Il processo di sviluppo della teoria delle ombre e del chiaroscuro non può prescindere da secoli di disquisizioni sull’argomento della visione. In effetti, lo sviluppo delle teorie della visione affonda le proprie radici all’età ellenistica e il suo processo si protrae fino alla fine del XIX secolo. La relazione che sussiste tra le due teorie è evidente: entrambe sono collegate al problema della propagazione della luce e a quali effetti produce sulle cose. La luce che raggiunge gli oggetti viene riflessa o rifratta dando inizio ad una serie di azioni differenti: la luce che arriva (riflessa o rifratta ma anche quella diretta) all’occhio permette la visione; i raggi luminosi bloccati dai corpi generano i raggi d’ombra, prolungamento dei primi, che all’intersezione con altre superfici formano le ombre portate; i raggi luminosi riflessi o rifratti dalle cose innescano una serie di interazioni tra gli oggetti stessi, tali che ognuno di essi partecipa del colore e della luminosità di quelli intorno proporzionalmente alla distanza che li separa. Il problema della visione è stato il primo ad essere studiato assiduamente dagli studiosi a partire dai filosofi del mondo antico e la propagazione della luce è il fondamento di queste teorie. Accanto all’ottica esisteva naturalmente anche l’interesse per gli aspetti più propriamente anatomici connessi alla visione, ossia lo studio dell’occhio, della sua fisiologia e del suo funzionamento: i primi studi non potevano prescindere dai secondi. Anzi bisogna dire che proprio a causa della necessità, o curiosità, di capire alcuni fenomeni visivi e determinate deficienze ottiche, nonché le malattie dell’occhio, i filosofi, gli scienziati e i medici iniziarono i loro studi in questi settori disciplinari. I teorici della visione, pertanto, inseriscono quasi sempre il proprio particolare schema anatomico dell’occhio, a volte fondato su studi diretti, a volte rielaborato da altri schemi, a volte adattandolo forzatamente per poter dimostrare le proprie personali teorie sulla propagazione della luce all’interno dell’occhio. Tuttavia un problema che accomuna tutte le teorie della visione è costituito dal modo in cui si propaga la luce. Per cui: quale direzione hanno i raggi luminosi? Quale ruolo hanno nella visione umana? La natura rettilinea dei raggi luminosi non era stata mai messa in discussione, almeno fino alla teoria ondulatoria e a quella elettromagnetica in epoca contemporanea. Tuttavia, possiamo distinguere due grandi filoni di pensiero: da una parte la teoria estromissiva la quale credeva che fosse l’occhio a lanciare nello spazio i propri raggi visivi, dall’altra la teoria intromissiva la quale, al contrario, confidava nel fatto che erano le cose a “inviare” le proprie informazioni all’occhio riflettendo in sostanza i raggi luminosi. Le critiche mosse reciprocamente dai teorici di una o l’altra teoria si susseguono nel corso dei secoli, fino a quando Alhazen (Abu ibn al- Hasan ibn al-Haitham), a cavallo tra i due millenni, dimostra, attraverso alcune semplici constatazioni dedotte da effetti reali, che l’unica teoria possibile è quella intromissiva: la visione è causata dai raggi luminosi che giungono all’occhio (per Alhazen quelli ortogonali solamente) dopo la riflessione o rifrazione sugli oggetti nello spazio reale. Se così non fosse l’occhio non proverebbe dolore se colpito da un bagliore o una forte luce. Nel processo di visione è l’occhio a ricevere qualcosa dall’esterno. La teoria estromissiva non poteva essere valida anche perché se l’occhio guarda per un lungo lasso di tempo una forte luce e poi l’osservatore muove lo sguardo, verso una zona scura e buia, egli continuerà a percepire una zona di chiarore, un disturbo, nel suo campo visivo. Se la teoria estromissiva fosse stata valida, e la vista dipendeva dai raggi visivi fuoriuscenti dall’occhio per colpire gli oggetti, cosa stavano traguardando tali raggi durante il periodo in cui il bagliore rimaneva sulla retina? Era chiaro che questa possibilità non poteva avere ragione di esistere. Alhazen ha un’importanza rilavante nello sviluppo delle teorie della visione per le numerose intuizioni e dimostrazioni, tuttavia il suo contributo di straordinaria fama in occidente avrà una diffusione moltopiù tardi. Il suo testo più conosciuto, il De Aspectibus, risvegliò, alla fine del medioevo, l’interesse per l’ottica, la catottrica e la diottrica. Inoltre Alhazen per primo intuisce la natura proiettiva delle ombre affermando che quando i corpi opachi sono irradiati da una luce e le loro ombre appaiono sul suolo o su corpi opachi opposti ad essi, si troverà che queste ombre si estendono in modo rettilineo e si troverà che le aree in ombra sono quelle le cui distanze rettilinee dal corpo luminoso (la luce del quale è stata bloccata da queste zone) sono state intercettate dall’oggetto proiettante le ombre. Il concetto di proiezione e di sbattimento dell’ombra è evidentemente conosciuto e assimilato da Alhazen, e per questo motivo può essere considerato tra i primi fondatori di questa scienza. Anche se non ci sono pervenuti schizzi di Alhazen sulla questione della proiezione dell’ombra, la diffusione del suo testo potrebbe aver suscitato l’interesse degli studiosi del Rinascimento anche sul tema umbratile. Uno dei fondamenti delle teorie della visione, cioè la natura rettilinea dei raggi luminosi, è anche l’ipotesi per la teoria delle ombre: ai raggi luminosi rettilinei corrispondono i raggi d’ombra nella teoria delle ombre che si propagano lungo linee rette fino alla intersezione con altre superfici. Il metodo del tracciamento delle ombre ha evidentemente delle basi proiettive pertanto tale metodo si sviluppa, necessariamente, dopo la scoperta (o riscoperta) rinascimentale della prospettiva. Non si possono considerare tutti i processi come separati poiché lo sviluppo dell’ottica ha determinato l’interesse per la rappresentazione della realtà che percepiamo attraverso l’organo della vista. La prospettiva nasce dalla consapevolezza che alcuni raggi (in questo caso visivi) del cono ottico, che uniscono l’occhio agli estremi degli oggetti, intersecano un quadro su cui si forma l’immagine prospettica. Ha poca importanza se il quadro è il foglio da disegno o uno degli strati interni dell’occhio. Lo sviluppo delle teorie della visione si arresta nel momento in cui la scienza prospettica diventa il principale interesse di pittori e matematici, causando la distinzione tra perspectiva naturalis e perspectiva artificialis. La prima troverà nuovi teorizzatori tra la fine del XVI sec. e inizio del XVII sec. ed ha come maggiore esponente Kepler con la sua ipotesi dell’immagine retinica della realtà. La seconda avrà sviluppi differenti, diversificati in più discipline tra cui anche quella della teoria delle ombre e del chiaroscuro. Lo sviluppo della teoria delle ombre è posteriore alla perspectiva artificialis: la possibilità che due centri proiettivi potessero coesistere in uno stesso disegno non rispecchiava la visione tutta oculocentrica dei primi teorici del Rinascimento. Tuttavia Leonardo da Vinci nel Codice C raffigura le due rappresentazioni in un unico schizzo, mostrando l’analogia proiettiva della proiezione prospettica e della proiezione umbratile: un cono ottico o un cono ombroso, con vertice rispettivamente nell’occhio o in una candela, investono un oggetto e lo proiettano su una superficie. Nel codice C e nel Trattato di Pittura, edito da Francesco Melzi, Leonardo analizza in maniera approfondita le ombre e il chiaroscuro, non solo considerando problemi di rappresentazione, ma mostrando una certa dimestichezza anche nella genesi umbratile. Pur non fornendo una tecnica sulla genesi proiettiva delle ombre, Leonardo conosce il modo per costruirle, negli schizzi come nei suoi splendidi quadri. I numerosi schemi sul modo di costruire e rendere la penombra palesano la sua ossessione per la tecnica dello sfumato, splendidamente espressa nei dipinti e analizzata a pieno solamente alla fine della sua carriera, quando Leonardo utilizza nei suoi schemi non più una luce artificiale ma l’intera calotta celeste. La prima rappresentazione geometrica dell’ombra si ritrova nel testo di Albrecht Dürer, uno schema semplice di un cubo sotto la luce solare. In realtà la sorgente luminosa è sbagliata, perché nonostante Dürer la rappresenti come il sole, essa è una sorgente posta a distanza finita, piuttosto vicina al solido. L’errore del fiammingo provoca non pochi errori nelle trattazioni successive. Lo sviluppo della teoria delle ombre passa attraverso errori banali ed approssimazioni che ne rallentano il processo. Molti trattatisti confondono il sole, sorgente di luce convenzionalmente considerata all’infinito, che genera raggi luminosi paralleli, con una candela che invece genera un cono luminoso; la rappresentazione prospettica della prima rimane irrisolta fino alla trattazione di Niceron, a parte la parentesi del Cigoli, il cui trattato rimane però inedito. In altri trattati le ombre portate sono appena accennate, celando il metodo usato dagli autori per tracciarle e rappresentarle. A volte la genesi proiettiva dei punti ombra generati dalla sorgente luminosa è del tutto arbitraria: Il risultato finale, la composizione della tavola, e l’impatto nell’osservatore hanno la precedenza sulla costruzione geometrica esatta delle ombre e della prospettiva. Altre volte si riscontrano banali approssimazioni delle sorgenti di luce, in particolar modo quelle estese come possono essere finestre e porte. La trattazione più completa sull’argomento è quella di Jean François Niceron nell’appendice De Lumine et Umbris del Secondo Libro del Thaumaturgus opticus (1646). In essa troviamo tutte le tipologie di proiezioni umbratili come ancora oggi si studiano. Dopo Niceron, in effetti, si riscontrano solo altri due grandi passi evolutivi nel campo di ricerca: il primo è rappresentato dalla formulazione della legge di Lambert dall’omonimo studioso, che lega l’intensità luminosa di una superficie al coseno (funzione trigonometrica) dell’angolo formato tra direzione della luce e normale alla superficie; il secondo è lo studio sistematico di tale legge eseguito da Domenico Tessari (1880) per poter rappresentare la tonalità delle superfici diversamente inclinate rispetto all’andamento della luce. Potremmo aggiungere anche il contributo di Giuseppe Peri per la rappresentazione della prospettiva aerea, cioè della rappresentazione degli oggetti sempre più distanti dal punto di vista, ma in fondo lo stesso tema era stato trattato in modo sistematico anche da Leonardo e lui stesso aveva dato prova della sua capacità di rappresentarlo in molti tra i suoi più famosi dipinti. La vera e grande innovazione, dal Tessari ad oggi, avviene solo in tempi recenti, con la computer grafica che utilizzando appropriati algoritmi di calcolo riesce a rappresentare, seppur con le adeguate approssimazioni che tuttavia ha anche la pratica del disegno, le ombre e i chiaroscuri in maniera realistica, o addirittura fotorealistica. Nella ricerca, la rappresentazione digitale è stata utilizzata come mezzo per studiare, elaborare e re-interpretare i testi storici, verificando se tali testi espongono concetti veritieri e se gli algoritmi di calcolo rappresentano verosimilmente la realtà, in un processo di verifica e confronto. A tale scopo doveva essere anche verificata la corrispondenza riferità alla realtà tra render attraverso e immagini fotografiche. Questo confronto è possibile se si sfruttano le moderne tecniche di computer grafica, che sono state pertanto analizzate ed applicate sui modelli digitali. È interessante notare come i programmi di grafica attuali riescono a rendere chiaramente molte delle indicazioni che Leonardo aveva annotato nei suoi appunti. Ad esempio l’algoritmo Radiosity suddivide le superfici in piccole aree e calcola l’interazione che si crea tra esse (prendendone in considerazione due per volta) commensurata alla visibilità l’una dall’altra e alla distanza che intercorre tra le patch. Questo algoritmo non è molto lontano concettualmente dalle analisi di Leonardo, il quale determinava la tonalità delle zone d’ombra in base a quanta porzione di luce o di superficie riflettente esse riuscivano a traguardare. Lo strumento informatico è stato utilizzato anche per analizzare e capire alcune delle preposizioni di Alhazen del De Aspectibus. L’assenza di schemi geometrici dell’autore è stata colmata con la realizzazione di modelli digitali renderizzati seguendo pedissequamente il testo originale. Il disegno digitale è invece servito per analizzare, di volte in volta, quando necessario, i numerosi schemi e costruzioni proposte dai trattatisti nel corso dei secoli. Lo studio si è proposto quindi di ricucire lo sviluppo del percorso della teorie delle ombre e del chiaroscuro attraverso i secoli, grazie a una rilettura dei trattati in cui l’argomento è analizzato. Lo studio dei singoli trattati ha permesso non solo di determinare il percorso seguito, attraverso le innovazioni e gli errori, ma anche, e contemporaneamente, le relazioni con i moderni algoritmi dei programmi di renderizzazione. Al di là delle possibili similitudini la questione veramente importante è che, soprattutto nel nostro campo, la componente tecnologica deve essere strumento della storia, per capire, studiare e indagare. Soprattutto le moderne tecniche, proprio perché recenti e in evoluzione, hanno bisogno di confutazioni e sperimentazioni continue per essere affinate e avallate proprio attraverso lo studio dei testi antichi avvalendisi dello strumento informatico anche come laboratorio di sperimentazione virtuale. A tal fine una collaborazione interdisciplinare tra studiosi di storia della scienza e informatici, grafici, eidomatici, architetti e ingegneri, ognuno con le proprie e legittime competenze, garantirebbe lo sviluppo nella ricerca in questo settore. Infatti, se la geometria descrittiva diventò, nella storia, scienza matematica dopo esser stata nelle mani dei pittori, oggi essa può essere disciplinata da altre e nuove leggi. A fronte della geometria comunemente insegnata, esiste un’altra geometria, applicata dagli informatici alla base degli algoritmi di calcolo per i programmi di renderizzazione. La conoscenza degli algoritmi è fondamentale per lo sviluppo della rappresentazione eidomatica, studiata e applicata da informatici, architetti ed ingegneri, per una geometria descrittiva attualizzata.

Luce ed ombra nella rappresentazione. Rilettura storica e sperimentazioni eidomatiche / Calisi, Daniele; Calisi, Daniele. - (2007).

Luce ed ombra nella rappresentazione. Rilettura storica e sperimentazioni eidomatiche

Calisi, Daniele;Calisi, Daniele
01/01/2007

Abstract

Il processo di sviluppo della teoria delle ombre e del chiaroscuro non può prescindere da secoli di disquisizioni sull’argomento della visione. In effetti, lo sviluppo delle teorie della visione affonda le proprie radici all’età ellenistica e il suo processo si protrae fino alla fine del XIX secolo. La relazione che sussiste tra le due teorie è evidente: entrambe sono collegate al problema della propagazione della luce e a quali effetti produce sulle cose. La luce che raggiunge gli oggetti viene riflessa o rifratta dando inizio ad una serie di azioni differenti: la luce che arriva (riflessa o rifratta ma anche quella diretta) all’occhio permette la visione; i raggi luminosi bloccati dai corpi generano i raggi d’ombra, prolungamento dei primi, che all’intersezione con altre superfici formano le ombre portate; i raggi luminosi riflessi o rifratti dalle cose innescano una serie di interazioni tra gli oggetti stessi, tali che ognuno di essi partecipa del colore e della luminosità di quelli intorno proporzionalmente alla distanza che li separa. Il problema della visione è stato il primo ad essere studiato assiduamente dagli studiosi a partire dai filosofi del mondo antico e la propagazione della luce è il fondamento di queste teorie. Accanto all’ottica esisteva naturalmente anche l’interesse per gli aspetti più propriamente anatomici connessi alla visione, ossia lo studio dell’occhio, della sua fisiologia e del suo funzionamento: i primi studi non potevano prescindere dai secondi. Anzi bisogna dire che proprio a causa della necessità, o curiosità, di capire alcuni fenomeni visivi e determinate deficienze ottiche, nonché le malattie dell’occhio, i filosofi, gli scienziati e i medici iniziarono i loro studi in questi settori disciplinari. I teorici della visione, pertanto, inseriscono quasi sempre il proprio particolare schema anatomico dell’occhio, a volte fondato su studi diretti, a volte rielaborato da altri schemi, a volte adattandolo forzatamente per poter dimostrare le proprie personali teorie sulla propagazione della luce all’interno dell’occhio. Tuttavia un problema che accomuna tutte le teorie della visione è costituito dal modo in cui si propaga la luce. Per cui: quale direzione hanno i raggi luminosi? Quale ruolo hanno nella visione umana? La natura rettilinea dei raggi luminosi non era stata mai messa in discussione, almeno fino alla teoria ondulatoria e a quella elettromagnetica in epoca contemporanea. Tuttavia, possiamo distinguere due grandi filoni di pensiero: da una parte la teoria estromissiva la quale credeva che fosse l’occhio a lanciare nello spazio i propri raggi visivi, dall’altra la teoria intromissiva la quale, al contrario, confidava nel fatto che erano le cose a “inviare” le proprie informazioni all’occhio riflettendo in sostanza i raggi luminosi. Le critiche mosse reciprocamente dai teorici di una o l’altra teoria si susseguono nel corso dei secoli, fino a quando Alhazen (Abu ibn al- Hasan ibn al-Haitham), a cavallo tra i due millenni, dimostra, attraverso alcune semplici constatazioni dedotte da effetti reali, che l’unica teoria possibile è quella intromissiva: la visione è causata dai raggi luminosi che giungono all’occhio (per Alhazen quelli ortogonali solamente) dopo la riflessione o rifrazione sugli oggetti nello spazio reale. Se così non fosse l’occhio non proverebbe dolore se colpito da un bagliore o una forte luce. Nel processo di visione è l’occhio a ricevere qualcosa dall’esterno. La teoria estromissiva non poteva essere valida anche perché se l’occhio guarda per un lungo lasso di tempo una forte luce e poi l’osservatore muove lo sguardo, verso una zona scura e buia, egli continuerà a percepire una zona di chiarore, un disturbo, nel suo campo visivo. Se la teoria estromissiva fosse stata valida, e la vista dipendeva dai raggi visivi fuoriuscenti dall’occhio per colpire gli oggetti, cosa stavano traguardando tali raggi durante il periodo in cui il bagliore rimaneva sulla retina? Era chiaro che questa possibilità non poteva avere ragione di esistere. Alhazen ha un’importanza rilavante nello sviluppo delle teorie della visione per le numerose intuizioni e dimostrazioni, tuttavia il suo contributo di straordinaria fama in occidente avrà una diffusione moltopiù tardi. Il suo testo più conosciuto, il De Aspectibus, risvegliò, alla fine del medioevo, l’interesse per l’ottica, la catottrica e la diottrica. Inoltre Alhazen per primo intuisce la natura proiettiva delle ombre affermando che quando i corpi opachi sono irradiati da una luce e le loro ombre appaiono sul suolo o su corpi opachi opposti ad essi, si troverà che queste ombre si estendono in modo rettilineo e si troverà che le aree in ombra sono quelle le cui distanze rettilinee dal corpo luminoso (la luce del quale è stata bloccata da queste zone) sono state intercettate dall’oggetto proiettante le ombre. Il concetto di proiezione e di sbattimento dell’ombra è evidentemente conosciuto e assimilato da Alhazen, e per questo motivo può essere considerato tra i primi fondatori di questa scienza. Anche se non ci sono pervenuti schizzi di Alhazen sulla questione della proiezione dell’ombra, la diffusione del suo testo potrebbe aver suscitato l’interesse degli studiosi del Rinascimento anche sul tema umbratile. Uno dei fondamenti delle teorie della visione, cioè la natura rettilinea dei raggi luminosi, è anche l’ipotesi per la teoria delle ombre: ai raggi luminosi rettilinei corrispondono i raggi d’ombra nella teoria delle ombre che si propagano lungo linee rette fino alla intersezione con altre superfici. Il metodo del tracciamento delle ombre ha evidentemente delle basi proiettive pertanto tale metodo si sviluppa, necessariamente, dopo la scoperta (o riscoperta) rinascimentale della prospettiva. Non si possono considerare tutti i processi come separati poiché lo sviluppo dell’ottica ha determinato l’interesse per la rappresentazione della realtà che percepiamo attraverso l’organo della vista. La prospettiva nasce dalla consapevolezza che alcuni raggi (in questo caso visivi) del cono ottico, che uniscono l’occhio agli estremi degli oggetti, intersecano un quadro su cui si forma l’immagine prospettica. Ha poca importanza se il quadro è il foglio da disegno o uno degli strati interni dell’occhio. Lo sviluppo delle teorie della visione si arresta nel momento in cui la scienza prospettica diventa il principale interesse di pittori e matematici, causando la distinzione tra perspectiva naturalis e perspectiva artificialis. La prima troverà nuovi teorizzatori tra la fine del XVI sec. e inizio del XVII sec. ed ha come maggiore esponente Kepler con la sua ipotesi dell’immagine retinica della realtà. La seconda avrà sviluppi differenti, diversificati in più discipline tra cui anche quella della teoria delle ombre e del chiaroscuro. Lo sviluppo della teoria delle ombre è posteriore alla perspectiva artificialis: la possibilità che due centri proiettivi potessero coesistere in uno stesso disegno non rispecchiava la visione tutta oculocentrica dei primi teorici del Rinascimento. Tuttavia Leonardo da Vinci nel Codice C raffigura le due rappresentazioni in un unico schizzo, mostrando l’analogia proiettiva della proiezione prospettica e della proiezione umbratile: un cono ottico o un cono ombroso, con vertice rispettivamente nell’occhio o in una candela, investono un oggetto e lo proiettano su una superficie. Nel codice C e nel Trattato di Pittura, edito da Francesco Melzi, Leonardo analizza in maniera approfondita le ombre e il chiaroscuro, non solo considerando problemi di rappresentazione, ma mostrando una certa dimestichezza anche nella genesi umbratile. Pur non fornendo una tecnica sulla genesi proiettiva delle ombre, Leonardo conosce il modo per costruirle, negli schizzi come nei suoi splendidi quadri. I numerosi schemi sul modo di costruire e rendere la penombra palesano la sua ossessione per la tecnica dello sfumato, splendidamente espressa nei dipinti e analizzata a pieno solamente alla fine della sua carriera, quando Leonardo utilizza nei suoi schemi non più una luce artificiale ma l’intera calotta celeste. La prima rappresentazione geometrica dell’ombra si ritrova nel testo di Albrecht Dürer, uno schema semplice di un cubo sotto la luce solare. In realtà la sorgente luminosa è sbagliata, perché nonostante Dürer la rappresenti come il sole, essa è una sorgente posta a distanza finita, piuttosto vicina al solido. L’errore del fiammingo provoca non pochi errori nelle trattazioni successive. Lo sviluppo della teoria delle ombre passa attraverso errori banali ed approssimazioni che ne rallentano il processo. Molti trattatisti confondono il sole, sorgente di luce convenzionalmente considerata all’infinito, che genera raggi luminosi paralleli, con una candela che invece genera un cono luminoso; la rappresentazione prospettica della prima rimane irrisolta fino alla trattazione di Niceron, a parte la parentesi del Cigoli, il cui trattato rimane però inedito. In altri trattati le ombre portate sono appena accennate, celando il metodo usato dagli autori per tracciarle e rappresentarle. A volte la genesi proiettiva dei punti ombra generati dalla sorgente luminosa è del tutto arbitraria: Il risultato finale, la composizione della tavola, e l’impatto nell’osservatore hanno la precedenza sulla costruzione geometrica esatta delle ombre e della prospettiva. Altre volte si riscontrano banali approssimazioni delle sorgenti di luce, in particolar modo quelle estese come possono essere finestre e porte. La trattazione più completa sull’argomento è quella di Jean François Niceron nell’appendice De Lumine et Umbris del Secondo Libro del Thaumaturgus opticus (1646). In essa troviamo tutte le tipologie di proiezioni umbratili come ancora oggi si studiano. Dopo Niceron, in effetti, si riscontrano solo altri due grandi passi evolutivi nel campo di ricerca: il primo è rappresentato dalla formulazione della legge di Lambert dall’omonimo studioso, che lega l’intensità luminosa di una superficie al coseno (funzione trigonometrica) dell’angolo formato tra direzione della luce e normale alla superficie; il secondo è lo studio sistematico di tale legge eseguito da Domenico Tessari (1880) per poter rappresentare la tonalità delle superfici diversamente inclinate rispetto all’andamento della luce. Potremmo aggiungere anche il contributo di Giuseppe Peri per la rappresentazione della prospettiva aerea, cioè della rappresentazione degli oggetti sempre più distanti dal punto di vista, ma in fondo lo stesso tema era stato trattato in modo sistematico anche da Leonardo e lui stesso aveva dato prova della sua capacità di rappresentarlo in molti tra i suoi più famosi dipinti. La vera e grande innovazione, dal Tessari ad oggi, avviene solo in tempi recenti, con la computer grafica che utilizzando appropriati algoritmi di calcolo riesce a rappresentare, seppur con le adeguate approssimazioni che tuttavia ha anche la pratica del disegno, le ombre e i chiaroscuri in maniera realistica, o addirittura fotorealistica. Nella ricerca, la rappresentazione digitale è stata utilizzata come mezzo per studiare, elaborare e re-interpretare i testi storici, verificando se tali testi espongono concetti veritieri e se gli algoritmi di calcolo rappresentano verosimilmente la realtà, in un processo di verifica e confronto. A tale scopo doveva essere anche verificata la corrispondenza riferità alla realtà tra render attraverso e immagini fotografiche. Questo confronto è possibile se si sfruttano le moderne tecniche di computer grafica, che sono state pertanto analizzate ed applicate sui modelli digitali. È interessante notare come i programmi di grafica attuali riescono a rendere chiaramente molte delle indicazioni che Leonardo aveva annotato nei suoi appunti. Ad esempio l’algoritmo Radiosity suddivide le superfici in piccole aree e calcola l’interazione che si crea tra esse (prendendone in considerazione due per volta) commensurata alla visibilità l’una dall’altra e alla distanza che intercorre tra le patch. Questo algoritmo non è molto lontano concettualmente dalle analisi di Leonardo, il quale determinava la tonalità delle zone d’ombra in base a quanta porzione di luce o di superficie riflettente esse riuscivano a traguardare. Lo strumento informatico è stato utilizzato anche per analizzare e capire alcune delle preposizioni di Alhazen del De Aspectibus. L’assenza di schemi geometrici dell’autore è stata colmata con la realizzazione di modelli digitali renderizzati seguendo pedissequamente il testo originale. Il disegno digitale è invece servito per analizzare, di volte in volta, quando necessario, i numerosi schemi e costruzioni proposte dai trattatisti nel corso dei secoli. Lo studio si è proposto quindi di ricucire lo sviluppo del percorso della teorie delle ombre e del chiaroscuro attraverso i secoli, grazie a una rilettura dei trattati in cui l’argomento è analizzato. Lo studio dei singoli trattati ha permesso non solo di determinare il percorso seguito, attraverso le innovazioni e gli errori, ma anche, e contemporaneamente, le relazioni con i moderni algoritmi dei programmi di renderizzazione. Al di là delle possibili similitudini la questione veramente importante è che, soprattutto nel nostro campo, la componente tecnologica deve essere strumento della storia, per capire, studiare e indagare. Soprattutto le moderne tecniche, proprio perché recenti e in evoluzione, hanno bisogno di confutazioni e sperimentazioni continue per essere affinate e avallate proprio attraverso lo studio dei testi antichi avvalendisi dello strumento informatico anche come laboratorio di sperimentazione virtuale. A tal fine una collaborazione interdisciplinare tra studiosi di storia della scienza e informatici, grafici, eidomatici, architetti e ingegneri, ognuno con le proprie e legittime competenze, garantirebbe lo sviluppo nella ricerca in questo settore. Infatti, se la geometria descrittiva diventò, nella storia, scienza matematica dopo esser stata nelle mani dei pittori, oggi essa può essere disciplinata da altre e nuove leggi. A fronte della geometria comunemente insegnata, esiste un’altra geometria, applicata dagli informatici alla base degli algoritmi di calcolo per i programmi di renderizzazione. La conoscenza degli algoritmi è fondamentale per lo sviluppo della rappresentazione eidomatica, studiata e applicata da informatici, architetti ed ingegneri, per una geometria descrittiva attualizzata.
2007
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