Nelle Vite di Bellori il termine ‘pratica’ è impiegato per caratterizzare sia i pittori della Maniera vera e propria, quella sviluppatasi nella seconda metà del Cinquecento, con gli ultimi strascichi che arrivavano all’inizio del Seicento (ovvero fino al Cavalier d’Arpino), sia i pittori di pieno e tardo Seicento ai quali veniva contrapposto, prima di tutto, Maratti. La critica non ha mai sottolineato come per Bellori i pittori di pratica non fossero una categoria indistinta di mestieranti, ma figure precise quali Brandi e certamente anche Cortona, oltre all’ultimo Lanfranco, quello della fase napoletana. Quei pittori di pratica eccellevano nella pittura ad affresco, piuttosto che in quella a olio, dove era richiesta maggiore cura e diligenza, e i loro capolavori, i grandi cicli decorativi, potevano essere indicati come ‘macchine’. Non è facile indicare quando Bellori elaborasse quella visione critica secondo cui un filo rosso univa il Cavalier d’Arpino, a Lanfranco e Cortona, né è possibile stabilire se tale disegno storiografico venisse tratteggiato autonomamente dall’intendente romano, o se alla sua nascita contribuisse Fréart de Chambray, che già nel 1662, e quindi con dieci anni di anticipo sul primo volume delle Vite di Bellori, aveva proposto quella stessa associazione tra l’Arpino e Lanfranco. Per la precisa messa a fuoco di quest’acquisizione critica fu infatti essenziale la riflessione parallela sull’architettura, e Fréart era appunto un teorico dell’architettura. Nel discorso sulla genesi di tale tradizione critica dovrebbe rientrare anche Dufresnoy, che come Bellori e Fréart, fu influenzato da Poussin, il maestro del classicismo francese che giocò un ruolo cruciale in quell’opposizione al Barocco, o moderno manierismo.
‘Pittura di pratica’ e ‘macchine’: Giuseppe Cesari, Giovanni Lanfranco, Pietro da Cortona, e la discussione critica in Fréart de Chambray, Dufresnoy e Bellori / Pierguidi, Stefano. - In: MARBURGER JAHRBUCH FUER KUNSTWISSENSCHAFT. - ISSN 0342-121X. - 50:(2023), pp. 117-147.
‘Pittura di pratica’ e ‘macchine’: Giuseppe Cesari, Giovanni Lanfranco, Pietro da Cortona, e la discussione critica in Fréart de Chambray, Dufresnoy e Bellori
stefano Pierguidi
2023
Abstract
Nelle Vite di Bellori il termine ‘pratica’ è impiegato per caratterizzare sia i pittori della Maniera vera e propria, quella sviluppatasi nella seconda metà del Cinquecento, con gli ultimi strascichi che arrivavano all’inizio del Seicento (ovvero fino al Cavalier d’Arpino), sia i pittori di pieno e tardo Seicento ai quali veniva contrapposto, prima di tutto, Maratti. La critica non ha mai sottolineato come per Bellori i pittori di pratica non fossero una categoria indistinta di mestieranti, ma figure precise quali Brandi e certamente anche Cortona, oltre all’ultimo Lanfranco, quello della fase napoletana. Quei pittori di pratica eccellevano nella pittura ad affresco, piuttosto che in quella a olio, dove era richiesta maggiore cura e diligenza, e i loro capolavori, i grandi cicli decorativi, potevano essere indicati come ‘macchine’. Non è facile indicare quando Bellori elaborasse quella visione critica secondo cui un filo rosso univa il Cavalier d’Arpino, a Lanfranco e Cortona, né è possibile stabilire se tale disegno storiografico venisse tratteggiato autonomamente dall’intendente romano, o se alla sua nascita contribuisse Fréart de Chambray, che già nel 1662, e quindi con dieci anni di anticipo sul primo volume delle Vite di Bellori, aveva proposto quella stessa associazione tra l’Arpino e Lanfranco. Per la precisa messa a fuoco di quest’acquisizione critica fu infatti essenziale la riflessione parallela sull’architettura, e Fréart era appunto un teorico dell’architettura. Nel discorso sulla genesi di tale tradizione critica dovrebbe rientrare anche Dufresnoy, che come Bellori e Fréart, fu influenzato da Poussin, il maestro del classicismo francese che giocò un ruolo cruciale in quell’opposizione al Barocco, o moderno manierismo.File | Dimensione | Formato | |
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