Il design, in particolare quello italiano, è il risultato di una complessa alchimia che fonda le sue radici tanto nella nostra capacità di immaginare, quanto in quella di innovare. La sua genesi è infatti piuttosto singolare, vista la sostanziale assenza delle “condizioni di contorno” che invece caratterizzano la nascita della disciplina nelle altre nazioni europee. Mancano in Italia sia un reale sostegno di tipo politico-istituzionale, come ad esempio nelle socialdemocrazie scandinave, sia un forte sistema industriale capace di supportare la nuova produzione con le giuste risorse. Il design italiano nasce come sintesi tra saper fare e saper immaginare, e, piuttosto che all’ombra di un consolidato movimento razionalista, germina sotto l’influenza di due correnti forti dell’arte italiana, il Futurismo e la Metafisica. Si sviluppa quindi necessariamente con caratteri molto diversi da quello tedesco o inglese, ben lontano dall’utopia tecnocratica americana e anche da visioni totalizzanti di stampo più europeo, e stenta a costituirsi come un sistema organico definibile in un quadro sistematizzato con il livello dell’architettura e della città. In tale contesto, che dal punto di vista economico e sociale risulta caratterizzato da molte incertezze, e che appare fondato su una versione della Modernità che Andrea Branzi (1) definisce “non ortodossa”, emerge una sorta di “paradosso italiano” del progetto, basato su di una fitta rete di piccole e medie aziende e su una storica sapienza artigianale. Al design italiano va per altro riconosciuta un’attitudine spiazzante che lo porta a rivolgersi al mondo dell’arte per le sue possibilità tecnologiche e al mondo della tecnologia avanzata per le sue capacità espressive. Cogliere dell’arte le potenzialità tecniche vuol dire renderne operanti aspetti concreti e materiali, trasponendoli al design con un’operazione spesso spregiudicata; parallelamente, rivolgersi alla tecnologia per le sue possibilità artistiche significa rilanciare, al di là del suo bersaglio immediato, quello che l’innovazione può comportare, aprendola ad una dimensione più ampia e libera. Caratteristiche queste, che hanno reso il design italiano unico perché frutto di una rara alchimia in bilico tra innovazione e utopia (2) e che ha saputo sviluppare una propria e personale via all’innovazione sulla base di una innata attitudine visionaria (3). Il design ha inoltre la capacità di comunicare il valore dell’innovazione, rendendone chiari i benefici e le applicazioni e riducendone notevolmente i tempi di adozione a livello industriale. Per queste motivazioni l’EU ha iniziato a promuovere e sostenere l’approccio design-driven innovation già da tempo applicato in Italia, come fattore cruciale nella promozione della produzione industriale, in particolare nelle industrie creative ovvero quelle industrie che hanno capacità di produrre innovazione non solo attraverso le capacità tecnologiche, ma anche e soprattutto attraverso la cultura e la responsabilità sociale. (4) Ecco allora che oggi la figura del designer – inteso come abile gestore di attività tecniche e concettuali, ma anche come intermediatore tra scienziati/utenti e tra produttori/ utilizzatori - è riconosciuta come cruciale in tutti i settori dell’innovazione. Infatti, rispetto alla consuetudine che vedeva le pratiche di design utili esclusivamente nella fase finale dello sviluppo tecnico - come opportunità per l’estetica dei prodotti - oggi è oramai acquisita la sua importanza anche nella fase della ricerca scientifica di base, come ad esempio quella dedicata allo sviluppo di nuovi materiali, mettendo in moto un circolo virtuoso dalla Scienza al Design.
Il design, un’alchimia tra arte e scienza, artigianato e industria: prospettive / Lucibello, Sabrina. - In: PALLADIO. - ISSN 0031-0379. - 63-64:(2019), pp. 121-126.
Il design, un’alchimia tra arte e scienza, artigianato e industria: prospettive
Sabrina Lucibello
2019
Abstract
Il design, in particolare quello italiano, è il risultato di una complessa alchimia che fonda le sue radici tanto nella nostra capacità di immaginare, quanto in quella di innovare. La sua genesi è infatti piuttosto singolare, vista la sostanziale assenza delle “condizioni di contorno” che invece caratterizzano la nascita della disciplina nelle altre nazioni europee. Mancano in Italia sia un reale sostegno di tipo politico-istituzionale, come ad esempio nelle socialdemocrazie scandinave, sia un forte sistema industriale capace di supportare la nuova produzione con le giuste risorse. Il design italiano nasce come sintesi tra saper fare e saper immaginare, e, piuttosto che all’ombra di un consolidato movimento razionalista, germina sotto l’influenza di due correnti forti dell’arte italiana, il Futurismo e la Metafisica. Si sviluppa quindi necessariamente con caratteri molto diversi da quello tedesco o inglese, ben lontano dall’utopia tecnocratica americana e anche da visioni totalizzanti di stampo più europeo, e stenta a costituirsi come un sistema organico definibile in un quadro sistematizzato con il livello dell’architettura e della città. In tale contesto, che dal punto di vista economico e sociale risulta caratterizzato da molte incertezze, e che appare fondato su una versione della Modernità che Andrea Branzi (1) definisce “non ortodossa”, emerge una sorta di “paradosso italiano” del progetto, basato su di una fitta rete di piccole e medie aziende e su una storica sapienza artigianale. Al design italiano va per altro riconosciuta un’attitudine spiazzante che lo porta a rivolgersi al mondo dell’arte per le sue possibilità tecnologiche e al mondo della tecnologia avanzata per le sue capacità espressive. Cogliere dell’arte le potenzialità tecniche vuol dire renderne operanti aspetti concreti e materiali, trasponendoli al design con un’operazione spesso spregiudicata; parallelamente, rivolgersi alla tecnologia per le sue possibilità artistiche significa rilanciare, al di là del suo bersaglio immediato, quello che l’innovazione può comportare, aprendola ad una dimensione più ampia e libera. Caratteristiche queste, che hanno reso il design italiano unico perché frutto di una rara alchimia in bilico tra innovazione e utopia (2) e che ha saputo sviluppare una propria e personale via all’innovazione sulla base di una innata attitudine visionaria (3). Il design ha inoltre la capacità di comunicare il valore dell’innovazione, rendendone chiari i benefici e le applicazioni e riducendone notevolmente i tempi di adozione a livello industriale. Per queste motivazioni l’EU ha iniziato a promuovere e sostenere l’approccio design-driven innovation già da tempo applicato in Italia, come fattore cruciale nella promozione della produzione industriale, in particolare nelle industrie creative ovvero quelle industrie che hanno capacità di produrre innovazione non solo attraverso le capacità tecnologiche, ma anche e soprattutto attraverso la cultura e la responsabilità sociale. (4) Ecco allora che oggi la figura del designer – inteso come abile gestore di attività tecniche e concettuali, ma anche come intermediatore tra scienziati/utenti e tra produttori/ utilizzatori - è riconosciuta come cruciale in tutti i settori dell’innovazione. Infatti, rispetto alla consuetudine che vedeva le pratiche di design utili esclusivamente nella fase finale dello sviluppo tecnico - come opportunità per l’estetica dei prodotti - oggi è oramai acquisita la sua importanza anche nella fase della ricerca scientifica di base, come ad esempio quella dedicata allo sviluppo di nuovi materiali, mettendo in moto un circolo virtuoso dalla Scienza al Design.File | Dimensione | Formato | |
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