Perché si occupano stabili pubblici e privati abbandonati? Chi sono le persone che decidono di rivolgersi ai movimenti di lotta per la casa per intraprendere questo tipo di azioni? Dall'inverno 2012, quando le manifestazioni dello "Tsunami tour" incominciavano a imperversare per tutta la città di Roma e a riempire pagine e pagine di giornali, queste domande smuovevano un profondo interesse sul fenomeno dello squatting. Oggi, infatti, a causa della crisi finanziaria globale, della privatizzazione del mercato immobiliare, della riduzione della spesa sociale per interventi di contrasto all'esclusione e alla povertà, si assiste a un ritorno della questione abitativa (Hodkinson, 2012); si sviluppano nuove forme di abitare (co-housing, housing cooperatives, self-build, squatting) come alternativa al processo di impoverimento. In questo studio, ci si focalizza su una specifica pratica: l'occupazione di edifici a scopo abitativo. L'azione dei Movimenti per il diritto all'abitare va esaminata all'interno di forti squilibri strutturali e di profonde trasformazioni della sfera politica e dei rapporti di produzione di una società (Daolio, 1974; Marcelloni, 1981; Castells, 1981; Piazza, 2012b; Pruijt, 2012; Martínez e Cattaneo, 2014). A partire degli anni Sessanta, le azioni di squatting si sono diffuse in molti Paesi europei (e non solo) con obiettivi e modalità di azione differenti. I movimenti di occupazione, oltre a far fronte a un imperante disagio abitativo, pongono in essere un conflitto sociale contro il modello economico e politico di stampo neoliberista (Piazza, 2012b), generatore di forti squilibri sociali, e propongono un modus vivendi alternativo (Pruijt, 2012; Andrej Holm e Armin Kuhn, 2012). Dagli anni Sessanta, le occupazioni di case non hanno rappresentato più una pratica isolata o di tipo vertenziale ma hanno iniziato a diffondersi come azione conflittuale, organizzata attraverso una mobilitazione collettiva (Daolio, 1974; Della Pergola, 1974). Il fenomeno ha continuato a diffondersi nella società capitalista avanzata, in cui la competitività mondiale è cresciuta progressivamente, le politiche del lavoro hanno puntato a una maggiore flessibilità, la stabilità occupazionale e le protezioni collettive si sono ridotte, i bilanci pubblici sono stati risanati a partire dalla drastica riduzione dei trasferimenti per il Welfare State, la vulnerabilità sociale e la fragilità si sono diffuse tra ampie fasce della popolazione. Parallelamente il rapido inurbamento e la frenetica urbanizzazione di molte città, la contemporanea trasformazione della struttura economica e produttiva delle aree metropolitane, la dismissione di uffici e fabbriche hanno generato un surplus di spazi inutilizzati e abbandonati che sono stati occupati a scopo abitativo. Partendo da questa chiave di lettura, si è deciso di intraprendere uno studio per: a) colmare un vuoto presente all'interno della letteratura e degli studi empirici sociologici italiani e b) approfondire la conoscenza del fenomeno dello squatting, che negli ultimi anni ha avuto una ripresa e una diffusione, non solo a Roma, ma in moltissimi altri Comuni e Capoluoghi di Provincia. Lo studio è organizzato attorno a due obiettivi fondamentali: 1) analizzare l'organizzazione e le finalità politiche che muovono le organizzazioni di movimento per il diritto all'abitare attive a Roma, comprendendo i valori e le norme che regolano gli spazi occupati e recuperati a scopo abitativo; 2) cogliere la portata del fenomeno attraverso un’analisi empirica dello status quo realizzata con un censimento e una mappatura degli stabili occupati presenti sul territorio romano e una rilevazione sulla composizione sociale degli attori protagonisti. Nella prima parte del lavoro si approfondiscono le riflessioni e i contributi teorici relativi ad alcuni concetti chiave: movimento sociale e urbano, organizzazione di movimento, squatting. In seguito, si offre una ricostruzione storica e si analizzano le condizioni sociali ed economiche da cui prendono avvio le principali esperienze e pratiche di lotta per la casa dagli anni Sessanta ai giorni d'oggi. Nella seconda parte si illustrano i risultati dell'indagine empirica sulle occupazioni di stabili pubblici e privati realizzate con il sostegno delle tre principali organizzazioni romane di lotta per la casa: Coordinamento cittadino di lotta per la casa sorto alla fine degli anni Ottanta, Action nato all'inizio degli anni Duemila, Blocchi Precari Metropolitani formatosi nel 2008. Roma è la città italiana con il più alto numero di edifici occupati. Negli ultimi anni sono state recuperate decine di palazzine vuote e stabili in disuso per rispondere alla richiesta di alloggi da parte di migliaia di persone e famiglie che si rivolgevano agli sportelli per la casa. Il presente lavoro entra nella dimensione dell'abitare autogestito, provando a superare la stigmatizzazione del fenomeno; si da conto delle istanze dei movimenti e delle reazioni delle istituzioni locali e nazionali, si delineano le figure degli attori che abitano questi luoghi, si esplora la percezione della vita in occupazione e il modo con cui i principi di autorganizzazione e reciprocità solidale regolano gli spazi negati e abbandonati dalle istituzioni e dagli interessi privati.

Le occupazioni abitative a Roma: una pratica dei Movimenti per il diritto all'abitare / Davoli, Chiara. - (2016 Dec 06).

Le occupazioni abitative a Roma: una pratica dei Movimenti per il diritto all'abitare

DAVOLI, CHIARA
06/12/2016

Abstract

Perché si occupano stabili pubblici e privati abbandonati? Chi sono le persone che decidono di rivolgersi ai movimenti di lotta per la casa per intraprendere questo tipo di azioni? Dall'inverno 2012, quando le manifestazioni dello "Tsunami tour" incominciavano a imperversare per tutta la città di Roma e a riempire pagine e pagine di giornali, queste domande smuovevano un profondo interesse sul fenomeno dello squatting. Oggi, infatti, a causa della crisi finanziaria globale, della privatizzazione del mercato immobiliare, della riduzione della spesa sociale per interventi di contrasto all'esclusione e alla povertà, si assiste a un ritorno della questione abitativa (Hodkinson, 2012); si sviluppano nuove forme di abitare (co-housing, housing cooperatives, self-build, squatting) come alternativa al processo di impoverimento. In questo studio, ci si focalizza su una specifica pratica: l'occupazione di edifici a scopo abitativo. L'azione dei Movimenti per il diritto all'abitare va esaminata all'interno di forti squilibri strutturali e di profonde trasformazioni della sfera politica e dei rapporti di produzione di una società (Daolio, 1974; Marcelloni, 1981; Castells, 1981; Piazza, 2012b; Pruijt, 2012; Martínez e Cattaneo, 2014). A partire degli anni Sessanta, le azioni di squatting si sono diffuse in molti Paesi europei (e non solo) con obiettivi e modalità di azione differenti. I movimenti di occupazione, oltre a far fronte a un imperante disagio abitativo, pongono in essere un conflitto sociale contro il modello economico e politico di stampo neoliberista (Piazza, 2012b), generatore di forti squilibri sociali, e propongono un modus vivendi alternativo (Pruijt, 2012; Andrej Holm e Armin Kuhn, 2012). Dagli anni Sessanta, le occupazioni di case non hanno rappresentato più una pratica isolata o di tipo vertenziale ma hanno iniziato a diffondersi come azione conflittuale, organizzata attraverso una mobilitazione collettiva (Daolio, 1974; Della Pergola, 1974). Il fenomeno ha continuato a diffondersi nella società capitalista avanzata, in cui la competitività mondiale è cresciuta progressivamente, le politiche del lavoro hanno puntato a una maggiore flessibilità, la stabilità occupazionale e le protezioni collettive si sono ridotte, i bilanci pubblici sono stati risanati a partire dalla drastica riduzione dei trasferimenti per il Welfare State, la vulnerabilità sociale e la fragilità si sono diffuse tra ampie fasce della popolazione. Parallelamente il rapido inurbamento e la frenetica urbanizzazione di molte città, la contemporanea trasformazione della struttura economica e produttiva delle aree metropolitane, la dismissione di uffici e fabbriche hanno generato un surplus di spazi inutilizzati e abbandonati che sono stati occupati a scopo abitativo. Partendo da questa chiave di lettura, si è deciso di intraprendere uno studio per: a) colmare un vuoto presente all'interno della letteratura e degli studi empirici sociologici italiani e b) approfondire la conoscenza del fenomeno dello squatting, che negli ultimi anni ha avuto una ripresa e una diffusione, non solo a Roma, ma in moltissimi altri Comuni e Capoluoghi di Provincia. Lo studio è organizzato attorno a due obiettivi fondamentali: 1) analizzare l'organizzazione e le finalità politiche che muovono le organizzazioni di movimento per il diritto all'abitare attive a Roma, comprendendo i valori e le norme che regolano gli spazi occupati e recuperati a scopo abitativo; 2) cogliere la portata del fenomeno attraverso un’analisi empirica dello status quo realizzata con un censimento e una mappatura degli stabili occupati presenti sul territorio romano e una rilevazione sulla composizione sociale degli attori protagonisti. Nella prima parte del lavoro si approfondiscono le riflessioni e i contributi teorici relativi ad alcuni concetti chiave: movimento sociale e urbano, organizzazione di movimento, squatting. In seguito, si offre una ricostruzione storica e si analizzano le condizioni sociali ed economiche da cui prendono avvio le principali esperienze e pratiche di lotta per la casa dagli anni Sessanta ai giorni d'oggi. Nella seconda parte si illustrano i risultati dell'indagine empirica sulle occupazioni di stabili pubblici e privati realizzate con il sostegno delle tre principali organizzazioni romane di lotta per la casa: Coordinamento cittadino di lotta per la casa sorto alla fine degli anni Ottanta, Action nato all'inizio degli anni Duemila, Blocchi Precari Metropolitani formatosi nel 2008. Roma è la città italiana con il più alto numero di edifici occupati. Negli ultimi anni sono state recuperate decine di palazzine vuote e stabili in disuso per rispondere alla richiesta di alloggi da parte di migliaia di persone e famiglie che si rivolgevano agli sportelli per la casa. Il presente lavoro entra nella dimensione dell'abitare autogestito, provando a superare la stigmatizzazione del fenomeno; si da conto delle istanze dei movimenti e delle reazioni delle istituzioni locali e nazionali, si delineano le figure degli attori che abitano questi luoghi, si esplora la percezione della vita in occupazione e il modo con cui i principi di autorganizzazione e reciprocità solidale regolano gli spazi negati e abbandonati dalle istituzioni e dagli interessi privati.
6-dic-2016
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