considerato come indicatore di tale volontà l’utilizzo dell’inglese ove questa non è la lingua madre). Sono quindi stati analizzati gli account dei Ministeri degli Esteri di quattro stati (Stati Uniti, Israele, Francia e Svezia) per un periodo di tre mesi (01/09/2015-30/11/2015), monitorando il quotidiano flusso di informazioni immesse e la capacità di sfruttare gli elementi messi a disposizione dalle piattaforme stesse (link, hashtag, menzioni, elementi multimediali). Tale analisi tematica ha evidenziato la presenza di modelli rappresentazionali e sintomatiche differenze. Gli USA accentuano la propria moralità e la vocazione al servizio della leadership internazionale in favore della stabilità collettiva. Israele restaura la propria immagine attraverso la rappresentazione sinergica della contestazione dell’ambiente istituzionale internazionale, il vittimismo nelle questioni di sicurezza interna e l’enfasi sul conformismo a stili di vita ‘occidentali’ e globalizzanti. L’identità francese si esplicita tramite il riferimento a valori domestici e diplomatici tradizionali e l’integrazione con l’ordine internazionale che emerge anche dalle manifeste crisi di sicurezza. La Svezia pubblicizza la partecipazione alle organizzazioni internazionali come strumento di disvelamento dei propri valori e politiche interne e in tal modo enfatizza la propria affermazione (e necessità) internazionale nell’ambito della niche diplomacy. I temi trattati mostrano una ricorrente volontà di mostrare l’intento di cronaca e di ‘diretta’ tramite la segnalazione della partecipazione a eventi rilevanti. A questi, USA, Svezia e Francia aggiungono l’interesse per quelle che sono state definite ‘nuove issues’, cioè quelle questioni, non tradizionalmente espressione della politica tradizionale, che agiscono sulla ‘presentabilità digitale’, andando a esplicitare la volontà di migliorare l’ambiente globale, o il voler fornire gli strumenti di empowerment individuale, ridefinendo in tal modo le questioni che diventano problemi di sicurezza collettiva (si pensi al clima); le quali assumono tale significato anche perché instradate nelle reti e nei flussi informativi che rispondono alle affiliazioni volontarie e individuali. Tra le caratteristiche strutturali, connesse alle affordances della piattaforma, emerge una sistematica e ricorrente sottovalutazione degli individui in rete (siano questi portatori d’opinioni o divulgatori di messaggi), dimostrando che la logica sottesa alla presenza in rete sia quella che attiene alla ricostruzione (auto)biografica e all’autorappresentazione selettiva
e-Diplomacy. Autorappresentazione dello stato e narrazioni strategiche della politica estera in rete / Massa, Alessandra. - (2017 Feb 27).
e-Diplomacy. Autorappresentazione dello stato e narrazioni strategiche della politica estera in rete
MASSA, ALESSANDRA
27/02/2017
Abstract
Nell’affollato scenario internazionale contemporaneo, nuove forme di potere affiancano e ridefiniscono i tradizionali strumenti di affermazione degli stati entro la dimensione sovranazionale. Il soft power (Nye, 1990, 2005, 2012), cioè la capacità di imporre la propria agenda internazionale tramite l’attrazione esercitata da cultura, valori e stili di conduzione della politica estera, è sempre più rilevante quando si assume che, nella società in rete, l’imposizione di un significato sia una forma di potere (Castells, 2009). Definire il senso degli eventi, così come gli attributi degli attori concorrenti, trasforma le relazioni internazionali in un processo interattivo di costruzione di senso, in cui gli stati aspirano, anche in chiave competitiva, a definire quanto sia legittimo, e quindi ‘normale’, nell’ambiente sovranazionale, determinando così il social power come incessante modellamento delle percezioni, inglobato nelle relazioni istituzionali o divulgative (Van Ham, 2010). Questo perché le narrazioni costituiscono la realtà delle relazioni internazionali per la maggior parte degli individui, che fondano il proprio giudizio sulla politica mediata: in tal senso, le narrazioni diventano uno strumento strategico di coltivazione delle opinioni pubbliche; di definizione della realtà; di selezione degli elementi di autorappresentazione (Miskimmon, O’Loughlin, Roselle, 2012, 2013). Per tale ragione, anche i tradizionali strumenti di gestione delle opinioni pubbliche internazionali, come la diplomazia pubblica (Gilboa, 2000, 2001; Melissen, 2007), devono adeguarsi al nuovo ambiente mediale ibrido (Chadwick, 2013). La pratica del presenziare lo spazio digitale (Couldry, 2015), così, rafforza e amplifica i tentativi di autorappresentazione diplomatica, di consuetudine deputate alla familiarizzazione alle politiche internazionali di uno stato tramite campagne diplomatiche o il condizionamento dei frame attraverso i media broadcast (Entman, 1993, 2008; Livingston 1997, 2011; Robinson, 2002, 2011). Internet permette di sfruttare la moltiplicazione dei centri di potere e di immettere informazioni nei propri termini, inserendosi nelle reti orizzontali costruite sulla mutua affinità che definiscono lo spazio (e il tempo) dell’interdipendenza (Volkmer, 2014). Così, gli stati sfruttano le piattaforme di social networking per immettere informazioni di narrazione autobiografica che contribuiscono alla costruzione simbolica delle proprie identità (cfr. Marinelli, 2004), selezionando, come nelle iniziative di nation branding, gli aspetti rilevanti che si crede possano delineare la riconoscibilità e la differenziazione internazionale, seppure spesso volutamente stereotipe, o appiattite sui dettami del linguaggio del consumo (Anholt, 2006, 2007; Aronczyck, 2008, 2013), esplicitando, tuttavia, la volontà di imporre un frame alla nazione (Van Ham, 2010) che contribuisce alla naturalizzazione delle conoscenze (Couldry, 2015) intorno alla politica internazionale e le rappresentazioni statuali. In tal senso, la diplomazia digitale si impone come strumento di disvelamento di identità: ciò emerge dalle azioni e le modalità con le quali si stabilisce la propria presenza in rete; i contenuti che vengono immessi; l’appartenenza e il sostegno alle comunità virtuali. Si è quindi indagato come, attraverso la presenza nei principali social network sites (Twitter e Facebook) gli stati contribuiscano alla promozione e alla definizione delle narrazioni strategiche della politica estera, rivolte anche a pubblici esteri (si è considerato come indicatore di tale volontà l’utilizzo dell’inglese ove questa non è la lingua madre). Sono quindi stati analizzati gli account dei Ministeri degli Esteri di quattro stati (Stati Uniti, Israele, Francia e Svezia) per un periodo di tre mesi (01/09/2015-30/11/2015), monitorando il quotidiano flusso di informazioni immesse e la capacità di sfruttare gli elementi messi a disposizione dalle piattaforme stesse (link, hashtag, menzioni, elementi multimediali). Tale analisi tematica ha evidenziato la presenza di modelli rappresentazionali e sintomatiche differenze. Gli USA accentuano la propria moralità e la vocazione al servizio della leadership internazionale in favore della stabilità collettiva. Israele restaura la propria immagine attraverso la rappresentazione sinergica della contestazione dell’ambiente istituzionale internazionale, il vittimismo nelle questioni di sicurezza interna e l’enfasi sul conformismo a stili di vita ‘occidentali’ e globalizzanti. L’identità francese si esplicita tramite il riferimento a valori domestici e diplomatici tradizionali e l’integrazione con l’ordine internazionale che emerge anche dalle manifeste crisi di sicurezza. La Svezia pubblicizza la partecipazione alle organizzazioni internazionali come strumento di disvelamento dei propri valori e politiche interne e in tal modo enfatizza la propria affermazione (e necessità) internazionale nell’ambito della niche diplomacy. I temi trattati mostrano una ricorrente volontà di mostrare l’intento di cronaca e di ‘diretta’ tramite la segnalazione della partecipazione a eventi rilevanti. A questi, USA, Svezia e Francia aggiungono l’interesse per quelle che sono state definite ‘nuove issues’, cioè quelle questioni, non tradizionalmente espressione della politica tradizionale, che agiscono sulla ‘presentabilità digitale’, andando a esplicitare la volontà di migliorare l’ambiente globale, o il voler fornire gli strumenti di empowerment individuale, ridefinendo in tal modo le questioni che diventano problemi di sicurezza collettiva (si pensi al clima); le quali assumono tale significato anche perché instradate nelle reti e nei flussi informativi che rispondono alle affiliazioni volontarie e individuali. Tra le caratteristiche strutturali, connesse alle affordances della piattaforma, emerge una sistematica e ricorrente sottovalutazione degli individui in rete (siano questi portatori d’opinioni o divulgatori di messaggi), dimostrando che la logica sottesa alla presenza in rete sia quella che attiene alla ricostruzione (auto)biografica e all’autorappresentazione selettivaFile | Dimensione | Formato | |
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