The political legacy of Hungarian composer Béla Bartók is a crucial theme to understand European culture of the Cold War era. In this article, drawing on Cold War music studies, Bartók’s reception in Italy is investigated for the first time. After the first piano tours in 1920s, the Hungarian composer becomes a champion of musical modernism. He is progressively used by the Fascist regime to resist the cultural and political domination of Nazi Germany (for instance, in 1942 the Teatro alla Scala stages the controversial Bartók’s ballet The Miraculous Mandarin). In the post-war era Bartók constitutes the point of reference of left-wing intellectuals who considered him as «the musician of freedom». Because of the influences of Zhdanovism, of Gramsci’s thought, of the Marshall Plan, and of the Darmstadt School, the Bartokian way became the only available choice to musicologists, choreographers, composers, journalists, and ethnomusicologists. This led to the emergence of a real wave in the years 1945-1955. As the left-wing orientation changed, the Bartokian wave vanished: Bartók «dies» in Italy in 1956, exactly when De-Stalinization begins. After the end of twentieth century and of avant-gardes, recent studies on the cultural influences of the Fascism and Communism, which are neither ephemeral nor merely utopian, call upon to reconsider this Bartokian alternative. What is at stake is the opportunity to pluralise the last century and to rewrite its history through music.

L’eredità politica del compositore ungherese Béla Bartók è un tema cruciale per comprendere la cultura europea durante la Guerra Fredda. Facendo riferimento ai Cold War music studies, questo articolo analizza per la prima volta la ricezione di Bartók in Italia. Dopo le prime tournée pianistiche degli anni Venti, il compositore ungherese diventa un campione del modernismo musicale e viene progressivamente sfruttato dal regime fascista per controbilanciare le pressioni culturali e politiche della Germania nazista (ad esempio nel 1942 Il Mandarino meraviglioso è rappresentato alla Scala). Nel dopoguerra gli intellettuali di area comunista si appropriano del valore «resistente» del suo modernismo musicale e ne fanno un eroe della Libertà. Le pressioni successive dello zdanovismo, del pensiero di Gramsci, del Piano Marshall e dell’avanguardia di Darmstadt definiscono la scelta bartokiana come unica alternativa praticabile per un vasto insieme di attori (musicologi, coreografi, compositori, giornalisti, etnomusicologi) e permettono l’emergenza di una vera e propria ondata (1945-1955). Ma quest’ultima conserva, nel carattere accidentale dell’alternativa, il segno della rottura politica che l’ha originata. Cambiati gli indirizzi della cultura di sinistra, essa si volatilizza: Bartók «muore» in Italia nel 1956 al sopraggiungere della destalinizzazione. Oggi, con la fine del Novecento e delle avanguardie, gli studi sul portato non effimero o puramente utopico del comunismo e del fascismo nella cultura invitano a recuperare l’alternativa bartokiana. L’opportunità è quella di pluralizzare il secolo appena trascorso e di riscriverne la storia attraverso la musica.

Il musicista della libertà: l'influenza di Béla Bartók nella cultura musicale italiana degli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento / Palazzetti, Nicolò. - In: RIVISTA ITALIANA DI MUSICOLOGIA. - ISSN 0035-6867. - 50:(2015), pp. 147-197.

Il musicista della libertà: l'influenza di Béla Bartók nella cultura musicale italiana degli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento

Palazzetti Nicolò
2015

Abstract

The political legacy of Hungarian composer Béla Bartók is a crucial theme to understand European culture of the Cold War era. In this article, drawing on Cold War music studies, Bartók’s reception in Italy is investigated for the first time. After the first piano tours in 1920s, the Hungarian composer becomes a champion of musical modernism. He is progressively used by the Fascist regime to resist the cultural and political domination of Nazi Germany (for instance, in 1942 the Teatro alla Scala stages the controversial Bartók’s ballet The Miraculous Mandarin). In the post-war era Bartók constitutes the point of reference of left-wing intellectuals who considered him as «the musician of freedom». Because of the influences of Zhdanovism, of Gramsci’s thought, of the Marshall Plan, and of the Darmstadt School, the Bartokian way became the only available choice to musicologists, choreographers, composers, journalists, and ethnomusicologists. This led to the emergence of a real wave in the years 1945-1955. As the left-wing orientation changed, the Bartokian wave vanished: Bartók «dies» in Italy in 1956, exactly when De-Stalinization begins. After the end of twentieth century and of avant-gardes, recent studies on the cultural influences of the Fascism and Communism, which are neither ephemeral nor merely utopian, call upon to reconsider this Bartokian alternative. What is at stake is the opportunity to pluralise the last century and to rewrite its history through music.
2015
L’eredità politica del compositore ungherese Béla Bartók è un tema cruciale per comprendere la cultura europea durante la Guerra Fredda. Facendo riferimento ai Cold War music studies, questo articolo analizza per la prima volta la ricezione di Bartók in Italia. Dopo le prime tournée pianistiche degli anni Venti, il compositore ungherese diventa un campione del modernismo musicale e viene progressivamente sfruttato dal regime fascista per controbilanciare le pressioni culturali e politiche della Germania nazista (ad esempio nel 1942 Il Mandarino meraviglioso è rappresentato alla Scala). Nel dopoguerra gli intellettuali di area comunista si appropriano del valore «resistente» del suo modernismo musicale e ne fanno un eroe della Libertà. Le pressioni successive dello zdanovismo, del pensiero di Gramsci, del Piano Marshall e dell’avanguardia di Darmstadt definiscono la scelta bartokiana come unica alternativa praticabile per un vasto insieme di attori (musicologi, coreografi, compositori, giornalisti, etnomusicologi) e permettono l’emergenza di una vera e propria ondata (1945-1955). Ma quest’ultima conserva, nel carattere accidentale dell’alternativa, il segno della rottura politica che l’ha originata. Cambiati gli indirizzi della cultura di sinistra, essa si volatilizza: Bartók «muore» in Italia nel 1956 al sopraggiungere della destalinizzazione. Oggi, con la fine del Novecento e delle avanguardie, gli studi sul portato non effimero o puramente utopico del comunismo e del fascismo nella cultura invitano a recuperare l’alternativa bartokiana. L’opportunità è quella di pluralizzare il secolo appena trascorso e di riscriverne la storia attraverso la musica.
Béla Bartók; Musica e politica; Fascismo; Resistenza; Musica italiana nel Novecento
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Il musicista della libertà: l'influenza di Béla Bartók nella cultura musicale italiana degli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento / Palazzetti, Nicolò. - In: RIVISTA ITALIANA DI MUSICOLOGIA. - ISSN 0035-6867. - 50:(2015), pp. 147-197.
File allegati a questo prodotto
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1600690
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact