L’inquinamento da elementi tossici (TEs) o potenzialmente tossici (PTEs) nel suolo è argomento di crescente interesse a causa della loro persistenza e tossicità nell’ambiente e soprattutto nel suolo. Un suolo contaminato costituisce un problema ambientale per quanto riguarda la “qualità” e la biodiversità del suolo, l’inquinamento delle falde e corpi d’acqua, la resa delle colture di interesse agrario e la salute umana a causa del bioaccumulo nella catena alimentare. La legislazione italiana (D. Lgs.152/2006 “Norme in materia ambientale”) disciplina i limiti di accettabilità della contaminazione del suolo, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti (uso verde pubblico/residenziale o uso industriale) e (D.M. 46/2019) stabilisce le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) per i composti inorganici nei suoli delle aree agricole. A livello legislativo i limiti stabiliti si riferiscono al contenuto totale di elementi nel suolo e non alla frazione biodisponibile cioè potenzialmente assimilabile dal biota o lisciviabile, di grande interesse per gli studi di contaminazione dei suoli in quanto rappresenta la frazione maggiormente mobile degli elementi in esso presenti. Diversi studi hanno evidenziato come gli effetti biologici legati al rischio di inquinamento da metalli pesanti nel sistema suolo-pianta sia correlato proprio alla frazione biodisponibile che però viene tralasciata a livello legislativo in quanto di difficile parametrizzazione anche in relazione al fatto che ad oggi non esiste un metodo riconosciuto come approccio universale per la valutazione della biodisponibilità; l’utilizzo di tecniche di estrazione selettiva sembra essere promettente per la determinazione della frazione biodisponibile degli elementi nel suolo. Un altro dei principali problemi nell’effettuare ricerche in questo settore è proprio la grande variabilità naturale (sia spaziale che inter-individuo) che impedisce di effettuare confronti attendibili tra i diversi risultati analitici. Lo scopo della ricerca riguarda lo studio dei meccanismi di trasferimento e dei fattori che intervengono nell’assorbimento di elementi tossici o potenzialmente tossici dal suolo alla pianta con specifico riferimento al frumento duro e alle olive in considerazione della loro particolare rilevanza per il settore agroindustriale nazionale, per gli aspetti legati alla tipicità, e per il legame con la Dieta Mediterranea. Il progetto è stato svolto in collaborazione con ENEA (C.R. Casaccia di Roma), Divisione Biotecnologie e Agroindustria - Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali (SSPT-BIOAG) che ha reso disponibili strumentazioni e procedure analitiche e la collezione di ulivi, e con il CREA – Centro di Ricerca Ingegneria e Trasformazioni agro-alimentari (Roma), che ha reso disponibili i campi sperimentali di frumento duro presso le Aziende ‘Inviolatella’ (Roma) e ‘La Castellaccia’ Montelibretti (RM). Lo studio è stato condotto su 4 diverse aree sperimentali con caratteristiche pedologiche diverse ma omogenei per varietà/cultivar: per il frumento duro i campi sperimentali del CREA (Inviolatella e Montelibretti) e per l’olivo la collezione ENEA Casaccia e 5 diversi siti produttivi nel comune di Allumiere. Per quanto riguarda il grano, le cultivar di frumento duro sono state scelte in base al decennio di costituzione: Iride, Simeto (costituite negli anni 90), Achille, Antalis, Santograal (costituite dopo il 2010), mentre per quanto riguarda l’olivo le varietà sono state scelte in base alla loro diversa destinazione d’uso commerciale: varietà da olio (Cipresso, Canino, Frantoio, Leccino, Maurino, Moraiolo, Pendolino), varietà da tavola (Ascolana, Uovo di piccione), varietà a doppio scopo (Itrana e Ortice). La messa a punto e l’applicazione di specifiche procedure di campionamento e pretrattamento dei campioni nonché delle metodologie analitiche ottimizzate per ogni singola tipologia di matrice, hanno consentito di quantificare il contenuto totale di elementi nei suoli, nelle diverse parti della pianta (radice, parte aerea e cariossidi – per il frumento duro; drupe e foglie – per l’ulivo e drupe, parte aerea e radici per l’individuo suolo-piana di ulivo); nelle deposizioni atmosferiche (umide, secche e totali), la frazione mobile (biodisponibile) di elementi del suolo e i principali parametri chimico-fisici del suolo che influenzano la biodisponibilità degli elementi. È stato possibile inoltre valutare il trasferimento degli elementi dal suolo alle radici e dalle radici alla parte aerea grazie all’utilizzo del coefficiente di assorbimento biologico (BAC) e il fattore di traslocazione (TF). Inoltre avendo a disposizione campi sperimentali omogenei per varietà/cultivar è stato possibile effettuare sia il confronto tra differenti varietà/cultivar presenti nello stesso campo (che condividono quindi le stesse caratteristiche di suolo - anche in termini di biodisponibilità degli elementi - e condizioni pedoclimatiche) sia il confronto tra le stesse varietà/cultivar presenti in campi differenti (coltivate quindi su suoli differenti e in differenti condizioni pedoclimatiche). La valutazione della frazione biodisponibile è stata effettuata tramite estrazioni selettive con EDTA (etilendiammina tetracetica) e low-molecular-weight-organic acids (LMWOAs) e attraverso un calcolo di regressione lineare è stato ricavato il coefficiente di estrazione caratteristico per elemento, che quantifica la capacità estrattiva del solvente, correlabile alla disponibilità e alla mobilità dell'elemento nel suolo ossia la frazione potenzialmente assimilabile dalle piante. Per alcuni elementi, nei differenti suoli, sono state riscontrate concentrazioni maggiori rispetto ai limiti imposti dalla normativa vigente ma in ogni caso le concentrazioni di questi elementi nella parte edibile delle specie vegetali studiate rientrano all’interno dei range normali. Ancora una volta si evidenzia quindi che fare riferimento ai soli limiti di legge in questo senso non aiuta, perché, come nel nostro caso, gli elevati livelli di metalli trovati possono essere in parte dovuti alla presenza di un substrato geologico ricco di questi elementi, mentre, al contrario, elementi che presentano concentrazioni inferiori ai limiti di legge possono avere origine antropica e per questo essere maggiormente mobili, infatti un ruolo determinante, per alcuni elementi, è rappresentato dalla deposizione atmosferica. Inoltre dai risultati ottenuti sul contenuto totale del suolo ci saremmo dovuti aspettare un maggior contenuto di questi elementi nella pianta, cosa che non si è verificata proprio in quanto la quantità di elementi assimilabili dalla pianta non è legata al contenuto totale di elementi nel suolo ma piuttosto alla frazione biodisponibile/mobile. In più, come evidenziato per alcuni elementi, non sono da trascurare neanche i meccanismi che la pianta mette in atto al fine di accumulare i nutrienti nella parte edibile (Cu, Zn) piuttosto che i contaminanti nelle radici (Ve Ni) per limitarne gli effetti di tossicità. Gli strumenti utilizzati si sono quindi dimostrati adeguati ad indagare differenze nell’assorbimento tra le cultivar/varietà presenti nello stesso campo e in campi differenti ma non è stato possibile dire con certezza quale dei due estraenti sia maggiormente predittivo della frazione mobile/biodisponibile degli elementi nel suolo anche se tra i due l’EDTA sembra stimare il contenuto esclusivamente di Cu nell’intera pianta di frumento duro mentre non sono state evidenziate correlazioni tra gli estratti e le parti della pianta (drupe e foglie di olivo). Per il caso studio sul frumento duro dalla valutazione delle differenze nel contenuto di elementi nelle diverse parti della pianta di ciascuna cultivar è emerso che mentre all’interno di ciascuna cultivar non sono state evidenziate differenze significative tra le piante presenti nello stesso campo, sono invece emerse differenze tra le differenti cultivar, quasi ad indicare il diverso comportamento di alcune cultivar rispetto ad altre pur condividendo lo stesso suolo. Nello specifico, facendo riferimento alla parte edibile, sia per le cultivar presenti nel campo Inviolatella che per quelle di Montelibretti sono state evidenziate differenze significative rispetto al maggior contenuto di Cd nelle cariossidi della cultivar Simeto, e per il campo di Montelibretti per la stessa cultivar sono state evidenziate differenze significative per il contenuto di Cd anche nella parte aerea e nelle radici. Questo effetto può essere dovuto a differenze genotipiche tra le cultivar; nello specifico alla presenza del gene Cdu1 (Cadmium uptake 1), un importante QTL che controlla l'accumulo di Cd nel grano. Le cultivar Iride e Antalis sembrano invece bloccare il cadmio a livello radicale, impedendone la traslocazione nelle cariossidi. Similitudini nella capacità di traslocare gli elementi dalle radici alle porzioni epigee delle piante si notano, indipendentemente dal campo sperimentale, in tutte le cultivar; si nota per Cr, Pb, Ni e V sempre un effetto barriera a livello radicale che determina una bassissima traslocazione degli elementi nelle parti aeree; mentre per quanto riguarda gli elementi essenziali per la pianta come Cu e Zn si nota sempre una maggior facilità di traslocazione nelle porzioni epigee della pianta, anche se per le piante del campo di Inviolatella questi elementi vengono traslocati maggiormente nelle cariossidi, mentre nel campo di Montelibretti nella parte aerea. Nonostante le diverse cultivar abbiamo quindi un comportamento simile in entrambe i campi l’utilizzo della PCA come tecnica esplorativa ha evidenziato due raggruppamenti distinti uno per Inviolatella e uno per Montelibretti per tutte le matrici (tranne che per la parte aerea, in quanto probabilmente per la maggior parte degli elementi funge esclusivamente da canale di trasporto); a significare che la diversa mobilità degli elementi nel suolo incide sul diverso contenuto totale degli elementi nella pianta. Per il caso studio sull’olivo dalla valutazione delle differenze nel contenuto di elementi nelle diverse parti della pianta di ciascuna varietà è emerso che per questa tipologia di pianta non è tanto la varietà a determinare un differente contenuto di elementi all’interno della stessa quanto il contenuto totale del suolo e la biodisponibilità degli elementi. Infatti, come evidenziato anche dall’analisi in componenti principali, si notano dei raggruppamenti distinti tra campi confermato dall’anova a due vie utilizzata al fine di evidenziare i raggruppamenti campo-varietà. I risultati ottenuti dallo studio del singolo individuo suolo-pianta di olivo confermano quanto evidenziato per drupe e foglie; nello specifico As, Co, Cr, Rb e Se e V si trovano concentrati principalmente a livello radicale (effetto barriera della radice), Pb e Sr si trovano maggiormente concentrati a livello del fusto e il Ti nelle foglie mentre V solo a livello delle radici e in misura minore delle foglie. Fe, Zn e Cu sono gli elementi maggiormente presenti nelle drupe. A differenza del frumento duro, l’olivo – indipendentemente dalla varietà - può essere considerato un buon indicatore di inquinamento ambientale. Questo aspetto è particolarmente evidente e problematico proprio se si considera la drupa, ossia la parte edibile della pianta, nella quale l’accumulo di elementi tossici potrebbe causare un problema dal punto di vista della sicurezza alimentare. La stima del peso delle diverse caratteristiche del suolo sulla mobilità degli elementi deve essere implementata anche estendendo il progetto di ricerca su un numero maggiore di campi sperimentali così da avere un numero statisticamente significativo di variabili da poter confrontare. Inoltre anche lo studio dell’associazione suolo-cultivar dovrebbe essere implementato al fine di verificare se una cultivar come Simeto, ad esempio, che accumula più cadmio a livello delle cariossidi può costituire un problema di sicurezza alimentare se coltivato su un suolo contaminato. In più le informazioni raccolte sull’uptake e la distribuzione degli elementi nelle diverse parti delle piante, soprattutto nella parte edibile possono avere anche implicazioni agronomiche, in quanto la preventiva valutazione della biodisponibilità degli elementi nel suolo potrebbe essere utile al fine di selezionare e coltivare determinate cultivar (caratterizzate ad esempio da un minor uptake e traslocazione di un determinato elemento) rispetto ad altre. La contaminazione del suolo da parte di metalli potenzialmente tossici (MPT) pone seri rischi per il biota e la salute dell’uomo. Pertanto si sottolinea l’importanza della valutazione della biodisponibilità degli elementi nel suolo in modo integrato, così come effettuato in questo studio e la necessità dello sviluppo di un metodo universale per la valutazione della biodisponibilità degli elementi nel suolo al fine di poter prevedere e stimare non solo l’impatto ambientale degli elementi tossici e potenzialmente tossici ma anche l’inquinamento della catena alimentare.

Studio dei meccanismi di trasferimento e dei fattori che intervengono nell’assorbimento di elementi tossici o potenzialmente tossici dal suolo alla pianta: il caso studio del frumento duro e dell’olivo / Pucci, Emilia. - (2021 May 28).

Studio dei meccanismi di trasferimento e dei fattori che intervengono nell’assorbimento di elementi tossici o potenzialmente tossici dal suolo alla pianta: il caso studio del frumento duro e dell’olivo

PUCCI, EMILIA
28/05/2021

Abstract

L’inquinamento da elementi tossici (TEs) o potenzialmente tossici (PTEs) nel suolo è argomento di crescente interesse a causa della loro persistenza e tossicità nell’ambiente e soprattutto nel suolo. Un suolo contaminato costituisce un problema ambientale per quanto riguarda la “qualità” e la biodiversità del suolo, l’inquinamento delle falde e corpi d’acqua, la resa delle colture di interesse agrario e la salute umana a causa del bioaccumulo nella catena alimentare. La legislazione italiana (D. Lgs.152/2006 “Norme in materia ambientale”) disciplina i limiti di accettabilità della contaminazione del suolo, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti (uso verde pubblico/residenziale o uso industriale) e (D.M. 46/2019) stabilisce le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) per i composti inorganici nei suoli delle aree agricole. A livello legislativo i limiti stabiliti si riferiscono al contenuto totale di elementi nel suolo e non alla frazione biodisponibile cioè potenzialmente assimilabile dal biota o lisciviabile, di grande interesse per gli studi di contaminazione dei suoli in quanto rappresenta la frazione maggiormente mobile degli elementi in esso presenti. Diversi studi hanno evidenziato come gli effetti biologici legati al rischio di inquinamento da metalli pesanti nel sistema suolo-pianta sia correlato proprio alla frazione biodisponibile che però viene tralasciata a livello legislativo in quanto di difficile parametrizzazione anche in relazione al fatto che ad oggi non esiste un metodo riconosciuto come approccio universale per la valutazione della biodisponibilità; l’utilizzo di tecniche di estrazione selettiva sembra essere promettente per la determinazione della frazione biodisponibile degli elementi nel suolo. Un altro dei principali problemi nell’effettuare ricerche in questo settore è proprio la grande variabilità naturale (sia spaziale che inter-individuo) che impedisce di effettuare confronti attendibili tra i diversi risultati analitici. Lo scopo della ricerca riguarda lo studio dei meccanismi di trasferimento e dei fattori che intervengono nell’assorbimento di elementi tossici o potenzialmente tossici dal suolo alla pianta con specifico riferimento al frumento duro e alle olive in considerazione della loro particolare rilevanza per il settore agroindustriale nazionale, per gli aspetti legati alla tipicità, e per il legame con la Dieta Mediterranea. Il progetto è stato svolto in collaborazione con ENEA (C.R. Casaccia di Roma), Divisione Biotecnologie e Agroindustria - Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali (SSPT-BIOAG) che ha reso disponibili strumentazioni e procedure analitiche e la collezione di ulivi, e con il CREA – Centro di Ricerca Ingegneria e Trasformazioni agro-alimentari (Roma), che ha reso disponibili i campi sperimentali di frumento duro presso le Aziende ‘Inviolatella’ (Roma) e ‘La Castellaccia’ Montelibretti (RM). Lo studio è stato condotto su 4 diverse aree sperimentali con caratteristiche pedologiche diverse ma omogenei per varietà/cultivar: per il frumento duro i campi sperimentali del CREA (Inviolatella e Montelibretti) e per l’olivo la collezione ENEA Casaccia e 5 diversi siti produttivi nel comune di Allumiere. Per quanto riguarda il grano, le cultivar di frumento duro sono state scelte in base al decennio di costituzione: Iride, Simeto (costituite negli anni 90), Achille, Antalis, Santograal (costituite dopo il 2010), mentre per quanto riguarda l’olivo le varietà sono state scelte in base alla loro diversa destinazione d’uso commerciale: varietà da olio (Cipresso, Canino, Frantoio, Leccino, Maurino, Moraiolo, Pendolino), varietà da tavola (Ascolana, Uovo di piccione), varietà a doppio scopo (Itrana e Ortice). La messa a punto e l’applicazione di specifiche procedure di campionamento e pretrattamento dei campioni nonché delle metodologie analitiche ottimizzate per ogni singola tipologia di matrice, hanno consentito di quantificare il contenuto totale di elementi nei suoli, nelle diverse parti della pianta (radice, parte aerea e cariossidi – per il frumento duro; drupe e foglie – per l’ulivo e drupe, parte aerea e radici per l’individuo suolo-piana di ulivo); nelle deposizioni atmosferiche (umide, secche e totali), la frazione mobile (biodisponibile) di elementi del suolo e i principali parametri chimico-fisici del suolo che influenzano la biodisponibilità degli elementi. È stato possibile inoltre valutare il trasferimento degli elementi dal suolo alle radici e dalle radici alla parte aerea grazie all’utilizzo del coefficiente di assorbimento biologico (BAC) e il fattore di traslocazione (TF). Inoltre avendo a disposizione campi sperimentali omogenei per varietà/cultivar è stato possibile effettuare sia il confronto tra differenti varietà/cultivar presenti nello stesso campo (che condividono quindi le stesse caratteristiche di suolo - anche in termini di biodisponibilità degli elementi - e condizioni pedoclimatiche) sia il confronto tra le stesse varietà/cultivar presenti in campi differenti (coltivate quindi su suoli differenti e in differenti condizioni pedoclimatiche). La valutazione della frazione biodisponibile è stata effettuata tramite estrazioni selettive con EDTA (etilendiammina tetracetica) e low-molecular-weight-organic acids (LMWOAs) e attraverso un calcolo di regressione lineare è stato ricavato il coefficiente di estrazione caratteristico per elemento, che quantifica la capacità estrattiva del solvente, correlabile alla disponibilità e alla mobilità dell'elemento nel suolo ossia la frazione potenzialmente assimilabile dalle piante. Per alcuni elementi, nei differenti suoli, sono state riscontrate concentrazioni maggiori rispetto ai limiti imposti dalla normativa vigente ma in ogni caso le concentrazioni di questi elementi nella parte edibile delle specie vegetali studiate rientrano all’interno dei range normali. Ancora una volta si evidenzia quindi che fare riferimento ai soli limiti di legge in questo senso non aiuta, perché, come nel nostro caso, gli elevati livelli di metalli trovati possono essere in parte dovuti alla presenza di un substrato geologico ricco di questi elementi, mentre, al contrario, elementi che presentano concentrazioni inferiori ai limiti di legge possono avere origine antropica e per questo essere maggiormente mobili, infatti un ruolo determinante, per alcuni elementi, è rappresentato dalla deposizione atmosferica. Inoltre dai risultati ottenuti sul contenuto totale del suolo ci saremmo dovuti aspettare un maggior contenuto di questi elementi nella pianta, cosa che non si è verificata proprio in quanto la quantità di elementi assimilabili dalla pianta non è legata al contenuto totale di elementi nel suolo ma piuttosto alla frazione biodisponibile/mobile. In più, come evidenziato per alcuni elementi, non sono da trascurare neanche i meccanismi che la pianta mette in atto al fine di accumulare i nutrienti nella parte edibile (Cu, Zn) piuttosto che i contaminanti nelle radici (Ve Ni) per limitarne gli effetti di tossicità. Gli strumenti utilizzati si sono quindi dimostrati adeguati ad indagare differenze nell’assorbimento tra le cultivar/varietà presenti nello stesso campo e in campi differenti ma non è stato possibile dire con certezza quale dei due estraenti sia maggiormente predittivo della frazione mobile/biodisponibile degli elementi nel suolo anche se tra i due l’EDTA sembra stimare il contenuto esclusivamente di Cu nell’intera pianta di frumento duro mentre non sono state evidenziate correlazioni tra gli estratti e le parti della pianta (drupe e foglie di olivo). Per il caso studio sul frumento duro dalla valutazione delle differenze nel contenuto di elementi nelle diverse parti della pianta di ciascuna cultivar è emerso che mentre all’interno di ciascuna cultivar non sono state evidenziate differenze significative tra le piante presenti nello stesso campo, sono invece emerse differenze tra le differenti cultivar, quasi ad indicare il diverso comportamento di alcune cultivar rispetto ad altre pur condividendo lo stesso suolo. Nello specifico, facendo riferimento alla parte edibile, sia per le cultivar presenti nel campo Inviolatella che per quelle di Montelibretti sono state evidenziate differenze significative rispetto al maggior contenuto di Cd nelle cariossidi della cultivar Simeto, e per il campo di Montelibretti per la stessa cultivar sono state evidenziate differenze significative per il contenuto di Cd anche nella parte aerea e nelle radici. Questo effetto può essere dovuto a differenze genotipiche tra le cultivar; nello specifico alla presenza del gene Cdu1 (Cadmium uptake 1), un importante QTL che controlla l'accumulo di Cd nel grano. Le cultivar Iride e Antalis sembrano invece bloccare il cadmio a livello radicale, impedendone la traslocazione nelle cariossidi. Similitudini nella capacità di traslocare gli elementi dalle radici alle porzioni epigee delle piante si notano, indipendentemente dal campo sperimentale, in tutte le cultivar; si nota per Cr, Pb, Ni e V sempre un effetto barriera a livello radicale che determina una bassissima traslocazione degli elementi nelle parti aeree; mentre per quanto riguarda gli elementi essenziali per la pianta come Cu e Zn si nota sempre una maggior facilità di traslocazione nelle porzioni epigee della pianta, anche se per le piante del campo di Inviolatella questi elementi vengono traslocati maggiormente nelle cariossidi, mentre nel campo di Montelibretti nella parte aerea. Nonostante le diverse cultivar abbiamo quindi un comportamento simile in entrambe i campi l’utilizzo della PCA come tecnica esplorativa ha evidenziato due raggruppamenti distinti uno per Inviolatella e uno per Montelibretti per tutte le matrici (tranne che per la parte aerea, in quanto probabilmente per la maggior parte degli elementi funge esclusivamente da canale di trasporto); a significare che la diversa mobilità degli elementi nel suolo incide sul diverso contenuto totale degli elementi nella pianta. Per il caso studio sull’olivo dalla valutazione delle differenze nel contenuto di elementi nelle diverse parti della pianta di ciascuna varietà è emerso che per questa tipologia di pianta non è tanto la varietà a determinare un differente contenuto di elementi all’interno della stessa quanto il contenuto totale del suolo e la biodisponibilità degli elementi. Infatti, come evidenziato anche dall’analisi in componenti principali, si notano dei raggruppamenti distinti tra campi confermato dall’anova a due vie utilizzata al fine di evidenziare i raggruppamenti campo-varietà. I risultati ottenuti dallo studio del singolo individuo suolo-pianta di olivo confermano quanto evidenziato per drupe e foglie; nello specifico As, Co, Cr, Rb e Se e V si trovano concentrati principalmente a livello radicale (effetto barriera della radice), Pb e Sr si trovano maggiormente concentrati a livello del fusto e il Ti nelle foglie mentre V solo a livello delle radici e in misura minore delle foglie. Fe, Zn e Cu sono gli elementi maggiormente presenti nelle drupe. A differenza del frumento duro, l’olivo – indipendentemente dalla varietà - può essere considerato un buon indicatore di inquinamento ambientale. Questo aspetto è particolarmente evidente e problematico proprio se si considera la drupa, ossia la parte edibile della pianta, nella quale l’accumulo di elementi tossici potrebbe causare un problema dal punto di vista della sicurezza alimentare. La stima del peso delle diverse caratteristiche del suolo sulla mobilità degli elementi deve essere implementata anche estendendo il progetto di ricerca su un numero maggiore di campi sperimentali così da avere un numero statisticamente significativo di variabili da poter confrontare. Inoltre anche lo studio dell’associazione suolo-cultivar dovrebbe essere implementato al fine di verificare se una cultivar come Simeto, ad esempio, che accumula più cadmio a livello delle cariossidi può costituire un problema di sicurezza alimentare se coltivato su un suolo contaminato. In più le informazioni raccolte sull’uptake e la distribuzione degli elementi nelle diverse parti delle piante, soprattutto nella parte edibile possono avere anche implicazioni agronomiche, in quanto la preventiva valutazione della biodisponibilità degli elementi nel suolo potrebbe essere utile al fine di selezionare e coltivare determinate cultivar (caratterizzate ad esempio da un minor uptake e traslocazione di un determinato elemento) rispetto ad altre. La contaminazione del suolo da parte di metalli potenzialmente tossici (MPT) pone seri rischi per il biota e la salute dell’uomo. Pertanto si sottolinea l’importanza della valutazione della biodisponibilità degli elementi nel suolo in modo integrato, così come effettuato in questo studio e la necessità dello sviluppo di un metodo universale per la valutazione della biodisponibilità degli elementi nel suolo al fine di poter prevedere e stimare non solo l’impatto ambientale degli elementi tossici e potenzialmente tossici ma anche l’inquinamento della catena alimentare.
28-mag-2021
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