A livello mondiale si consuma un evidente paradosso. Mentre aumenta quotidianamente nel sud del mondo il numero delle persone che fanno fatica a sopravvivere alla fame, il resto del pianeta è affetto dalla condizione opposta. Nei paesi industrializzati, l’incremento delle persone in sovrappeso determina un aumentata incidenza di diverse patologie (ipertensione, infarto, diabete, dislipidemie, ecc.) che, nel loro insieme, sono oggi note come sindrome metabolica. A tutto questo bisogna aggiungere, non ultime, le conseguenze di una serie di discriminazioni e pregiudizi a cui vanno incontro le persone obese, tanto da renderle riluttanti a cercare il consiglio o l’assistenza medica, ed a preferire forme di automedicazione (integratori alimentari, nutraceutici, ecc.). Mentre il marketing bombarda tutti gli organi di informazione con mirabolanti promesse, la comunità scientifica si è messa al lavoro per la necessaria validazione fitochimica e farmacotossicologica. Sebbene molta letteratura sia disponibile su diverse piante medicinali utilizzate a scopo dimagrante, gli studi preclinici e clinici devono essere esaminati con occhio critico, in quanto buona parte di questi risultano commissionati e finanziati dalla stessa ditta responsabile della preparazione e commercializzazione del prodotto. In particolare, noi abbiamo studiato alcune attività relative all’impiego della Caralluma fimbriata, che rientra tra le piante che maggiormente hanno destato interesse nell’ultimo periodo. Il genere Caralluma (Apocynaceae) è costituito da piante presenti nelle regioni tropicali dell’Asia e dell’Europa mediterranea. Diversi estratti di questa pianta medicinale sono stati commercializzati come agenti anti-obesità e soppressori dell’appetito. L’interesse è nato dal precedente impiego etnobotanico e dalla composizione chimica che, per la prevalenza di glicosidi pregnanici4, ricorda quella di un’altra pianta usata in modo similare, Hoodia gordonii, che però risulta praticamente impossibile da trovare sul mercato. Gli studi fitochimici, principalmente basati su HPTLC e quelli farmacologici hanno permesso di caratterizzare alcuni aspetti fitochimici e biologici di un estratto commerciale a base di Caralluma fimbriata. Lo studio fitochimico dell’estratto, come aspettato, ha evidenziato una composizione molto complessa, nella quale i glicosidi pregnanici risultano accompagnati da molti altri prodotti. Dal punto di vista biologico, la citotossicità dell’estratto di C. fimbriata è stata testata su tre linee cellulari (BRL-3A, HePG2, WI-38) di diversa derivazione di specie (umane e di ratto), rappresentative di diversi tessuti (polmonare ed epatico) e tipologie (normali e tumorali). Dall’analisi della funzionalità mitocondriale delle cellule esposte al trattamento con l’estratto (utilizzato in un range di concentrazioni comprese tra 0,05 e 50 mg/ml) è emerso che C. fimbriata inibisce la proliferazione cellulare in modo concentrazione- e tempo-dipendente. Particolarmente sensibili a tale effetto sono cellule umane di derivazione epatica normale, dopo 48 ore di esposizione al trattamento. Ulteriori studi sono rivolti alla caratterizzazione del processo citotossico ed alla sua eventuale ascrivibilità ad una sostanza specifica contenuta nell’estratto.

Studi fitochimici e farmacologici su un estratto di Caralluma fimbriata impiegato come integratore alimentare nel controllo del peso corporeo / Vitalone, Annabella; Mazzanti, Gabriela; Toniolo, C.; Nicoletti, Marcello. - (2013). (Intervento presentato al convegno XIII Congresso della Società Italiana di Fitochimica tenutosi a Gargnano (Brescia)).

Studi fitochimici e farmacologici su un estratto di Caralluma fimbriata impiegato come integratore alimentare nel controllo del peso corporeo.

VITALONE, Annabella;MAZZANTI, Gabriela;C. Toniolo;NICOLETTI, Marcello
2013

Abstract

A livello mondiale si consuma un evidente paradosso. Mentre aumenta quotidianamente nel sud del mondo il numero delle persone che fanno fatica a sopravvivere alla fame, il resto del pianeta è affetto dalla condizione opposta. Nei paesi industrializzati, l’incremento delle persone in sovrappeso determina un aumentata incidenza di diverse patologie (ipertensione, infarto, diabete, dislipidemie, ecc.) che, nel loro insieme, sono oggi note come sindrome metabolica. A tutto questo bisogna aggiungere, non ultime, le conseguenze di una serie di discriminazioni e pregiudizi a cui vanno incontro le persone obese, tanto da renderle riluttanti a cercare il consiglio o l’assistenza medica, ed a preferire forme di automedicazione (integratori alimentari, nutraceutici, ecc.). Mentre il marketing bombarda tutti gli organi di informazione con mirabolanti promesse, la comunità scientifica si è messa al lavoro per la necessaria validazione fitochimica e farmacotossicologica. Sebbene molta letteratura sia disponibile su diverse piante medicinali utilizzate a scopo dimagrante, gli studi preclinici e clinici devono essere esaminati con occhio critico, in quanto buona parte di questi risultano commissionati e finanziati dalla stessa ditta responsabile della preparazione e commercializzazione del prodotto. In particolare, noi abbiamo studiato alcune attività relative all’impiego della Caralluma fimbriata, che rientra tra le piante che maggiormente hanno destato interesse nell’ultimo periodo. Il genere Caralluma (Apocynaceae) è costituito da piante presenti nelle regioni tropicali dell’Asia e dell’Europa mediterranea. Diversi estratti di questa pianta medicinale sono stati commercializzati come agenti anti-obesità e soppressori dell’appetito. L’interesse è nato dal precedente impiego etnobotanico e dalla composizione chimica che, per la prevalenza di glicosidi pregnanici4, ricorda quella di un’altra pianta usata in modo similare, Hoodia gordonii, che però risulta praticamente impossibile da trovare sul mercato. Gli studi fitochimici, principalmente basati su HPTLC e quelli farmacologici hanno permesso di caratterizzare alcuni aspetti fitochimici e biologici di un estratto commerciale a base di Caralluma fimbriata. Lo studio fitochimico dell’estratto, come aspettato, ha evidenziato una composizione molto complessa, nella quale i glicosidi pregnanici risultano accompagnati da molti altri prodotti. Dal punto di vista biologico, la citotossicità dell’estratto di C. fimbriata è stata testata su tre linee cellulari (BRL-3A, HePG2, WI-38) di diversa derivazione di specie (umane e di ratto), rappresentative di diversi tessuti (polmonare ed epatico) e tipologie (normali e tumorali). Dall’analisi della funzionalità mitocondriale delle cellule esposte al trattamento con l’estratto (utilizzato in un range di concentrazioni comprese tra 0,05 e 50 mg/ml) è emerso che C. fimbriata inibisce la proliferazione cellulare in modo concentrazione- e tempo-dipendente. Particolarmente sensibili a tale effetto sono cellule umane di derivazione epatica normale, dopo 48 ore di esposizione al trattamento. Ulteriori studi sono rivolti alla caratterizzazione del processo citotossico ed alla sua eventuale ascrivibilità ad una sostanza specifica contenuta nell’estratto.
2013
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/557630
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