“Just as each of us is a unique face, a figure, a character, so each of us is also a unique voice” (Albano Leoni, 2022, p. 38). In fact, not only is the voice “the instrument with which we say what we want to say" but "it is much more, and this more precedes the language, precedes the meanings [...] The voice also reveals the identity, the interiority of the speaker". If the voice has always had a crucial importance not only in language but in the construction and recognition of personal identity, in the perception and representation of oneself and others, what relationship do deaf people have with the voice, their own and that of others? others? Good residual hearing can allow the perception of some frequencies but speech frequencies are generally the most penalized by severe and profound deafness (with hearing threshold above 50db, see World report on hearing 2021). A diagnosis in the first months or years of life is followed by a path of speech therapy qualification, gradual perceptive and productive training of sounds, use and control of the voice, as an instrument in itself and in the strictly linguistic context. A vast literature has dealt with the impact of deafness on language development, the phases of acquisition of spoken and signed languages, bilingualism (signed and spoken languages), the complexity of the multimodal dimension of communication in the context of deafness. Deafness has been and is the object of social representation, predominantly polarized - using the historical definitions of social representation theory (Moscovici, 1988; Wagner, 1995; Jodelet, 2003) - in a hegemonic representation that considers deafness an individual deficit to be cured, field of interest and intervention of medicine, and a polemical representation in which deafness becomes a resource generating culture, shared values, collective identity (Zuccalà, 1997; Leigh 2009; Branni 2022). In Deaf Studies this polarization has always been central and the body is a privileged place in which this manifests itself: on the one hand it represents a defective condition to be normalized, masked, recovered; on the other, the manifestation of an identity that claims a visible presence through marked communication but above all the experience of the world in a visual-gestural and not acoustic-vocal modality. The voice of deaf people is tinged with the social representations of these two opposing dimensions, becoming in the first the primary objective of the logopedic path, a result to be achieved with effort, necessary for integration into the mainstream world, for presence (Bauman, 2008), for 'being there (non-word is more problematic than non-hearing); in the second a marginal feature not to be made visible as it is not relevant in the cultural connotation of deafness, a vehicle of misunderstandings (Kisor, 2010), a symbol of oppression of a majority that imposes voice/word (Lane, 1992) where deaf epistemology gives sense to the presence in the world of Sign Language People through the body, the hands, the eyes (Ladd, 2003). However, this polarization does not take into account the complexity and variability of the experience of deafness and the different uses of the body and voice that people make in their daily lives. What perception do deaf people have of their own (and others') voices? How does it contribute to building identity and acting in the world? How is it used, with what objectives and strategies? From a perspective that takes into account the theoretical frameworks of communication ethnography (Hymes, 1974), the analysis of social representations embedded in everyday life (Wagner and Hayes, 2005) and recent discussions on translanguaging in Deaf Studies (e.g. De Meulder et al., 2019) will present results and reflections starting from interviews conducted with deaf people on the personal relationship with the voice, the communication strategies implemented in daily experience, the representation of identity in relation to this dimension. The aim of the report is to contribute to the ongoing debate, taking place not only in Deaf and Disability Studies (Kusters et al., 2017) but also in the linguistics of Italian Sign Language (Volterra et al., 2019), aimed at following new paths of investigations that take greater account of the complexity, variability and individuality of the deaf experience. Bibliography Albano Leoni, F. (2022). Voice. The body of language. Carocci publisher. Bauman, H-Dirksen L. (2008). ‘‘Listening to Phonocentrism with Deaf Eyes: Derrida’s Mute Philosophy of (Sign) Language’’ Essays in Philosophy 9(1) Article 2. De Meulder M., Kusters A., Moriarty E., Murray J.J. (2019). “Describe, don't prescribe. The practice and politics of translanguaging in the context of deaf signers”, Journal of Multilingual and Multicultural Development, 40:10, 892-906. Hymes, D. (1974), Foundations in Sociolinguistics. An Ethnographic Approach. Tavistock Publications Ltd.

“Come ciascuno di noi è una faccia, una figura, un carattere propri e unici, così ciascuno di noi è anche una voce unica” (Albano Leoni, 2022, p. 38). Non solo infatti la voce è “lo strumento con cui diciamo quello che vogliamo dire” ma “è molto di più, e questo di più precede la lingua, precede i significati […] La voce inoltre rivela l’identità, l’interiorità di chi parla”. Se la voce ha da sempre rivesto un’importanza cruciale non solo nel linguaggio ma nella costruzione e riconoscimento dell’identità personale, nella percezione e rappresentazione di sé e dell’altro, che relazione hanno le persone sorde con la voce, la propria e degli altri? Un buon residuo uditivo può consentire la percezione di alcune frequenze ma quelle del parlato sono in genere le più penalizzate dalla sordità grave e profonda (con soglia uditiva sopra i 50db, cfr. World report on hearing 2021). A una diagnosi nei primi mesi o anni di vita segue un percorso di abilitazione logopedica, di graduale allenamento percettivo e produttivo dei suoni, di uso e controllo della voce, come strumento in sé e in ambito propriamente linguistico. Una vasta letteratura si è occupata dell’impatto della sordità sullo sviluppo del linguaggio, delle fasi di acquisizione delle lingue parlate e segnate, del bilinguismo (lingue segnate e parlate), della complessità della dimensione multimodale della comunicazione nell’ambito della sordità. La sordità è stata ed è oggetto di rappresentazione sociale, prevalentemente polarizzata - utilizzando le storiche definizioni della social representation theory (Moscovici, 1988; Wagner, 1995; Jodelet, 2003) - in una rappresentazione egemonica che considera la sordità un deficit individuale da curare, campo di interesse e intervento della medicina, ed una rappresentazione polemica in cui la sordità diviene risorsa generatrice di cultura, valori condivisi, identità collettiva (Zuccalà, 1997; Leigh 2009; Branni 2022). Nei Deaf Studies tale polarizzazione è sempre stata centrale e il corpo è luogo privilegiato in cui questa si manifesta: da un lato rappresenta una condizione difettosa da normalizzare, mascherare, recuperare; dall’altro la manifestazione di una identità che rivendica una presenza visibile attraverso la comunicazione segnata ma soprattutto l’esperienza del mondo in una modalità visivo- gestuale e non acustico-vocale. La voce delle persone sorde si tinge delle rappresentazioni sociali di queste due dimensioni contrapposte, divenendo nella prima l’obiettivo primario del percorso logopedico, risultato da raggiungere con sforzo, necessario all’integrazione nel mondo mainstream, alla presenza (Bauman, 2008), all’esserci (la non-parola è più problematica del non-udito); nella seconda un tratto marginale da non rendere visibile in quanto non rilevante nella connotazione culturale della sordità, veicolo di fraintendimenti (Kisor, 2010), simbolo di oppressione di una maggioranza che impone voce/parola (Lane, 1992) laddove l’epistemologia sorda dà senso alla presenza nel mondo dei Sign Language People attraverso il corpo, le mani, gli occhi (Ladd, 2003). Tale polarizzazione non dà però conto della complessità e variabilità dell’esperienza della sordità e dei diversi usi del corpo e della voce che le persone fanno nella loro vita quotidiana. Che percezione hanno le persone sorde della propria (e altrui) voce? In che modo contribuisce a costruire l’identità e l’agire nel mondo? Come viene utilizzata, con quali obiettivi e strategie? In una prospettiva che tenga conto dei framework teorici dell’etnografia della comunicazione (Hymes, 1974), dell’analisi delle rappresentazioni sociali incorporate nella vita quotidiana (Wagner e Hayes, 2005) e delle recenti discussioni sul translanguaging nei Deaf Studies (ad es. De Meulder et al., 2019) si esporranno risultati e riflessioni a partire da interviste condotte a persone sorde sulla personale relazione con la voce, le strategie comunicative messe in atto nell’esperienza quotidiana, la rappresentazione dell’identità in rapporto a tale dimensione. Obiettivo della relazione è contribuire al dibattito in corso, in atto non solo nei Deaf e Disability Studies (Kusters et al., 2017) ma anche nella linguistica della Lingua dei Segni Italiana (Volterra et al., 2019), finalizzato a percorrere nuove vie di indagine che tengano maggiormente conto della complessità, variabilità e individualità della deaf experience. Bibliografia Albano Leoni, F. (2022). Voce. Il corpo del linguaggio. Carocci editore. Bauman, H-Dirksen L. (2008). ‘‘Listening to Phonocentrism with Deaf Eyes: Derrida’s Mute Philosophy of (Sign) Language’’ Essays in Philosophy 9(1) Article 2. De Meulder M., Kusters A., Moriarty E., Murray J.J. (2019). “Describe, don't prescribe. The practice and politics of translanguaging in the context of deaf signers”, Journal of Multilingual and Multicultural Development, 40:10, 892-906. Hymes, D. (1974), Foundations in Sociolinguistics. An Ethnographic Approach. Tavistock Publications Ltd. Jodelet, D. (2003). Les représentations sociales, Presses universitaires de France. Kisor, H. (2010). What’s That Pig Outdoors?: A Memoir of Deafness. University of Illinois Press Kusters A., De Meulder M., O’Brien D., eds. (2017). Innovations in Deaf Studies: the role of deaf scholars. Oxford University Press. Lane, H. (1992). The mask of benevolence: disabling the Deaf community. Knopf. Leigh, I. W. (2009). A lens on deaf identities. Oxford University Press. Moscovici, S. (1988). Notes Towards a Description of Social Representations. European Journal of Social Psychology, 18, 211-250. Volterra V., Roccaforte M., Di Renzo A., Fontana S. (2019). Descrivere la lingua dei segni italiana. Una prospettiva cognitiva e sociosemiotica. Il Mulino. Wagner, W. (1995). Description, Explanation, and Method in Social Representation Research. Papers on Social Representations, 4, 156-176. Wagner W., Hayes N. (2005). Everyday Discourse and Common Sense. The Theory of Social Representation. Bloomsbury Publishing. World Health Organization, World report on hearing (2021), https://apps.who.int/iris/handle/10665/339913

Le persone sorde e la voce. identità e vita quotidiana / Zuccala', Amir. - (2023). (Intervento presentato al convegno Congresso Internazionale del Gruppo di Studio sulla Comunicazione Parlata, Società di Linguistica Italiana, "La comunicazione parlata 2023. I 20 anni del GSCP” Roma, Sapienza Università di Roma tenutosi a Rome; Italy).

Le persone sorde e la voce. identità e vita quotidiana

Amir Zuccala'
2023

Abstract

“Just as each of us is a unique face, a figure, a character, so each of us is also a unique voice” (Albano Leoni, 2022, p. 38). In fact, not only is the voice “the instrument with which we say what we want to say" but "it is much more, and this more precedes the language, precedes the meanings [...] The voice also reveals the identity, the interiority of the speaker". If the voice has always had a crucial importance not only in language but in the construction and recognition of personal identity, in the perception and representation of oneself and others, what relationship do deaf people have with the voice, their own and that of others? others? Good residual hearing can allow the perception of some frequencies but speech frequencies are generally the most penalized by severe and profound deafness (with hearing threshold above 50db, see World report on hearing 2021). A diagnosis in the first months or years of life is followed by a path of speech therapy qualification, gradual perceptive and productive training of sounds, use and control of the voice, as an instrument in itself and in the strictly linguistic context. A vast literature has dealt with the impact of deafness on language development, the phases of acquisition of spoken and signed languages, bilingualism (signed and spoken languages), the complexity of the multimodal dimension of communication in the context of deafness. Deafness has been and is the object of social representation, predominantly polarized - using the historical definitions of social representation theory (Moscovici, 1988; Wagner, 1995; Jodelet, 2003) - in a hegemonic representation that considers deafness an individual deficit to be cured, field of interest and intervention of medicine, and a polemical representation in which deafness becomes a resource generating culture, shared values, collective identity (Zuccalà, 1997; Leigh 2009; Branni 2022). In Deaf Studies this polarization has always been central and the body is a privileged place in which this manifests itself: on the one hand it represents a defective condition to be normalized, masked, recovered; on the other, the manifestation of an identity that claims a visible presence through marked communication but above all the experience of the world in a visual-gestural and not acoustic-vocal modality. The voice of deaf people is tinged with the social representations of these two opposing dimensions, becoming in the first the primary objective of the logopedic path, a result to be achieved with effort, necessary for integration into the mainstream world, for presence (Bauman, 2008), for 'being there (non-word is more problematic than non-hearing); in the second a marginal feature not to be made visible as it is not relevant in the cultural connotation of deafness, a vehicle of misunderstandings (Kisor, 2010), a symbol of oppression of a majority that imposes voice/word (Lane, 1992) where deaf epistemology gives sense to the presence in the world of Sign Language People through the body, the hands, the eyes (Ladd, 2003). However, this polarization does not take into account the complexity and variability of the experience of deafness and the different uses of the body and voice that people make in their daily lives. What perception do deaf people have of their own (and others') voices? How does it contribute to building identity and acting in the world? How is it used, with what objectives and strategies? From a perspective that takes into account the theoretical frameworks of communication ethnography (Hymes, 1974), the analysis of social representations embedded in everyday life (Wagner and Hayes, 2005) and recent discussions on translanguaging in Deaf Studies (e.g. De Meulder et al., 2019) will present results and reflections starting from interviews conducted with deaf people on the personal relationship with the voice, the communication strategies implemented in daily experience, the representation of identity in relation to this dimension. The aim of the report is to contribute to the ongoing debate, taking place not only in Deaf and Disability Studies (Kusters et al., 2017) but also in the linguistics of Italian Sign Language (Volterra et al., 2019), aimed at following new paths of investigations that take greater account of the complexity, variability and individuality of the deaf experience. Bibliography Albano Leoni, F. (2022). Voice. The body of language. Carocci publisher. Bauman, H-Dirksen L. (2008). ‘‘Listening to Phonocentrism with Deaf Eyes: Derrida’s Mute Philosophy of (Sign) Language’’ Essays in Philosophy 9(1) Article 2. De Meulder M., Kusters A., Moriarty E., Murray J.J. (2019). “Describe, don't prescribe. The practice and politics of translanguaging in the context of deaf signers”, Journal of Multilingual and Multicultural Development, 40:10, 892-906. Hymes, D. (1974), Foundations in Sociolinguistics. An Ethnographic Approach. Tavistock Publications Ltd.
2023
“Come ciascuno di noi è una faccia, una figura, un carattere propri e unici, così ciascuno di noi è anche una voce unica” (Albano Leoni, 2022, p. 38). Non solo infatti la voce è “lo strumento con cui diciamo quello che vogliamo dire” ma “è molto di più, e questo di più precede la lingua, precede i significati […] La voce inoltre rivela l’identità, l’interiorità di chi parla”. Se la voce ha da sempre rivesto un’importanza cruciale non solo nel linguaggio ma nella costruzione e riconoscimento dell’identità personale, nella percezione e rappresentazione di sé e dell’altro, che relazione hanno le persone sorde con la voce, la propria e degli altri? Un buon residuo uditivo può consentire la percezione di alcune frequenze ma quelle del parlato sono in genere le più penalizzate dalla sordità grave e profonda (con soglia uditiva sopra i 50db, cfr. World report on hearing 2021). A una diagnosi nei primi mesi o anni di vita segue un percorso di abilitazione logopedica, di graduale allenamento percettivo e produttivo dei suoni, di uso e controllo della voce, come strumento in sé e in ambito propriamente linguistico. Una vasta letteratura si è occupata dell’impatto della sordità sullo sviluppo del linguaggio, delle fasi di acquisizione delle lingue parlate e segnate, del bilinguismo (lingue segnate e parlate), della complessità della dimensione multimodale della comunicazione nell’ambito della sordità. La sordità è stata ed è oggetto di rappresentazione sociale, prevalentemente polarizzata - utilizzando le storiche definizioni della social representation theory (Moscovici, 1988; Wagner, 1995; Jodelet, 2003) - in una rappresentazione egemonica che considera la sordità un deficit individuale da curare, campo di interesse e intervento della medicina, ed una rappresentazione polemica in cui la sordità diviene risorsa generatrice di cultura, valori condivisi, identità collettiva (Zuccalà, 1997; Leigh 2009; Branni 2022). Nei Deaf Studies tale polarizzazione è sempre stata centrale e il corpo è luogo privilegiato in cui questa si manifesta: da un lato rappresenta una condizione difettosa da normalizzare, mascherare, recuperare; dall’altro la manifestazione di una identità che rivendica una presenza visibile attraverso la comunicazione segnata ma soprattutto l’esperienza del mondo in una modalità visivo- gestuale e non acustico-vocale. La voce delle persone sorde si tinge delle rappresentazioni sociali di queste due dimensioni contrapposte, divenendo nella prima l’obiettivo primario del percorso logopedico, risultato da raggiungere con sforzo, necessario all’integrazione nel mondo mainstream, alla presenza (Bauman, 2008), all’esserci (la non-parola è più problematica del non-udito); nella seconda un tratto marginale da non rendere visibile in quanto non rilevante nella connotazione culturale della sordità, veicolo di fraintendimenti (Kisor, 2010), simbolo di oppressione di una maggioranza che impone voce/parola (Lane, 1992) laddove l’epistemologia sorda dà senso alla presenza nel mondo dei Sign Language People attraverso il corpo, le mani, gli occhi (Ladd, 2003). Tale polarizzazione non dà però conto della complessità e variabilità dell’esperienza della sordità e dei diversi usi del corpo e della voce che le persone fanno nella loro vita quotidiana. Che percezione hanno le persone sorde della propria (e altrui) voce? In che modo contribuisce a costruire l’identità e l’agire nel mondo? Come viene utilizzata, con quali obiettivi e strategie? In una prospettiva che tenga conto dei framework teorici dell’etnografia della comunicazione (Hymes, 1974), dell’analisi delle rappresentazioni sociali incorporate nella vita quotidiana (Wagner e Hayes, 2005) e delle recenti discussioni sul translanguaging nei Deaf Studies (ad es. De Meulder et al., 2019) si esporranno risultati e riflessioni a partire da interviste condotte a persone sorde sulla personale relazione con la voce, le strategie comunicative messe in atto nell’esperienza quotidiana, la rappresentazione dell’identità in rapporto a tale dimensione. Obiettivo della relazione è contribuire al dibattito in corso, in atto non solo nei Deaf e Disability Studies (Kusters et al., 2017) ma anche nella linguistica della Lingua dei Segni Italiana (Volterra et al., 2019), finalizzato a percorrere nuove vie di indagine che tengano maggiormente conto della complessità, variabilità e individualità della deaf experience. Bibliografia Albano Leoni, F. (2022). Voce. Il corpo del linguaggio. Carocci editore. Bauman, H-Dirksen L. (2008). ‘‘Listening to Phonocentrism with Deaf Eyes: Derrida’s Mute Philosophy of (Sign) Language’’ Essays in Philosophy 9(1) Article 2. De Meulder M., Kusters A., Moriarty E., Murray J.J. (2019). “Describe, don't prescribe. The practice and politics of translanguaging in the context of deaf signers”, Journal of Multilingual and Multicultural Development, 40:10, 892-906. Hymes, D. (1974), Foundations in Sociolinguistics. An Ethnographic Approach. Tavistock Publications Ltd. Jodelet, D. (2003). Les représentations sociales, Presses universitaires de France. Kisor, H. (2010). What’s That Pig Outdoors?: A Memoir of Deafness. University of Illinois Press Kusters A., De Meulder M., O’Brien D., eds. (2017). Innovations in Deaf Studies: the role of deaf scholars. Oxford University Press. Lane, H. (1992). The mask of benevolence: disabling the Deaf community. Knopf. Leigh, I. W. (2009). A lens on deaf identities. Oxford University Press. Moscovici, S. (1988). Notes Towards a Description of Social Representations. European Journal of Social Psychology, 18, 211-250. Volterra V., Roccaforte M., Di Renzo A., Fontana S. (2019). Descrivere la lingua dei segni italiana. Una prospettiva cognitiva e sociosemiotica. Il Mulino. Wagner, W. (1995). Description, Explanation, and Method in Social Representation Research. Papers on Social Representations, 4, 156-176. Wagner W., Hayes N. (2005). Everyday Discourse and Common Sense. The Theory of Social Representation. Bloomsbury Publishing. World Health Organization, World report on hearing (2021), https://apps.who.int/iris/handle/10665/339913
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1682903
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