Il consenso informato costituisce oggigiorno un momento imprescindibile della attività medica. Esso rappresenta l'accettazione che il paziente esprime a un determinato trattamento sanitario, in maniera libera e non mediata da condizionamenti, dopo essere stato informato sulle modalità di esecuzione, sui benefici, sugli effetti collaterali, sui rischi ragionevolmente prevedibili e sull'esistenza delle eventuali alternative terapeutiche. L'informazione costituisce una parte essenziale del processo dialettico del consenso informato. La persona cosciente e capace non può essere sottoposta passivamente a qualsiasi trattamento sanitario. Ogni accertamento diagnostico, terapia, o qualsivoglia intervento medico, non potrà essere effettuato se non con il valido consenso della persona interessata, che lo presterà dopo essere stata adeguatamente informata, così che possa valutare il trattamento cui sarà sottoposta e i rischi che da tale trattamento potrebbero derivare ed eventualmente scegliere trattamenti diagnostico-terapeutici alternativi. Tali presupposti traggono fondamento dagli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione, sul tema della libertà personale e della volontarietà dei trattamenti sanitari. Ne deriva che il medico non è legittimato ad agire, se non in presenza di una esplicita o implicita (nei casi di routine clinica) manifestazione di volontà del paziente. Viene fatta eccezione nei casi di necessità (art 54 cp) e nei casi in cui esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, qualora essi non possano essere attuati tempestivamente in ambito extraospedaliero, con il trattamento sanitario obbligatorio, istituito dalla legge 180/1978 (legge Basaglia). Tale legge restituisce dignità al paziente psichiatrico, riconoscendolo come “soggetto” cui va riconosciuta l’autodeterminazione e il cui consenso al trattamento sanitario va ricercato e raggiunto in ogni situazione. Resta tuttavia il problema di come valutare il consenso in pazienti con un disturbo psichiatrico in quanto, se è vero che la diagnosi di per sé non basta a giudicare la competenza, d’altro canto è vero che questi soggetti hanno spesso difficoltà di ordine cognitivo che possono interferire con le capacità universalmente riconosciute essere alla basse della capacità di prestare consenso informato al trattamento, ovvero la comprensione, il ragionamento, la valutazione e la capacità di esprimere una scelta (Roth et al., 1977). Sulla base di questi assunti sono stati costruiti diversi strumenti per la valutazione del consenso informato al trattamento e sono state utilizzate diverse batterie di test neuropsicologici. Resta tuttavia un argomento sul quale si trovano interpretazioni contrastanti: sull’utilità o meno della valutazione attraverso strumenti standardizzati, sull’utilità o meno di utilizzare batterie neuropsicologiche, sull’attendibilità del solo colloquio clinico per la valutazione di una capacità così complessa. Ciò è particolarmente vero quando si ha a che fare con pazienti psichiatrici, in particolare con pazienti affetti da schizofrenia, un disturbo caratterizzato dalla presenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell’affettività, tali da compromettere la capacità decisionale. Inoltre va considerata la fluttuazione nel tempo dei sintomi, risultando indispensabile una valutazione volta per volta della competenza. Queste problematiche verranno affrontate nel corso del presente lavoro, nel quale sarà delineata la teoria del consenso informato nella parte introduttiva. Nella parte sperimentale verranno descritti due diversi studi sulla capacità di prestare consenso informato al trattamento da parte di soggetti affetti da schizofrenia. Nel primo studio si affronterà la tematica della validazione di un nuovo strumento di valutazione della capacità di prestare consenso informato, che sia utilizzabile in ogni ambito medico e che fornisca punteggi di cut-off oggettivi, parziali e globale. Nel secondo studio si affronterà la tematica di quale sia il modello cognitivo sottostante tale capacità, attraverso il confronto tra soggetti affetti da schizofrenia competenti e non competenti e soggetti di controllo, riguardo alle variabili cliniche e neuropsicologiche. Verranno valutate anche le base neurobiologiche della capacità decisionale attraverso uno studio di risonanza magnetica, per confermare il modello cognitivo. Le conclusioni del presente lavoro cercheranno di riassumere i risultati dei diversi studi presentati alla luce della letteratura sull’argomento, sottolineandone le criticità, nell’intento di gettare nuova luce su un’annosa questione. Infine saranno tracciate alcune suggestioni ed idee per lavori futuri nell’ambito del consenso informato al trattamento.

VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE CLINICA, PSICOMETRICA, NEUROPSICOLOGICA E NEURORADIOLOGICA DELLA CAPACITÀ DI PRESTARE CONSENSO INFORMATO AL TRATTAMENTO IN PAZIENTI CON SCHIZOFRENIA / Dacquino, Claudia. - (2017 Feb 28).

VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE CLINICA, PSICOMETRICA, NEUROPSICOLOGICA E NEURORADIOLOGICA DELLA CAPACITÀ DI PRESTARE CONSENSO INFORMATO AL TRATTAMENTO IN PAZIENTI CON SCHIZOFRENIA

DACQUINO, CLAUDIA
28/02/2017

Abstract

Il consenso informato costituisce oggigiorno un momento imprescindibile della attività medica. Esso rappresenta l'accettazione che il paziente esprime a un determinato trattamento sanitario, in maniera libera e non mediata da condizionamenti, dopo essere stato informato sulle modalità di esecuzione, sui benefici, sugli effetti collaterali, sui rischi ragionevolmente prevedibili e sull'esistenza delle eventuali alternative terapeutiche. L'informazione costituisce una parte essenziale del processo dialettico del consenso informato. La persona cosciente e capace non può essere sottoposta passivamente a qualsiasi trattamento sanitario. Ogni accertamento diagnostico, terapia, o qualsivoglia intervento medico, non potrà essere effettuato se non con il valido consenso della persona interessata, che lo presterà dopo essere stata adeguatamente informata, così che possa valutare il trattamento cui sarà sottoposta e i rischi che da tale trattamento potrebbero derivare ed eventualmente scegliere trattamenti diagnostico-terapeutici alternativi. Tali presupposti traggono fondamento dagli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione, sul tema della libertà personale e della volontarietà dei trattamenti sanitari. Ne deriva che il medico non è legittimato ad agire, se non in presenza di una esplicita o implicita (nei casi di routine clinica) manifestazione di volontà del paziente. Viene fatta eccezione nei casi di necessità (art 54 cp) e nei casi in cui esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, qualora essi non possano essere attuati tempestivamente in ambito extraospedaliero, con il trattamento sanitario obbligatorio, istituito dalla legge 180/1978 (legge Basaglia). Tale legge restituisce dignità al paziente psichiatrico, riconoscendolo come “soggetto” cui va riconosciuta l’autodeterminazione e il cui consenso al trattamento sanitario va ricercato e raggiunto in ogni situazione. Resta tuttavia il problema di come valutare il consenso in pazienti con un disturbo psichiatrico in quanto, se è vero che la diagnosi di per sé non basta a giudicare la competenza, d’altro canto è vero che questi soggetti hanno spesso difficoltà di ordine cognitivo che possono interferire con le capacità universalmente riconosciute essere alla basse della capacità di prestare consenso informato al trattamento, ovvero la comprensione, il ragionamento, la valutazione e la capacità di esprimere una scelta (Roth et al., 1977). Sulla base di questi assunti sono stati costruiti diversi strumenti per la valutazione del consenso informato al trattamento e sono state utilizzate diverse batterie di test neuropsicologici. Resta tuttavia un argomento sul quale si trovano interpretazioni contrastanti: sull’utilità o meno della valutazione attraverso strumenti standardizzati, sull’utilità o meno di utilizzare batterie neuropsicologiche, sull’attendibilità del solo colloquio clinico per la valutazione di una capacità così complessa. Ciò è particolarmente vero quando si ha a che fare con pazienti psichiatrici, in particolare con pazienti affetti da schizofrenia, un disturbo caratterizzato dalla presenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell’affettività, tali da compromettere la capacità decisionale. Inoltre va considerata la fluttuazione nel tempo dei sintomi, risultando indispensabile una valutazione volta per volta della competenza. Queste problematiche verranno affrontate nel corso del presente lavoro, nel quale sarà delineata la teoria del consenso informato nella parte introduttiva. Nella parte sperimentale verranno descritti due diversi studi sulla capacità di prestare consenso informato al trattamento da parte di soggetti affetti da schizofrenia. Nel primo studio si affronterà la tematica della validazione di un nuovo strumento di valutazione della capacità di prestare consenso informato, che sia utilizzabile in ogni ambito medico e che fornisca punteggi di cut-off oggettivi, parziali e globale. Nel secondo studio si affronterà la tematica di quale sia il modello cognitivo sottostante tale capacità, attraverso il confronto tra soggetti affetti da schizofrenia competenti e non competenti e soggetti di controllo, riguardo alle variabili cliniche e neuropsicologiche. Verranno valutate anche le base neurobiologiche della capacità decisionale attraverso uno studio di risonanza magnetica, per confermare il modello cognitivo. Le conclusioni del presente lavoro cercheranno di riassumere i risultati dei diversi studi presentati alla luce della letteratura sull’argomento, sottolineandone le criticità, nell’intento di gettare nuova luce su un’annosa questione. Infine saranno tracciate alcune suggestioni ed idee per lavori futuri nell’ambito del consenso informato al trattamento.
28-feb-2017
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