Il lavoro presentato si inserisce all’interno di uno dei campi di studio più dibattuti della tradizione sociologica, quello interessato alla mobilità sociale, e strettamente legato, sul piano teorico, al tema più generale delle disuguaglianze. Nello specifico, il fenomeno oggetto di analisi è costituito dalla mobilità intergenerazionale in Italia. Tenendo conto di aspetti che investono i piani teorico, metodologico e pratico – quali, il prolungamento della permanenza, da parte delle ultime generazioni, all’interno del sistema formativo e il conseguente ritardo dell’entrata nel mondo del lavoro, nonché la centralità di questa fascia dal punto di vista della carriera lavorativa – l’attenzione è rivolta ai soggetti di età compresa tra i 35 e i 50 anni. Mediante l’analisi secondaria dei dati provenienti da due indagini campionarie condotte dalla Banca d’Italia, Bilanci delle famiglie italiane (1995, 1998 e 2012), e dall’Istat, Famiglia, soggetti sociali e condizione dell’infanzia (1998), si è, pertanto, tentato di rispondere al principale obiettivo di ricerca, quello relativo all’individuazione dei cambiamenti intervenuti in Italia, in termini di trasmissione delle posizioni sociali di padre in figlio, nell’arco temporale di diciassette anni (1995-2012). Questo primo interrogativo è strettamente legato al secondo obiettivo, ovvero alla possibilità di integrare l’approccio alle macro-classi (secondo il quale la posizione sociale del soggetto è individuata considerando occupazione e settore economico) e quello alle micro-classi (approccio che guarda ai gruppi occupazionali). Nel primo caso, mediante uno schema a sei classi (costruito sulla base di quello proposto da de Lillo e Schizzerotto nel 1985), è stato possibile effettuare un’analisi direzionale, osservando come i figli si posizionino all’interno dello spazio sociale rispetto ai padri; nel secondo caso, invece, l’analisi ha riguardato il piano sostantivo e, dunque, la costruzione di un indice tipologico in grado di sintetizzare i diversi tipi di mobilità. L’integrazione di questi due approcci ha consentito di superare i limiti derivanti dal considerarli l’uno l’alternativa dell’altro e, conseguentemente, di giungere ad una rappresentazione più completa (e complessa) del fenomeno indagato. Il terzo obiettivo riguarda, ancora, il piano metodologico e, più specificatamente, la questione dell’indeterminatezza temporale e il fenomeno del lifecycle bias, ponendo attenzione al momento della carriera lavorativa in cui padri e figli sono considerati. A tale scopo, è stato utile confrontare i risultati del 1998 derivanti dalle indagini della Banca d’Italia e dell’Istat, in quanto la prima raccoglie le informazione dei padri quando avevano la stessa età dei figli, mentre la seconda quando i figli avevano 14 anni. Nel secondo caso le informazioni dei padri si riferiscono, nella maggior parte dei casi, a momenti della vita lavorativa diversi rispetto a quello in cui si trovano i figli, comportando differenze in termini di mobilità registrata. Infine, con il quarto obiettivo si è voluto collegare il fenomeno della mobilità sociale al contesto occupazionale in cui sono inseriti gli intervistati (figli/e) e i padri, evidenziandone le principali caratteristiche mediante il ricorso alla letteratura sul tema e a fonti statistiche secondarie. Alla base di ciò vi è, infatti, l’assunto secondo cui la possibilità di occupare una determinata posizione sociale piuttosto che un’altra è strettamente influenzata dalla struttura occupazionale e dalle trasformazioni che investono il mercato del lavoro. La parte empirica del lavoro si è concentrata prevalentemente sull’analisi delle tavole di mobilità e di un modello di regressione logistica multinomiale. Mediante la costruzione delle tavole di mobilità è stato possibile i) descrivere la posizione dei figli rispetto ai padri all’interno dello spazio sociale, ii) calcolare i tassi di mobilità (distinguendo, ad esempio, tra ascendente e discendente), iii) osservare fenomeni legati alla riproduzione delle diseguaglianze, quali l’auto-reclutamento e l’apertura (o fluidità) sociale ponendo attenzione, in tutti questi casi, anche all’elemento temporale. Il ricorso alla regressione logistica, invece, ha permesso di considerare contemporaneamente diverse caratteristiche (variabili indipendenti), riferite sia ai padri sia ai figli, al fine di analizzare l’effetto di ciascuna di esse sulla possibilità dei secondi di accedere o permanere in una data classe piuttosto che in un’altra. Nell’elaborato – insieme alla descrizione del quadro teorico in cui si inserisce il lavoro proposto, alla ricognizione dello stato dell’arte sia degli studi sulle classi sociali sia di quelli sulla mobilità sociale, all’esposizione del disegno di ricerca adottato e dei risultati ottenuti– una parte rilevante è rivolta alla discussione critica delle principali problematiche legate al tema d’indagine e alle scelte, soprattutto sul piano metodologico, di fronte alle quali si è trovata chi scrive. Nonostante i limiti e le criticità incontrate, il disegno di ricerca costruito ha reso possibile i) l’analisi della mobilità su diversi livelli, grazie al “doppio” confronto (verticale e orizzontale) delle condizioni di padri e figli nel 1995 e nel 2012, ii) l’osservazione di un particolare aspetto dell’ereditarietà sociale, ovvero la riproduzione occupazionale, mediante l’analisi delle micro-classi, iii) l’attenuazione di alcune problematiche spesso evidenziate negli studi sul tema. Relativamente al primo punto, quello più strettamente legato alle evidenze empiriche emerse, si è potuta osservare la compresenza di elementi paradossali, in linea con la letteratura sul tema, e di dinamiche specifiche, di auto-riproduzione e non solo, per ciascuna classe sociale individuata (in questo caso il riferimento è alla struttura macro piuttosto che a quella micro).

Mobilità e struttura occupazionale. Proposta di analisi integrata (macro e micro-classi posizionali) / Pastori, Veronica. - (2017 Feb 27).

Mobilità e struttura occupazionale. Proposta di analisi integrata (macro e micro-classi posizionali)

PASTORI, VERONICA
27/02/2017

Abstract

Il lavoro presentato si inserisce all’interno di uno dei campi di studio più dibattuti della tradizione sociologica, quello interessato alla mobilità sociale, e strettamente legato, sul piano teorico, al tema più generale delle disuguaglianze. Nello specifico, il fenomeno oggetto di analisi è costituito dalla mobilità intergenerazionale in Italia. Tenendo conto di aspetti che investono i piani teorico, metodologico e pratico – quali, il prolungamento della permanenza, da parte delle ultime generazioni, all’interno del sistema formativo e il conseguente ritardo dell’entrata nel mondo del lavoro, nonché la centralità di questa fascia dal punto di vista della carriera lavorativa – l’attenzione è rivolta ai soggetti di età compresa tra i 35 e i 50 anni. Mediante l’analisi secondaria dei dati provenienti da due indagini campionarie condotte dalla Banca d’Italia, Bilanci delle famiglie italiane (1995, 1998 e 2012), e dall’Istat, Famiglia, soggetti sociali e condizione dell’infanzia (1998), si è, pertanto, tentato di rispondere al principale obiettivo di ricerca, quello relativo all’individuazione dei cambiamenti intervenuti in Italia, in termini di trasmissione delle posizioni sociali di padre in figlio, nell’arco temporale di diciassette anni (1995-2012). Questo primo interrogativo è strettamente legato al secondo obiettivo, ovvero alla possibilità di integrare l’approccio alle macro-classi (secondo il quale la posizione sociale del soggetto è individuata considerando occupazione e settore economico) e quello alle micro-classi (approccio che guarda ai gruppi occupazionali). Nel primo caso, mediante uno schema a sei classi (costruito sulla base di quello proposto da de Lillo e Schizzerotto nel 1985), è stato possibile effettuare un’analisi direzionale, osservando come i figli si posizionino all’interno dello spazio sociale rispetto ai padri; nel secondo caso, invece, l’analisi ha riguardato il piano sostantivo e, dunque, la costruzione di un indice tipologico in grado di sintetizzare i diversi tipi di mobilità. L’integrazione di questi due approcci ha consentito di superare i limiti derivanti dal considerarli l’uno l’alternativa dell’altro e, conseguentemente, di giungere ad una rappresentazione più completa (e complessa) del fenomeno indagato. Il terzo obiettivo riguarda, ancora, il piano metodologico e, più specificatamente, la questione dell’indeterminatezza temporale e il fenomeno del lifecycle bias, ponendo attenzione al momento della carriera lavorativa in cui padri e figli sono considerati. A tale scopo, è stato utile confrontare i risultati del 1998 derivanti dalle indagini della Banca d’Italia e dell’Istat, in quanto la prima raccoglie le informazione dei padri quando avevano la stessa età dei figli, mentre la seconda quando i figli avevano 14 anni. Nel secondo caso le informazioni dei padri si riferiscono, nella maggior parte dei casi, a momenti della vita lavorativa diversi rispetto a quello in cui si trovano i figli, comportando differenze in termini di mobilità registrata. Infine, con il quarto obiettivo si è voluto collegare il fenomeno della mobilità sociale al contesto occupazionale in cui sono inseriti gli intervistati (figli/e) e i padri, evidenziandone le principali caratteristiche mediante il ricorso alla letteratura sul tema e a fonti statistiche secondarie. Alla base di ciò vi è, infatti, l’assunto secondo cui la possibilità di occupare una determinata posizione sociale piuttosto che un’altra è strettamente influenzata dalla struttura occupazionale e dalle trasformazioni che investono il mercato del lavoro. La parte empirica del lavoro si è concentrata prevalentemente sull’analisi delle tavole di mobilità e di un modello di regressione logistica multinomiale. Mediante la costruzione delle tavole di mobilità è stato possibile i) descrivere la posizione dei figli rispetto ai padri all’interno dello spazio sociale, ii) calcolare i tassi di mobilità (distinguendo, ad esempio, tra ascendente e discendente), iii) osservare fenomeni legati alla riproduzione delle diseguaglianze, quali l’auto-reclutamento e l’apertura (o fluidità) sociale ponendo attenzione, in tutti questi casi, anche all’elemento temporale. Il ricorso alla regressione logistica, invece, ha permesso di considerare contemporaneamente diverse caratteristiche (variabili indipendenti), riferite sia ai padri sia ai figli, al fine di analizzare l’effetto di ciascuna di esse sulla possibilità dei secondi di accedere o permanere in una data classe piuttosto che in un’altra. Nell’elaborato – insieme alla descrizione del quadro teorico in cui si inserisce il lavoro proposto, alla ricognizione dello stato dell’arte sia degli studi sulle classi sociali sia di quelli sulla mobilità sociale, all’esposizione del disegno di ricerca adottato e dei risultati ottenuti– una parte rilevante è rivolta alla discussione critica delle principali problematiche legate al tema d’indagine e alle scelte, soprattutto sul piano metodologico, di fronte alle quali si è trovata chi scrive. Nonostante i limiti e le criticità incontrate, il disegno di ricerca costruito ha reso possibile i) l’analisi della mobilità su diversi livelli, grazie al “doppio” confronto (verticale e orizzontale) delle condizioni di padri e figli nel 1995 e nel 2012, ii) l’osservazione di un particolare aspetto dell’ereditarietà sociale, ovvero la riproduzione occupazionale, mediante l’analisi delle micro-classi, iii) l’attenuazione di alcune problematiche spesso evidenziate negli studi sul tema. Relativamente al primo punto, quello più strettamente legato alle evidenze empiriche emerse, si è potuta osservare la compresenza di elementi paradossali, in linea con la letteratura sul tema, e di dinamiche specifiche, di auto-riproduzione e non solo, per ciascuna classe sociale individuata (in questo caso il riferimento è alla struttura macro piuttosto che a quella micro).
27-feb-2017
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