La tesi analizza l’influenza della cultura degli indiani d’America sull’opera di Anna Maria Ortese. Escludendo solo pochissime pubblicazioni, la ricerca è partita fin dalle prime prove, in poesia e in prosa, dell’autrice, e ha considerato l’intero arco della sua produzione, inclusi i contributi postumi. La ricerca è stata così suddivisa in undici capitoli, i quali studiano in maniera approfondita le riformulazioni più significative fatte da Ortese riguardo il tema dei nativi: un tema stratificato, complesso, affasciante e duttilissimo; un tema che la scrittrice fa proprio e costantemente rimodula, adattandolo alla propria storia personale e rendendolo materia viva, nella quale rispecchiarsi e far rispecchiare i suoi simili, più esattamente il consorzio umano che le stava accanto, ma dal quale si sentì sempre esclusa. E proprio l’esclusione, più o meno cercata da parte di Ortese, proprio la sua diversità, la sua alterità, la sua otherness, è la parola chiave del presente progetto di ricerca: gli indiani d’America, vittime del peggior massacro che la storia ricordi, incapaci di difendersi e relegati nelle riserve, chiusi, estraniati, stranieri al mondo, ecco che quegli indiani d’America insegnano all’autrice a sopravvivere, ad accettare sofferenze senza pari e riformularle: nel suo caso, attraverso la letteratura. È questa la premessa per poter parlare di un’Ortese straniera; un’Ortese gemellata con la sensibilità dei nativi; un’Ortese che farà dell’attenzione ad altre otherness, altre esclusioni, altri modi e forme di essere stranieri – cioè lontani, lontanissimi dal sentire più comune – farà di quella tendenza un tratto di riconoscimento, una condizione senza la quale il suo universo (letterario, stilistico, etico, filosofico) non sarebbe quello che è sempre stato. Obiettivo della tesi, che ha approfondito anche importanti materiali inediti, è dimostrare come l’America e i suoi più antichi abitanti siano per Ortese qualcosa di più di un semplice simbolo, riprendendo l’autrice una tematica che è stata, è tuttora, più complessa di un immaginario. Da “Angelici dolori” ad “Alonso e visionari” allora, dalle prime liriche per il fratello Manuele a “Le Piccole Persone”, dai pezzi giornalistici agli scritti di viaggio, dai romanzi alla corrispondenza privata, si delineerà il ritratto di un’autrice che è tuttora un unicum della letteratura (forse non solo italiana), un’artista che grazie al paradigma dei nativi, come spiega il titolo della tesi, ha disperatamente scoperto la propria alterità, il proprio modo di essere straniera, e su quello ha fondato la propria scrittura.

Anna Maria Ortese scrittrice straniera. Il nativo come scoperta dell'alterità e fondazione di una poetica / Bubba, Angela. - (2021 Feb 24).

Anna Maria Ortese scrittrice straniera. Il nativo come scoperta dell'alterità e fondazione di una poetica

BUBBA, ANGELA
24/02/2021

Abstract

La tesi analizza l’influenza della cultura degli indiani d’America sull’opera di Anna Maria Ortese. Escludendo solo pochissime pubblicazioni, la ricerca è partita fin dalle prime prove, in poesia e in prosa, dell’autrice, e ha considerato l’intero arco della sua produzione, inclusi i contributi postumi. La ricerca è stata così suddivisa in undici capitoli, i quali studiano in maniera approfondita le riformulazioni più significative fatte da Ortese riguardo il tema dei nativi: un tema stratificato, complesso, affasciante e duttilissimo; un tema che la scrittrice fa proprio e costantemente rimodula, adattandolo alla propria storia personale e rendendolo materia viva, nella quale rispecchiarsi e far rispecchiare i suoi simili, più esattamente il consorzio umano che le stava accanto, ma dal quale si sentì sempre esclusa. E proprio l’esclusione, più o meno cercata da parte di Ortese, proprio la sua diversità, la sua alterità, la sua otherness, è la parola chiave del presente progetto di ricerca: gli indiani d’America, vittime del peggior massacro che la storia ricordi, incapaci di difendersi e relegati nelle riserve, chiusi, estraniati, stranieri al mondo, ecco che quegli indiani d’America insegnano all’autrice a sopravvivere, ad accettare sofferenze senza pari e riformularle: nel suo caso, attraverso la letteratura. È questa la premessa per poter parlare di un’Ortese straniera; un’Ortese gemellata con la sensibilità dei nativi; un’Ortese che farà dell’attenzione ad altre otherness, altre esclusioni, altri modi e forme di essere stranieri – cioè lontani, lontanissimi dal sentire più comune – farà di quella tendenza un tratto di riconoscimento, una condizione senza la quale il suo universo (letterario, stilistico, etico, filosofico) non sarebbe quello che è sempre stato. Obiettivo della tesi, che ha approfondito anche importanti materiali inediti, è dimostrare come l’America e i suoi più antichi abitanti siano per Ortese qualcosa di più di un semplice simbolo, riprendendo l’autrice una tematica che è stata, è tuttora, più complessa di un immaginario. Da “Angelici dolori” ad “Alonso e visionari” allora, dalle prime liriche per il fratello Manuele a “Le Piccole Persone”, dai pezzi giornalistici agli scritti di viaggio, dai romanzi alla corrispondenza privata, si delineerà il ritratto di un’autrice che è tuttora un unicum della letteratura (forse non solo italiana), un’artista che grazie al paradigma dei nativi, come spiega il titolo della tesi, ha disperatamente scoperto la propria alterità, il proprio modo di essere straniera, e su quello ha fondato la propria scrittura.
24-feb-2021
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1501922
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