Sul treno un uomo parla a voce alta senza preoccuparsi di disturbare gli altri passeggeri. Per strada un automobilista non accenna a rallentare di fronte ad un anziano che vuole attraversare. In fila alla cassa una donna sgomita affinché venga servita prima degli altri. Le scene di vita quotidiana appena descritte rilevano la cultura individualista che caratterizza i nostri tempi ed, in un certo qual senso, anche il presente lavoro di tesi. Purtuttavia il cuore di questo scritto non risiede nell’egocentrismo assoluto dell’uomo moderno, ma nel suo esatto contrario ossia nel concetto di coesione sociale. Esso costituisce uno dei punti cardine delle politiche internazionali, nonché uno dei concetti-simbolo della sociologia che ancora oggi è intenta ad individuare una definizione univoca e condivisa. Nella fattispecie, nelle pagine che seguono la coesione sociale verrà considerata come rimedio a quell’insoddisfazione diffusa che serpeggia oggi nell’aria e che è intrinsecamente connessa all’indebolimento, sempre più dilagante, delle relazioni sociali. Difatti l’incremento della specializzazione economica del capitalismo moderno ha dato origine ad un nuovo tipo di essere umano, in costante competizione con gli altri e distante dal mondo sociale che percepisce contraffatto. Ma se la vita pubblica si deteriora, viene meno anche la coesione sociale poiché la personalità collettiva diviene il frutto di un’attività immaginaria comune e non di azioni collettive concrete. Se si vuole dare vita ad un progetto condiviso di società, occorre quindi rafforzare il senso di appartenenza alla comunità locale e abbattere le disuguaglianze. Ed è proprio in questa direzione che si muovono gli enti non profit, poiché fanno da collante tra i bisogni dei cittadini, le esigenze delle istituzioni e le aspirazioni del territorio: oltre a favorire legami basati sulla fiducia reciproca, svolgono una funzione di integrazione e partecipazione alla vita collettiva in quanto creano occasioni di contatto tra la comunità locale. È inoltre la presenza di organismi di terzo settore, come realizzazione di una rete solidale e lotta all’esclusione sociale, a rafforzare la comunità in termini di inclusione. Le riflessioni fin qui proposte hanno indotto ad analizzare il contributo offerto dalle organizzazioni di terzo settore alla coesione sociale, ossia ad esaminare quello che viene comunemente definito valore sociale aggiunto del settore non profit. In letteratura al riguardo è stato detto tutto ed il contrario di tutto: se le riflessioni di alcuni inducono a dare per certa la bontà di questa relazione, altri non hanno mancato di sollevare interrogativi che portano a galla non poche zone d’ombra. Le ipotesi che hanno guidato la presente indagine hanno così condotto alla costruzione di due questionari, anonimi e a risposta chiusa, che sono stati somministrati ad un Responsabile e ad un operatore di un’organizzazione di terzo settore. Le domande sottoposte agli operatori sono state poi rivolte a persone esterne al non profit poiché necessitavano di un termine di paragone per essere analizzate. In conclusione, tre i campioni impiegati nella ricerca: campione Onlus (costituito dai Responsabili delle Onlus che hanno fornito dati strutturali circa le organizzazioni), campione operatori sociali (gruppo A), campione persone esterne al terzo settore (gruppo B). L’estrazione delle Onlus ha riguardato le sole organizzazioni di volontariato e le cooperative sociali (di tipo A e di tipo B) attive nella città di Roma ed iscritte all’Albo regionale; la tecnica di campionamento adoperata è stata quella tipologico-fattoriale.

Non profit, quale contributo alla coesione sociale? Riscontri di un'indagine nella città di Roma / Gervasio, Ludovica. - (2017 Feb 23).

Non profit, quale contributo alla coesione sociale? Riscontri di un'indagine nella città di Roma

GERVASIO, LUDOVICA
23/02/2017

Abstract

Sul treno un uomo parla a voce alta senza preoccuparsi di disturbare gli altri passeggeri. Per strada un automobilista non accenna a rallentare di fronte ad un anziano che vuole attraversare. In fila alla cassa una donna sgomita affinché venga servita prima degli altri. Le scene di vita quotidiana appena descritte rilevano la cultura individualista che caratterizza i nostri tempi ed, in un certo qual senso, anche il presente lavoro di tesi. Purtuttavia il cuore di questo scritto non risiede nell’egocentrismo assoluto dell’uomo moderno, ma nel suo esatto contrario ossia nel concetto di coesione sociale. Esso costituisce uno dei punti cardine delle politiche internazionali, nonché uno dei concetti-simbolo della sociologia che ancora oggi è intenta ad individuare una definizione univoca e condivisa. Nella fattispecie, nelle pagine che seguono la coesione sociale verrà considerata come rimedio a quell’insoddisfazione diffusa che serpeggia oggi nell’aria e che è intrinsecamente connessa all’indebolimento, sempre più dilagante, delle relazioni sociali. Difatti l’incremento della specializzazione economica del capitalismo moderno ha dato origine ad un nuovo tipo di essere umano, in costante competizione con gli altri e distante dal mondo sociale che percepisce contraffatto. Ma se la vita pubblica si deteriora, viene meno anche la coesione sociale poiché la personalità collettiva diviene il frutto di un’attività immaginaria comune e non di azioni collettive concrete. Se si vuole dare vita ad un progetto condiviso di società, occorre quindi rafforzare il senso di appartenenza alla comunità locale e abbattere le disuguaglianze. Ed è proprio in questa direzione che si muovono gli enti non profit, poiché fanno da collante tra i bisogni dei cittadini, le esigenze delle istituzioni e le aspirazioni del territorio: oltre a favorire legami basati sulla fiducia reciproca, svolgono una funzione di integrazione e partecipazione alla vita collettiva in quanto creano occasioni di contatto tra la comunità locale. È inoltre la presenza di organismi di terzo settore, come realizzazione di una rete solidale e lotta all’esclusione sociale, a rafforzare la comunità in termini di inclusione. Le riflessioni fin qui proposte hanno indotto ad analizzare il contributo offerto dalle organizzazioni di terzo settore alla coesione sociale, ossia ad esaminare quello che viene comunemente definito valore sociale aggiunto del settore non profit. In letteratura al riguardo è stato detto tutto ed il contrario di tutto: se le riflessioni di alcuni inducono a dare per certa la bontà di questa relazione, altri non hanno mancato di sollevare interrogativi che portano a galla non poche zone d’ombra. Le ipotesi che hanno guidato la presente indagine hanno così condotto alla costruzione di due questionari, anonimi e a risposta chiusa, che sono stati somministrati ad un Responsabile e ad un operatore di un’organizzazione di terzo settore. Le domande sottoposte agli operatori sono state poi rivolte a persone esterne al non profit poiché necessitavano di un termine di paragone per essere analizzate. In conclusione, tre i campioni impiegati nella ricerca: campione Onlus (costituito dai Responsabili delle Onlus che hanno fornito dati strutturali circa le organizzazioni), campione operatori sociali (gruppo A), campione persone esterne al terzo settore (gruppo B). L’estrazione delle Onlus ha riguardato le sole organizzazioni di volontariato e le cooperative sociali (di tipo A e di tipo B) attive nella città di Roma ed iscritte all’Albo regionale; la tecnica di campionamento adoperata è stata quella tipologico-fattoriale.
23-feb-2017
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/944188
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