Al centro dell’indagine della tesi di dottorato vi è l’analisi della disabilità fisico-motoria in Tigray, nel Nord dell’Etiopia e, nello specifico, in due aree urbane: quella della capitale dello Stato Federale, Mekelle ed una cittadina chiamata Wukro. Il Tigray è un contesto profondamente segnato dalle guerre, quella civile contro il Derg e poi quella contro l’Eritrea, alle quali è imputabile l’alto numero di persone disabili presenti sul territorio regionale. La guerra è stata causa non solo diretta ma anche indiretta di disabilità: la mancanza di strutture mediche adeguate e la difficoltà nell’accesso ad esse o la scarsità di campagne di vaccinazioni. Occorre, inoltre, ricordare che l’Etiopia, nonostante gli enormi sforzi messi in campo dal governo e da donatori esterni che stanno conducendo il Paese verso una forte crescita economica, è un Paese in “via di sviluppo” in cui disabilità e povertà sono legati in un vincolo spesso ineludibile. L’approccio alla questione della disabilità ha tratto fondamento dagli studi di antropologia medica, come disciplina intrinsecamente critica e volta a svelare i meccanismi di produzione dei soggetti di studio. La disabilità è, infatti, tramite la pratica etnografica, emersa come un prodotto “relazionale”, come un “campo” nell’accezione bourdiana e cioè come arena costruita dalle relazioni dinamiche e le linee di forza tra gli attori sociali coinvolti. In una prima parte dell’elaborato viene fornita una descrizione dello stato degli studi e del personale posizionamento teorico e viene contestualizzato il termine “disabilità” offrendo una panoramica sui modelli adottati dalle agenzie internazionali, quali l’OMS ad esempio, a riguardo e, nello specifico, le dichiarazioni e la gestione della disabilità sul terreno di ricerca. Dall’analisi del discorso “tradizionale-religioso” sulla disabilità e del metadiscorso che gli attori dello sviluppo fanno su di esso, si passa allo studio dei Modelli Esplicativi delle persone disabili e degli itinerari terapeutico-riabilitativi. Ciò che emerge fortemente è che i gudat akal, termine locale che indica le persone disabili fisicamente, sono al centro di interventi di tipo medico ma anche di tipo “sociale”. La domanda preponderante sul campo è una domanda di “abilitazione sociale” più che di riabilitazione fisica, visto che la disabilità si riconnette ad una più ampia questione di “cittadinanza vulnerabile”e la maggior parte degli interventi vengono focalizzati su un disciplinamento del corpus sociale delle persone disabili, piuttosto che su una riabilitazione delle condizioni corporee depotenzianti. Si è tentato di gettare luce sul carattere relazionale della disabilità, dimostrando come essa possa essere più o meno “disabilitante” per alcuni attori sociali, piuttosto che per altri e come tali esperienze soggettive si costruiscono in un dialogo intimo con lo Stato (cfr. Pizza, Johannessen, 2009) e con il contesto culturale, sociale e politico più ampio, in cui le persone disabili si trovano a vivere. Molto spesso, gli studi riguardanti la disabilità si sono concentrati sulla pars destruens della questione e cioè su quei meccanismi di esclusione e stigmatizzazione che anche sul campo si sono dimostrati validi. Parti della tesi si sono, però, volutamente focalizzare sulle pratiche di esistenza e di resistenza messe in atto dalle persone disabili, come pars construens. L’associazionismo ha un duplice valore: da un lato una specifica maniera di governamentare la disabilità riscontrato sul campo di ricerca, dall’altro la possibilità di aumentare capitali sociali e trovare una rete di condivisione e di sicurezza sociale che l’esperienza di disabilità mette a repentaglio. Sono state indagate le ricadute locali di principi sviluppisti quali quello dell’empowerment, legate alle persone disabili che vengono annoverate tra le categorie “vulnerabili” e “marginali” della società, gettando luce anche sui loro limiti ed effetti collaterali e sulla soggettivazione di essi da parte dei gudat akal. In questo regime di interconnessione tra gestione della disabilità, discorsi ed esperienze quotidiane e soggettive, le retoriche dell’ “abilità”, della “produttività” e dell’autosufficienza diventano centrali nella riplasmazione del soggetto “disabile”. Nell’ultimo capitolo, infine, ho cercato di indagare il ruolo dei caregiver familiari nella gestione della disabilità infantile. In un contesto caratterizzato da grandi carenze strutturali e dalla mancanza di un welfare di assistenza, tali attori sociali vengono investiti da alcuni effetti “disabilitanti” dovuti alla gestione della disabilità dei propri figli o dei parenti prossimi e al contempo, non avendo una disabilità “inscritta sul corpo” sono esclusi da interventi statali di disciplinamento ed aiuto.

La disabilità tra riabilitazione e abilitazione sociale.Il caso dei gudat akal a Mekelle e Wukro / DE SILVA, Virginia. - (2017 Feb 28).

La disabilità tra riabilitazione e abilitazione sociale.Il caso dei gudat akal a Mekelle e Wukro

DE SILVA, VIRGINIA
28/02/2017

Abstract

Al centro dell’indagine della tesi di dottorato vi è l’analisi della disabilità fisico-motoria in Tigray, nel Nord dell’Etiopia e, nello specifico, in due aree urbane: quella della capitale dello Stato Federale, Mekelle ed una cittadina chiamata Wukro. Il Tigray è un contesto profondamente segnato dalle guerre, quella civile contro il Derg e poi quella contro l’Eritrea, alle quali è imputabile l’alto numero di persone disabili presenti sul territorio regionale. La guerra è stata causa non solo diretta ma anche indiretta di disabilità: la mancanza di strutture mediche adeguate e la difficoltà nell’accesso ad esse o la scarsità di campagne di vaccinazioni. Occorre, inoltre, ricordare che l’Etiopia, nonostante gli enormi sforzi messi in campo dal governo e da donatori esterni che stanno conducendo il Paese verso una forte crescita economica, è un Paese in “via di sviluppo” in cui disabilità e povertà sono legati in un vincolo spesso ineludibile. L’approccio alla questione della disabilità ha tratto fondamento dagli studi di antropologia medica, come disciplina intrinsecamente critica e volta a svelare i meccanismi di produzione dei soggetti di studio. La disabilità è, infatti, tramite la pratica etnografica, emersa come un prodotto “relazionale”, come un “campo” nell’accezione bourdiana e cioè come arena costruita dalle relazioni dinamiche e le linee di forza tra gli attori sociali coinvolti. In una prima parte dell’elaborato viene fornita una descrizione dello stato degli studi e del personale posizionamento teorico e viene contestualizzato il termine “disabilità” offrendo una panoramica sui modelli adottati dalle agenzie internazionali, quali l’OMS ad esempio, a riguardo e, nello specifico, le dichiarazioni e la gestione della disabilità sul terreno di ricerca. Dall’analisi del discorso “tradizionale-religioso” sulla disabilità e del metadiscorso che gli attori dello sviluppo fanno su di esso, si passa allo studio dei Modelli Esplicativi delle persone disabili e degli itinerari terapeutico-riabilitativi. Ciò che emerge fortemente è che i gudat akal, termine locale che indica le persone disabili fisicamente, sono al centro di interventi di tipo medico ma anche di tipo “sociale”. La domanda preponderante sul campo è una domanda di “abilitazione sociale” più che di riabilitazione fisica, visto che la disabilità si riconnette ad una più ampia questione di “cittadinanza vulnerabile”e la maggior parte degli interventi vengono focalizzati su un disciplinamento del corpus sociale delle persone disabili, piuttosto che su una riabilitazione delle condizioni corporee depotenzianti. Si è tentato di gettare luce sul carattere relazionale della disabilità, dimostrando come essa possa essere più o meno “disabilitante” per alcuni attori sociali, piuttosto che per altri e come tali esperienze soggettive si costruiscono in un dialogo intimo con lo Stato (cfr. Pizza, Johannessen, 2009) e con il contesto culturale, sociale e politico più ampio, in cui le persone disabili si trovano a vivere. Molto spesso, gli studi riguardanti la disabilità si sono concentrati sulla pars destruens della questione e cioè su quei meccanismi di esclusione e stigmatizzazione che anche sul campo si sono dimostrati validi. Parti della tesi si sono, però, volutamente focalizzare sulle pratiche di esistenza e di resistenza messe in atto dalle persone disabili, come pars construens. L’associazionismo ha un duplice valore: da un lato una specifica maniera di governamentare la disabilità riscontrato sul campo di ricerca, dall’altro la possibilità di aumentare capitali sociali e trovare una rete di condivisione e di sicurezza sociale che l’esperienza di disabilità mette a repentaglio. Sono state indagate le ricadute locali di principi sviluppisti quali quello dell’empowerment, legate alle persone disabili che vengono annoverate tra le categorie “vulnerabili” e “marginali” della società, gettando luce anche sui loro limiti ed effetti collaterali e sulla soggettivazione di essi da parte dei gudat akal. In questo regime di interconnessione tra gestione della disabilità, discorsi ed esperienze quotidiane e soggettive, le retoriche dell’ “abilità”, della “produttività” e dell’autosufficienza diventano centrali nella riplasmazione del soggetto “disabile”. Nell’ultimo capitolo, infine, ho cercato di indagare il ruolo dei caregiver familiari nella gestione della disabilità infantile. In un contesto caratterizzato da grandi carenze strutturali e dalla mancanza di un welfare di assistenza, tali attori sociali vengono investiti da alcuni effetti “disabilitanti” dovuti alla gestione della disabilità dei propri figli o dei parenti prossimi e al contempo, non avendo una disabilità “inscritta sul corpo” sono esclusi da interventi statali di disciplinamento ed aiuto.
28-feb-2017
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Tesi dottorato De Silva

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Note: La disabilità tra riabilitazione e abilitazione sociale. Il caso dei Gudat Akal a Mekelle e Wukro
Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/997940
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