L’autore discute la sentenza della Corte costituzionale 19 luglio 2013, n. 223 con la quale, in pieno accoglimento di ben due ordinanze di rimessione, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 819 ter, secondo comma, c.p.c. nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all’articolo 50 del codice di procedura civile: si tratta cioè del noto tema delle conseguenze della declinatoria di “competenza” tra giudice ed arbitro. Con tale decisione di accoglimento la Consulta ha voluto scegliere la via più dritta e sicura per garantire la pienezza del diritto di azione, e più comprensivamente pone un tassello primario del "giusto" processo nel suo complesso, anche nei tormentati rapporti fra arbitri, intesi come giudici di designazione e natura privata, e giudici statali (civili o amministrativi), gli uni e gli altri esercenti il servizio giurisdizionale. Lo scritto evidenzia la natura innovativa di questa sentenza, i suoi effetti e i progressi anche rispetto alla sua lettura ad opera della Cassazione oltre che alla normativa introdotta con il d.lgs. n. 40/2006. L’autore osserva come la sentenza n. 223/2013 non sia né una interpretativa né una manipolativa ma neppure, a ben vedere, una pronuncia di puro annullamento parziale, atteggiandosi piuttosto a decisione additiva: essa non crea semplicemente un vuoto nella disposizione incisa, sì da togliere la esclusione della applicabilità dell'art. 50 c.p.c. (o testualmente di regole ad esso corrispondenti), senza nulla dire ulteriormente, in positivo o in negativo a tal riguardo, ma introduce una norma nella disciplina arbitrale che innesta un rinvio operativo al modus procedendi e al senso, appunto semplice, dell’art. 50 c.p.c. Benché potesse ben immaginarsi una soluzione diversa, la via prescelta non è quella della riproposizione della domanda bensì quella della vera e propria translatio, disciplinata fin dal 1940, dall'art. 50 c.p.c., ossia della riassunzione.
Il rapporto arbitri-giudici ricondotto, e giustamente, a questione di competenza con piena translatio fra giurisdizione pubblica e privata e viceversa / Consolo, Claudio. - In: IL CORRIERE GIURIDICO. - ISSN 1591-4232. - STAMPA. - 8-9(2013), pp. 1109-1112.
Il rapporto arbitri-giudici ricondotto, e giustamente, a questione di competenza con piena translatio fra giurisdizione pubblica e privata e viceversa
CONSOLO, CLAUDIO
2013
Abstract
L’autore discute la sentenza della Corte costituzionale 19 luglio 2013, n. 223 con la quale, in pieno accoglimento di ben due ordinanze di rimessione, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 819 ter, secondo comma, c.p.c. nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all’articolo 50 del codice di procedura civile: si tratta cioè del noto tema delle conseguenze della declinatoria di “competenza” tra giudice ed arbitro. Con tale decisione di accoglimento la Consulta ha voluto scegliere la via più dritta e sicura per garantire la pienezza del diritto di azione, e più comprensivamente pone un tassello primario del "giusto" processo nel suo complesso, anche nei tormentati rapporti fra arbitri, intesi come giudici di designazione e natura privata, e giudici statali (civili o amministrativi), gli uni e gli altri esercenti il servizio giurisdizionale. Lo scritto evidenzia la natura innovativa di questa sentenza, i suoi effetti e i progressi anche rispetto alla sua lettura ad opera della Cassazione oltre che alla normativa introdotta con il d.lgs. n. 40/2006. L’autore osserva come la sentenza n. 223/2013 non sia né una interpretativa né una manipolativa ma neppure, a ben vedere, una pronuncia di puro annullamento parziale, atteggiandosi piuttosto a decisione additiva: essa non crea semplicemente un vuoto nella disposizione incisa, sì da togliere la esclusione della applicabilità dell'art. 50 c.p.c. (o testualmente di regole ad esso corrispondenti), senza nulla dire ulteriormente, in positivo o in negativo a tal riguardo, ma introduce una norma nella disciplina arbitrale che innesta un rinvio operativo al modus procedendi e al senso, appunto semplice, dell’art. 50 c.p.c. Benché potesse ben immaginarsi una soluzione diversa, la via prescelta non è quella della riproposizione della domanda bensì quella della vera e propria translatio, disciplinata fin dal 1940, dall'art. 50 c.p.c., ossia della riassunzione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.