L’innata tendenza dell’essere umano alla vita associativa e ad organizzarsi in gruppi fondati su regole comunitarie, è una costante, che si ripete, regolarmente, nella storia. Anche se rari sono gli esempi tangibili dei primi luoghi di riunione sociale e politica, il ricordo di alberi secolari, sotto ai quali si tenevano le adunanze, di pietre del giudizio, attorno alla quale si radunavano i delegati dal popolo, o di un semplice pianoro, costituiscono testimonianze tramandate dalla coscienza collettiva. Intorno all’anno Mille, la spontanea formazione di libere associazioni di cittadini, volte a tutelare i diritti e gli interessi delle relative classi sociali di appartenenza, si evolve in strutture potenti e protette dall’autorità locale, fino ad arrivare, con la costituzione della Prima Lega Lombarda e la pace di Costanza del 1183, all’affrancamento dal dominio imperiale ed al riconoscimento del libero Comune e delle concessioni amministrative politiche e giudiziarie. Dalla prima forma d’istituzione comunale, costituita dal governo dei consoli, esponenti dell’aristocrazia si assiste, al fine di evitare la formazione di regimi dittatoriali, al moltiplicarsi delle cariche ed al conseguente aumento delle sedi del potere: al palazzo comunale vero e proprio si contrappone il Palazzo degli Anziani, dove si riunivano gli esponenti delle famiglie nobili più potenti, il Palazzo del Podestà, un forestiero in carica un solo anno, e, in un secondo momento, il Palazzo del Capitano del Popolo. Ma, nonostante l’istituzione di figure di mediazione tra le differenti fazioni, si innesca una crisi politica che sfocia, nuovamente, nel governo di un singolo, con l’istituzione della Signoria. Il palazzo pubblico si trasforma e si adatta ad accogliere le grandi famiglie, arricchendosi di appartamenti privati, cappelle e locali di servizio e, parallelamente la residenza nobiliare diventa essa stessa espressione simbolica e materiale del potere politico. E, quando la signoria si trasforma in oligarchia, l’edificio civile assume i caratteri di una fortezza, con il camminamento merlato, l’imponente torre, le antiporte e le massicce inferriate alle finestre. In un primo momento è riscontrabile un’inevitabile stretta correlazione tra il potere civile nascente e quello religioso che, concedendo gli spazi per i placiti consolari, guadagnava alleati nella lotta contro i grandi feudatari del contado. L’iniziale dipendenza è anche dettata dalla possibilità di usufruire del sagrato della chiesa per le adunanze pubbliche, tra le poche aree libere rimaste all’interno del tessuto stratificato delle mura cittadine, oltre a quello del brolo e del mercato. La volontà di emanciparsi dall’autorità del vescovo e la necessità di spazi più ampi per le riunioni civili, spinge le autorità comunali a prendere la decisione di costruire un palazzo, sede tangibile dell’autorità civile. In un primo momento, la domus communis costituisce la sede transitoria dell’amministrazione in cui svolgere le adunanze e pronunciare le sentenze, ma, le dimensioni ridotte e la mancanza di pregio architettonico, portano, presto, alla dismissione di tali dimore private ed alla costruzione di un vero e proprio palazzo pubblico. Se da una parte il territorio frammentato porta ad una varietà di soluzioni edilizie, non facilmente inquadrabili in un filone con caratteri costanti, ma contraddistinte da notevoli articolazioni espressive e tipologiche, dall’altra è possibile riconoscere elementi ricorrenti del tipo in due macroaree, riconducibili a quei territori a nord dell’area padana, più lontani dall’influenza imperiale e papale e dove la maggior indipendenza origina manufatti aperti e passanti, e quelli corrispondenti all’Italia centrale, intendendo, con tale definizione, le regioni corrispondenti alla Toscana, alle Marche, al Lazio ed all’Umbria, dove la situazione politica maggiormente instabile e frammentata origina forme più chiuse e fortificate. Il tipo codificato del broletto nell’area lombarda si distingue per la presenza di un portico a giorno, riservato alle discussioni popolari, di sostegno di un grande salone per le adunanze solenni, esteso per tutta la profondità del corpo di fabbrica, coperto da un tetto a capriate lignee ed accessibile per mezzo di uno scalone, posto, preferibilmente in posizione perpendicolare rispetto al fronte interno, in modo da poter sfruttare interamente la loggia terrena. L’iniziale dipendenza dall’edilizia di base, riconducibile alle schiere concesse dal vescovo al comune, è evidente nel passo corrispondente alla cellula matrice dell’edilizia abitativa, che si specializza in dimensioni speciali negli esempi più maturi. Altri elementi sempre presenti nel palazzo pubblico sono la parlèra, il balcone dei palazzi comunali usato per la proclamazione dei bandi e delle sentenze, a volte coincidente con il pianerottolo di arrivo della scala e la torre, dal carattere altamente simbolico, ma anche funzionale, per chiamare a raccolta la comunità, posta in adiacenza del palazzo stesso o, comunque, all’interno del recinto. L’analisi delle invarianti e di una tipologia stabile e riconoscibile ha portato alla classificazione dell’edificio del potere padano in base alle relazioni stabilite tra il manufatto ed il recinto. Vengono, dunque, distinti gli impianti a schema chiuso a corte interna, come nei casi del Broletto di Brescia e di Novara, quelli a schema aperto, esemplificati dai palazzi di Bergamo e di Como, ed, infine, il tipo maturo, caratterizzato dall’ubicazione del palazzo del potere non più a conclusione dello spazio della corte, ma al centro di essa, diventando, così, un monumento celebrativo del potere civile. L’instabilità politica determinata dal territorio frammentato e dalla maggiore influenza imperiale e papale nell’Italia centrale, ritardò la costruzione dei primi palazzi pubblici alla metà del XIII secolo e originò una forma compatta del manufatto, simile ad una fortezza e dotata sempre di torre, emergente, direttamente dal corpo di fabbrica stesso. L’aspetto chiuso ed inaccessibile del palazzo pubblico, privo di portico terreno passante, porta alla creazione della loggia, eretta in adiacenza del manufatto stesso o nella piazza principale ed alla localizzazione interna alla corte del corpo scala, talvolta, contrapposto ad un monumentale scalone esterno, di grande effetto scenografico, che riveste anche la funzione di arengo. L’architettura del potere dell’Italia centrale, quasi sempre, originata dall’aggregazione seriale di elementi seriali in un organismo chiuso e pressoché inaccessibile, si amplia, al moltiplicarsi delle esigenze, a discapito del tessuto circostante, attraverso un’addizione disorganica di elementi urbani ed edilizi e con la progressiva specializzazione delle parti. Il recinto si perde completamente e si evolve in una corte interna, dove il loggiato terreno del broletto lombardo diventa il deambulacro dello spazio antinodale. Non siamo ancora di fronte ad organismi congruenti da un punto di vista tipologico, ma a degli ibridi, originati da un’addizione disorganica di parti. Solo attraverso la lezione del palazzo signorile ed alla comprensione delle trasformazioni storicamente coerenti da un punto di vista processuale e funzionale del tipo sarà possibile giungere alla formulazione del palazzo, come organismo ben definito e strutturato. Con la costituzione del Regno d’Italia ed il passaggio da una situazione politica frammentata e discontinua ad un territorio unificato e gestito a livello centrale, si innesca un processo organico di aggiornamento del tipo, attraverso l’adattamento e la trasformazione delle strutture dei palazzi signorili. Gli antichi vani nodali degli edifici pubblici vengono convertiti in aule del Regno, grazie all’inserimento di tribune provvisorie in ferro e legno, sovrastate da colonnati e, talvolta, da un ordine superiore, contenente l’area riservata al pubblico o ai diplomatici. In un secondo momento, il bisogno di nuovi spazi porta alla decisione di annodare la corte interna con un’aula illuminata direttamente dall’alto, segnando il passaggio ad un tipo edilizio speciale nodale, polarizzato dalla presenza del maestoso vano centrale coperto, dimensionalmente dominante e distributivamente servito. Le dimensioni ancora limitate dell’aula, non proporzionate alle necessità, sempre crescenti, di un governo centrale, spingono l’amministrazione ad ampliare, ulteriormente, l’organismo edilizio, andando a raddoppiare l’impianto, per mezzo del ribaltamento del palazzo e della creazione di un ulteriore spazio antinodale, coperto, parzialmente, a formare il grande vano centrale polarizzante l’edificio. Attualmente, il bisogno sempre crescente di nuovi spazi, ha portato l’amministrazione ad occupare, di fatto, i fabbricati gravitanti intorno al palazzo, sostenendo ingenti somme per gli affitti e per i costi di gestione, con sedi distaccate, non in comunicazione diretta l’una con l’altra e senza riuscire, tuttavia, a colmare le richieste parlamentari. Se si abbandona il progetto, già promosso a suo tempo da Crispi, di trasferimento delle funzioni incompatibili con il carattere ambientale del centro storico in aree più idonee e si decide di rimanere nel tessuto stratificato del Rione Campo Marzio, per ragioni di prestigio e di risonanza storica, si renderà necessario interpretare il tema secondo un’ottica più ampia, assumendo una prospettiva urbanistica, che, attraverso una progettazione integrata, metta a sistema la rete di edifici in cui è dispersa l’amministrazione della macchina statale in un unicum coerente col processo organico-processuale e funzionale del tessuto.

L'architettura del potere. Caratteri tipologici e ruolo nel tessuto urbano del Palazzo Pubblico / Tartaglia, Cristina. - (2018 Feb 23).

L'architettura del potere. Caratteri tipologici e ruolo nel tessuto urbano del Palazzo Pubblico

TARTAGLIA, CRISTINA
23/02/2018

Abstract

L’innata tendenza dell’essere umano alla vita associativa e ad organizzarsi in gruppi fondati su regole comunitarie, è una costante, che si ripete, regolarmente, nella storia. Anche se rari sono gli esempi tangibili dei primi luoghi di riunione sociale e politica, il ricordo di alberi secolari, sotto ai quali si tenevano le adunanze, di pietre del giudizio, attorno alla quale si radunavano i delegati dal popolo, o di un semplice pianoro, costituiscono testimonianze tramandate dalla coscienza collettiva. Intorno all’anno Mille, la spontanea formazione di libere associazioni di cittadini, volte a tutelare i diritti e gli interessi delle relative classi sociali di appartenenza, si evolve in strutture potenti e protette dall’autorità locale, fino ad arrivare, con la costituzione della Prima Lega Lombarda e la pace di Costanza del 1183, all’affrancamento dal dominio imperiale ed al riconoscimento del libero Comune e delle concessioni amministrative politiche e giudiziarie. Dalla prima forma d’istituzione comunale, costituita dal governo dei consoli, esponenti dell’aristocrazia si assiste, al fine di evitare la formazione di regimi dittatoriali, al moltiplicarsi delle cariche ed al conseguente aumento delle sedi del potere: al palazzo comunale vero e proprio si contrappone il Palazzo degli Anziani, dove si riunivano gli esponenti delle famiglie nobili più potenti, il Palazzo del Podestà, un forestiero in carica un solo anno, e, in un secondo momento, il Palazzo del Capitano del Popolo. Ma, nonostante l’istituzione di figure di mediazione tra le differenti fazioni, si innesca una crisi politica che sfocia, nuovamente, nel governo di un singolo, con l’istituzione della Signoria. Il palazzo pubblico si trasforma e si adatta ad accogliere le grandi famiglie, arricchendosi di appartamenti privati, cappelle e locali di servizio e, parallelamente la residenza nobiliare diventa essa stessa espressione simbolica e materiale del potere politico. E, quando la signoria si trasforma in oligarchia, l’edificio civile assume i caratteri di una fortezza, con il camminamento merlato, l’imponente torre, le antiporte e le massicce inferriate alle finestre. In un primo momento è riscontrabile un’inevitabile stretta correlazione tra il potere civile nascente e quello religioso che, concedendo gli spazi per i placiti consolari, guadagnava alleati nella lotta contro i grandi feudatari del contado. L’iniziale dipendenza è anche dettata dalla possibilità di usufruire del sagrato della chiesa per le adunanze pubbliche, tra le poche aree libere rimaste all’interno del tessuto stratificato delle mura cittadine, oltre a quello del brolo e del mercato. La volontà di emanciparsi dall’autorità del vescovo e la necessità di spazi più ampi per le riunioni civili, spinge le autorità comunali a prendere la decisione di costruire un palazzo, sede tangibile dell’autorità civile. In un primo momento, la domus communis costituisce la sede transitoria dell’amministrazione in cui svolgere le adunanze e pronunciare le sentenze, ma, le dimensioni ridotte e la mancanza di pregio architettonico, portano, presto, alla dismissione di tali dimore private ed alla costruzione di un vero e proprio palazzo pubblico. Se da una parte il territorio frammentato porta ad una varietà di soluzioni edilizie, non facilmente inquadrabili in un filone con caratteri costanti, ma contraddistinte da notevoli articolazioni espressive e tipologiche, dall’altra è possibile riconoscere elementi ricorrenti del tipo in due macroaree, riconducibili a quei territori a nord dell’area padana, più lontani dall’influenza imperiale e papale e dove la maggior indipendenza origina manufatti aperti e passanti, e quelli corrispondenti all’Italia centrale, intendendo, con tale definizione, le regioni corrispondenti alla Toscana, alle Marche, al Lazio ed all’Umbria, dove la situazione politica maggiormente instabile e frammentata origina forme più chiuse e fortificate. Il tipo codificato del broletto nell’area lombarda si distingue per la presenza di un portico a giorno, riservato alle discussioni popolari, di sostegno di un grande salone per le adunanze solenni, esteso per tutta la profondità del corpo di fabbrica, coperto da un tetto a capriate lignee ed accessibile per mezzo di uno scalone, posto, preferibilmente in posizione perpendicolare rispetto al fronte interno, in modo da poter sfruttare interamente la loggia terrena. L’iniziale dipendenza dall’edilizia di base, riconducibile alle schiere concesse dal vescovo al comune, è evidente nel passo corrispondente alla cellula matrice dell’edilizia abitativa, che si specializza in dimensioni speciali negli esempi più maturi. Altri elementi sempre presenti nel palazzo pubblico sono la parlèra, il balcone dei palazzi comunali usato per la proclamazione dei bandi e delle sentenze, a volte coincidente con il pianerottolo di arrivo della scala e la torre, dal carattere altamente simbolico, ma anche funzionale, per chiamare a raccolta la comunità, posta in adiacenza del palazzo stesso o, comunque, all’interno del recinto. L’analisi delle invarianti e di una tipologia stabile e riconoscibile ha portato alla classificazione dell’edificio del potere padano in base alle relazioni stabilite tra il manufatto ed il recinto. Vengono, dunque, distinti gli impianti a schema chiuso a corte interna, come nei casi del Broletto di Brescia e di Novara, quelli a schema aperto, esemplificati dai palazzi di Bergamo e di Como, ed, infine, il tipo maturo, caratterizzato dall’ubicazione del palazzo del potere non più a conclusione dello spazio della corte, ma al centro di essa, diventando, così, un monumento celebrativo del potere civile. L’instabilità politica determinata dal territorio frammentato e dalla maggiore influenza imperiale e papale nell’Italia centrale, ritardò la costruzione dei primi palazzi pubblici alla metà del XIII secolo e originò una forma compatta del manufatto, simile ad una fortezza e dotata sempre di torre, emergente, direttamente dal corpo di fabbrica stesso. L’aspetto chiuso ed inaccessibile del palazzo pubblico, privo di portico terreno passante, porta alla creazione della loggia, eretta in adiacenza del manufatto stesso o nella piazza principale ed alla localizzazione interna alla corte del corpo scala, talvolta, contrapposto ad un monumentale scalone esterno, di grande effetto scenografico, che riveste anche la funzione di arengo. L’architettura del potere dell’Italia centrale, quasi sempre, originata dall’aggregazione seriale di elementi seriali in un organismo chiuso e pressoché inaccessibile, si amplia, al moltiplicarsi delle esigenze, a discapito del tessuto circostante, attraverso un’addizione disorganica di elementi urbani ed edilizi e con la progressiva specializzazione delle parti. Il recinto si perde completamente e si evolve in una corte interna, dove il loggiato terreno del broletto lombardo diventa il deambulacro dello spazio antinodale. Non siamo ancora di fronte ad organismi congruenti da un punto di vista tipologico, ma a degli ibridi, originati da un’addizione disorganica di parti. Solo attraverso la lezione del palazzo signorile ed alla comprensione delle trasformazioni storicamente coerenti da un punto di vista processuale e funzionale del tipo sarà possibile giungere alla formulazione del palazzo, come organismo ben definito e strutturato. Con la costituzione del Regno d’Italia ed il passaggio da una situazione politica frammentata e discontinua ad un territorio unificato e gestito a livello centrale, si innesca un processo organico di aggiornamento del tipo, attraverso l’adattamento e la trasformazione delle strutture dei palazzi signorili. Gli antichi vani nodali degli edifici pubblici vengono convertiti in aule del Regno, grazie all’inserimento di tribune provvisorie in ferro e legno, sovrastate da colonnati e, talvolta, da un ordine superiore, contenente l’area riservata al pubblico o ai diplomatici. In un secondo momento, il bisogno di nuovi spazi porta alla decisione di annodare la corte interna con un’aula illuminata direttamente dall’alto, segnando il passaggio ad un tipo edilizio speciale nodale, polarizzato dalla presenza del maestoso vano centrale coperto, dimensionalmente dominante e distributivamente servito. Le dimensioni ancora limitate dell’aula, non proporzionate alle necessità, sempre crescenti, di un governo centrale, spingono l’amministrazione ad ampliare, ulteriormente, l’organismo edilizio, andando a raddoppiare l’impianto, per mezzo del ribaltamento del palazzo e della creazione di un ulteriore spazio antinodale, coperto, parzialmente, a formare il grande vano centrale polarizzante l’edificio. Attualmente, il bisogno sempre crescente di nuovi spazi, ha portato l’amministrazione ad occupare, di fatto, i fabbricati gravitanti intorno al palazzo, sostenendo ingenti somme per gli affitti e per i costi di gestione, con sedi distaccate, non in comunicazione diretta l’una con l’altra e senza riuscire, tuttavia, a colmare le richieste parlamentari. Se si abbandona il progetto, già promosso a suo tempo da Crispi, di trasferimento delle funzioni incompatibili con il carattere ambientale del centro storico in aree più idonee e si decide di rimanere nel tessuto stratificato del Rione Campo Marzio, per ragioni di prestigio e di risonanza storica, si renderà necessario interpretare il tema secondo un’ottica più ampia, assumendo una prospettiva urbanistica, che, attraverso una progettazione integrata, metta a sistema la rete di edifici in cui è dispersa l’amministrazione della macchina statale in un unicum coerente col processo organico-processuale e funzionale del tessuto.
23-feb-2018
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tesi dottorato Tartaglia

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Tipologia: Tesi di dottorato
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