Nel corso della presente trattazione si è avuto modo di esaminare taluni aspetti di un processo, quello amministrativo, che sin dagli anni ottanta non oltrepassava i limiti della tutela dell’interesse pubblico non preoccupandosi della tipologia di protezione offerta al privato se non indirettamente, ovvero ogni qualvolta la tutela di tale sfera coincidesse con quella pubblica alla quale si è fatto riferimento. Ciò in ragione di una spontanea autolimitazione da parte del giudice il quale temeva di varcare la soglia della propria giurisdizione e, al contempo, poiché si assisteva ad un peculiare modo di percepire l’esercizio della propria funzione, profondamente radicato nella sua etica. Si assisteva, quindi, ad un modello di giurisdizione in cui, in buona sostanza, il privato si contrapponeva al pubblico, tentando il primo di realizzare le proprie pretese ma senza che ciò significasse superare il limite della cosa pubblica. La realtà del processo amministrativo era quella di una netta separazione tra le due sfere con la conseguenza che la tutela di una poteva essere intesa, e spesso lo era, a scapito dell’altra salvo le ipotesi di occasionale coincidenza. Ciò fino al registrarsi di una serie di mutamenti sociali che hanno portato l’individuo a prendere, definitivamente, coscienza di sé2 e che lo hanno fatto divenire il protagonista della società. Nasce, quindi, l’idea che le aspettative del privato non possano compromettere l’interesse della generalità dei consociati e che anche il processo amministrativo fosse un processo funzionale alla tutela degli interessi delle parti. Proprio in omaggio all’effettività che da mito è divenuta principio, si è sottolineato che la giustizia amministrativa, per essere credibile, deve essere effettiva. Tra l’altro, tutte le garanzie contenute nella legge sul procedimento ed il principio stesso del giusto procedimento possono significare poco in termini di tutela se le pretese della parti non vengono assistite da un apparato giurisdizionale volto ad una tutela effettiva ovvero in grado di recepire nel processo tutti i profili sostanziali della fattispecie, permettendo la permanente continuità tra sostanza e processo. È emersa, sempre di più, l’idea di una strumentalità della norma processuale rispetto a quella sostanziale ovvero il riconoscimento di una funzione servente del processo rispetto alla tutela delle situazioni giuridiche nascenti all’interno del rapporto tra privato e amministrazione. Il presente scritto, infatti, ha tentato, attraverso l’analisi della disciplina normativa prima, della giurisprudenza poi, di chiarire come oggi il penetrante controllo del giudice, proprio in virtù dell’esigenza superiore di tutela dell’interesse del privato, il che però non significa totale accantonamento dell’interesse pubblico, non possa e non debba tradursi nell’obliterazione delle regole del processo e nella cosiddetta amministrazione del giudice. Non si può non riconoscere come, e ciò si è tentato di evidenziarlo più volte, a differenza di quelli dell’oggettività giuridica, gli schemi della soggettività giuridica sono, certamente, portatori di riferimenti assiologici di così alta densità e durevolezza da non potergli non attribuire, anche in un processo da sempre peculiare, la massima rilevanza e un significativo riconoscimento. Oggi, quindi, quella del processo amministrativo sembra essere la struttura di un processo di parti in cui spetta a queste ultime, e non al giudice, la signoria di ogni fase e stato del giudizio. Che si possa concludere nel senso di un abbandono di quell’antica figura del giudice amministrativo quale signore del processo?
IL PRINCIPIO DELLA DOMANDA NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO / Crupi, Federica. - (2017 Feb 21).
IL PRINCIPIO DELLA DOMANDA NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
CRUPI, FEDERICA
21/02/2017
Abstract
Nel corso della presente trattazione si è avuto modo di esaminare taluni aspetti di un processo, quello amministrativo, che sin dagli anni ottanta non oltrepassava i limiti della tutela dell’interesse pubblico non preoccupandosi della tipologia di protezione offerta al privato se non indirettamente, ovvero ogni qualvolta la tutela di tale sfera coincidesse con quella pubblica alla quale si è fatto riferimento. Ciò in ragione di una spontanea autolimitazione da parte del giudice il quale temeva di varcare la soglia della propria giurisdizione e, al contempo, poiché si assisteva ad un peculiare modo di percepire l’esercizio della propria funzione, profondamente radicato nella sua etica. Si assisteva, quindi, ad un modello di giurisdizione in cui, in buona sostanza, il privato si contrapponeva al pubblico, tentando il primo di realizzare le proprie pretese ma senza che ciò significasse superare il limite della cosa pubblica. La realtà del processo amministrativo era quella di una netta separazione tra le due sfere con la conseguenza che la tutela di una poteva essere intesa, e spesso lo era, a scapito dell’altra salvo le ipotesi di occasionale coincidenza. Ciò fino al registrarsi di una serie di mutamenti sociali che hanno portato l’individuo a prendere, definitivamente, coscienza di sé2 e che lo hanno fatto divenire il protagonista della società. Nasce, quindi, l’idea che le aspettative del privato non possano compromettere l’interesse della generalità dei consociati e che anche il processo amministrativo fosse un processo funzionale alla tutela degli interessi delle parti. Proprio in omaggio all’effettività che da mito è divenuta principio, si è sottolineato che la giustizia amministrativa, per essere credibile, deve essere effettiva. Tra l’altro, tutte le garanzie contenute nella legge sul procedimento ed il principio stesso del giusto procedimento possono significare poco in termini di tutela se le pretese della parti non vengono assistite da un apparato giurisdizionale volto ad una tutela effettiva ovvero in grado di recepire nel processo tutti i profili sostanziali della fattispecie, permettendo la permanente continuità tra sostanza e processo. È emersa, sempre di più, l’idea di una strumentalità della norma processuale rispetto a quella sostanziale ovvero il riconoscimento di una funzione servente del processo rispetto alla tutela delle situazioni giuridiche nascenti all’interno del rapporto tra privato e amministrazione. Il presente scritto, infatti, ha tentato, attraverso l’analisi della disciplina normativa prima, della giurisprudenza poi, di chiarire come oggi il penetrante controllo del giudice, proprio in virtù dell’esigenza superiore di tutela dell’interesse del privato, il che però non significa totale accantonamento dell’interesse pubblico, non possa e non debba tradursi nell’obliterazione delle regole del processo e nella cosiddetta amministrazione del giudice. Non si può non riconoscere come, e ciò si è tentato di evidenziarlo più volte, a differenza di quelli dell’oggettività giuridica, gli schemi della soggettività giuridica sono, certamente, portatori di riferimenti assiologici di così alta densità e durevolezza da non potergli non attribuire, anche in un processo da sempre peculiare, la massima rilevanza e un significativo riconoscimento. Oggi, quindi, quella del processo amministrativo sembra essere la struttura di un processo di parti in cui spetta a queste ultime, e non al giudice, la signoria di ogni fase e stato del giudizio. Che si possa concludere nel senso di un abbandono di quell’antica figura del giudice amministrativo quale signore del processo?I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.