Nel maggio 1789, nella duplice veste di pontefice e abate commendatario, Pio VI si recò a Subiaco per consacrare la nuova cattedrale di S. Andrea, da lui fatta ricostruire dalle fondamenta. Per l’occasione, le autorità municipali e i feudatari delle principali località situate lungo la direttrice Tiburtina-Valeria, profusero ingenti spese per preparargli una degna accoglienza, realizzando imponenti lavori stradali e allestendo apparati festivi. A Tivoli, Vicovaro e Arsoli furono eretti archi di trionfo effimeri e strutture recettive provvisorie, così come a Rocca S. Stefano, borgo di confine del territorio della commenda sublacense, mentre Subiaco, meta del percorso trionfale, esprimeva la sua riconoscenza nei confronti del munifico papa-commendatario erigendo un arco marmoreo all’ingresso della cittadina, su progetto di Giulio Camporese. L’evento, definito da Jeoffrey Collins come “apice della retorica” braschiana, amplificava su scala territoriale il percorso trionfale allestito a Roma in occasione del possesso, quando il neoeletto pontefice, vescovo della città eterna, s’insediava solennemente nella cattedrale di S. Giovanni in Laterano. Una corposa ricerca d’archivio ha permesso di verificare e arricchire le notizie riportate dalle principali cronache dell’epoca e dalle successive memorie ottocentesche, di apprendere molti dati sui caratteri architettonici e formali degli archi e di individuare gli architetti cui fu affidata l’ideazione degli apparati. Ai nomi di Giulio Camporese e Benedetto Piernicoli, già noti come progettisti degli archi di Subiaco e Arsoli, si aggiungono quelli di Giuseppe Scaturzi a Vicovaro, frate Filippo Tavella a Tivoli e Gaetano Calidi a Rocca S. Stefano, consentendo di approfondire la conoscenza di figure poco studiate, se non inedite. Il reperimento di descrizioni dettagliate e, in alcuni casi, di fonti grafiche, ha consentito di tracciare un profilo critico soprattutto per i due archi di Arsoli e di Subiaco – l’uno noto grazie a un’incisione, l’altro ancora in situ – e una valutazione dell’approccio dei rispettivi architetti al tema progettuale dell’arco onorario. Tale approfondimento critico non può prescindere da considerazioni sulle differenti personalità ed esperienze dei progettisti e sulle loro posizioni nel dibattito architettonico che raggiunge un picco di vivacità nei contraddittori decenni del pontificato Braschi. Una molteplicità di voci che si confrontano anche sul tema degli allestimenti festivi, in cui da un lato, permangono inevitabili rimandi ad una lunga stagione barocca che volge al tramonto, dall’altro lato, si affacciano idee nuove e moderne, che reinterpretano – o imitano consapevolmente - le suggestioni provenienti direttamente dall’Antico.
18 maggio 1789. Una via triumphalis per Pio VI. Archi effimeri e permanenti tra Roma e Subiaco / Pistolesi, Marco. - In: STUDI SUL SETTECENTO ROMANO. - ISSN 1124-3910. - 35:(2019), pp. 165-183.
18 maggio 1789. Una via triumphalis per Pio VI. Archi effimeri e permanenti tra Roma e Subiaco
Marco Pistolesi
2019
Abstract
Nel maggio 1789, nella duplice veste di pontefice e abate commendatario, Pio VI si recò a Subiaco per consacrare la nuova cattedrale di S. Andrea, da lui fatta ricostruire dalle fondamenta. Per l’occasione, le autorità municipali e i feudatari delle principali località situate lungo la direttrice Tiburtina-Valeria, profusero ingenti spese per preparargli una degna accoglienza, realizzando imponenti lavori stradali e allestendo apparati festivi. A Tivoli, Vicovaro e Arsoli furono eretti archi di trionfo effimeri e strutture recettive provvisorie, così come a Rocca S. Stefano, borgo di confine del territorio della commenda sublacense, mentre Subiaco, meta del percorso trionfale, esprimeva la sua riconoscenza nei confronti del munifico papa-commendatario erigendo un arco marmoreo all’ingresso della cittadina, su progetto di Giulio Camporese. L’evento, definito da Jeoffrey Collins come “apice della retorica” braschiana, amplificava su scala territoriale il percorso trionfale allestito a Roma in occasione del possesso, quando il neoeletto pontefice, vescovo della città eterna, s’insediava solennemente nella cattedrale di S. Giovanni in Laterano. Una corposa ricerca d’archivio ha permesso di verificare e arricchire le notizie riportate dalle principali cronache dell’epoca e dalle successive memorie ottocentesche, di apprendere molti dati sui caratteri architettonici e formali degli archi e di individuare gli architetti cui fu affidata l’ideazione degli apparati. Ai nomi di Giulio Camporese e Benedetto Piernicoli, già noti come progettisti degli archi di Subiaco e Arsoli, si aggiungono quelli di Giuseppe Scaturzi a Vicovaro, frate Filippo Tavella a Tivoli e Gaetano Calidi a Rocca S. Stefano, consentendo di approfondire la conoscenza di figure poco studiate, se non inedite. Il reperimento di descrizioni dettagliate e, in alcuni casi, di fonti grafiche, ha consentito di tracciare un profilo critico soprattutto per i due archi di Arsoli e di Subiaco – l’uno noto grazie a un’incisione, l’altro ancora in situ – e una valutazione dell’approccio dei rispettivi architetti al tema progettuale dell’arco onorario. Tale approfondimento critico non può prescindere da considerazioni sulle differenti personalità ed esperienze dei progettisti e sulle loro posizioni nel dibattito architettonico che raggiunge un picco di vivacità nei contraddittori decenni del pontificato Braschi. Una molteplicità di voci che si confrontano anche sul tema degli allestimenti festivi, in cui da un lato, permangono inevitabili rimandi ad una lunga stagione barocca che volge al tramonto, dall’altro lato, si affacciano idee nuove e moderne, che reinterpretano – o imitano consapevolmente - le suggestioni provenienti direttamente dall’Antico.File | Dimensione | Formato | |
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