Partendo dalla presenza di ben quattro riferimenti a Giordano Bruno in un testo italiano di inizi Seicento, il De phaenomenis in orbe lunae (Venezia 1612) del maestro aristotelico Giulio Cesare Lagalla, si profilano il contesto e le ragioni di tale presenza. In primis la funzione di medico privato del cardinale Giulio Antonio Santori, svolta da Lagalla negli anni del processo a Bruno e la frequentazione continua tra i due (Lagalla risiedeva nel palazzo del cardinale di Santa Severina) rivelano che il riferimento a Elisabetta I da parte di Lagalla - laddove il maestro svela che la regina considerava Bruno un ateo, etc. - non è peregrino ma frutto di una intimità di rapporti con il Sommo Inquisitore. La presenza di Bruno nel De phaenomenis in orbe lunae, che era stato redatto per rispondere agli esiti delle osservazioni di Galileo, viene ricondotta al dibattito avviato da Kepler e dalla sua Dissertatio e il riferimento al giudizio di Elisabetta I Tudor come una denigratio che può svelare un interesse dei filosofi romani rispetto a Bruno; una sorta risposta ad una domanda di cui non ci è rimasta eco. Lagalla conosceva bene il dibattito filosofico romano, i telesiani e i paracelsiani, frequentati per anni nella Roma in cui Bruno era prigioniero e dopo, negli anni all'ombra del rogo.E' che la situazione dei filosofi nella Roma inquisitoriale era particolarmente infelice, lo stesso Lagalla aveva chiesto al cardinal Santori se si poteva discutere di fisica celeste e in particolare dei cieli animati (la tesi proibita a che aveva difeso tutta la vita), aveva chiesto al Sant'Uffizio il permesso di leggere il De rerum natura iuxta propria principia di Telesio, forse per scrivere il suo De cometis, e dopo la morte del suo protettore fu sempre in sospetto al Sant'Uffizio e volendo fuggire da Roma chiedeva aiuto ai Lincei e a Galileo. Che Bruno avesse potuto soggiornare liberamente a Londra e pubblicare la sua filosofia Nolana all'ombra della 'Diva' Elisabetta, mentre a Roma era stato prima incatenato, forse torturato e infine arso vivo era un dato inconfutabile; Bruno era un apostata, ma per gli osservatori esterni al sant'Uffizio che non conoscevano le gravissime accuse di blasfemia di Mocenigo o Celestino da Verona e i dubbi dottrinali di Bruno, questi era un filosofo che in merito alla fisica celeste era stato eliocentrista e infinitista. Il riferimento al Bruno ateo, blasfemo e miscredente di Elisabetta I per Lagalla poteva essere un "cave" ai suoi concittadini, un cave frutto di notizie circostanziate: anche la regina Elisabetta non aveva approvato Bruno, anzi lo aveva disprezzato, ma anche una mano tesa a Galileo, alla fisica celeste tutta e alla possibilità di continuare a discutere. Neanche un cenno al pitagorismo e al copernicanesimo di Bruno nel De phaenomenis, contrariamente alla Dissertatio di Kepler - dove Galileo viene messo in continuità con il Nolano - nel De phaenomenis Bruno viene escluso dal dibattito sulla fisica celeste e relegato al rango di un eretico damnatis nominis, sottraendo così non solo Galileo ma tutto il dibattito sui cieli al terrificante cono d'ombra del rogo bruniano..

All'ombra del rogo. Riferimenti bruniani nella Roma degli inizi del Seicento / Carella, Candida Assunta. - STAMPA. - (2016), pp. 55-70. (Intervento presentato al convegno L'altro Seicento. Arte a Roma tra eterodossia, libertinismo e scienza tenutosi a Roma).

All'ombra del rogo. Riferimenti bruniani nella Roma degli inizi del Seicento

CARELLA, Candida Assunta
2016

Abstract

Partendo dalla presenza di ben quattro riferimenti a Giordano Bruno in un testo italiano di inizi Seicento, il De phaenomenis in orbe lunae (Venezia 1612) del maestro aristotelico Giulio Cesare Lagalla, si profilano il contesto e le ragioni di tale presenza. In primis la funzione di medico privato del cardinale Giulio Antonio Santori, svolta da Lagalla negli anni del processo a Bruno e la frequentazione continua tra i due (Lagalla risiedeva nel palazzo del cardinale di Santa Severina) rivelano che il riferimento a Elisabetta I da parte di Lagalla - laddove il maestro svela che la regina considerava Bruno un ateo, etc. - non è peregrino ma frutto di una intimità di rapporti con il Sommo Inquisitore. La presenza di Bruno nel De phaenomenis in orbe lunae, che era stato redatto per rispondere agli esiti delle osservazioni di Galileo, viene ricondotta al dibattito avviato da Kepler e dalla sua Dissertatio e il riferimento al giudizio di Elisabetta I Tudor come una denigratio che può svelare un interesse dei filosofi romani rispetto a Bruno; una sorta risposta ad una domanda di cui non ci è rimasta eco. Lagalla conosceva bene il dibattito filosofico romano, i telesiani e i paracelsiani, frequentati per anni nella Roma in cui Bruno era prigioniero e dopo, negli anni all'ombra del rogo.E' che la situazione dei filosofi nella Roma inquisitoriale era particolarmente infelice, lo stesso Lagalla aveva chiesto al cardinal Santori se si poteva discutere di fisica celeste e in particolare dei cieli animati (la tesi proibita a che aveva difeso tutta la vita), aveva chiesto al Sant'Uffizio il permesso di leggere il De rerum natura iuxta propria principia di Telesio, forse per scrivere il suo De cometis, e dopo la morte del suo protettore fu sempre in sospetto al Sant'Uffizio e volendo fuggire da Roma chiedeva aiuto ai Lincei e a Galileo. Che Bruno avesse potuto soggiornare liberamente a Londra e pubblicare la sua filosofia Nolana all'ombra della 'Diva' Elisabetta, mentre a Roma era stato prima incatenato, forse torturato e infine arso vivo era un dato inconfutabile; Bruno era un apostata, ma per gli osservatori esterni al sant'Uffizio che non conoscevano le gravissime accuse di blasfemia di Mocenigo o Celestino da Verona e i dubbi dottrinali di Bruno, questi era un filosofo che in merito alla fisica celeste era stato eliocentrista e infinitista. Il riferimento al Bruno ateo, blasfemo e miscredente di Elisabetta I per Lagalla poteva essere un "cave" ai suoi concittadini, un cave frutto di notizie circostanziate: anche la regina Elisabetta non aveva approvato Bruno, anzi lo aveva disprezzato, ma anche una mano tesa a Galileo, alla fisica celeste tutta e alla possibilità di continuare a discutere. Neanche un cenno al pitagorismo e al copernicanesimo di Bruno nel De phaenomenis, contrariamente alla Dissertatio di Kepler - dove Galileo viene messo in continuità con il Nolano - nel De phaenomenis Bruno viene escluso dal dibattito sulla fisica celeste e relegato al rango di un eretico damnatis nominis, sottraendo così non solo Galileo ma tutto il dibattito sui cieli al terrificante cono d'ombra del rogo bruniano..
2016
L'altro Seicento. Arte a Roma tra eterodossia, libertinismo e scienza
Giordano Bruno; Giulio Cesare Lagalla; Giulio Antonio Santori; Elisabetta I; Galileo; Kepler
04 Pubblicazione in atti di convegno::04b Atto di convegno in volume
All'ombra del rogo. Riferimenti bruniani nella Roma degli inizi del Seicento / Carella, Candida Assunta. - STAMPA. - (2016), pp. 55-70. (Intervento presentato al convegno L'altro Seicento. Arte a Roma tra eterodossia, libertinismo e scienza tenutosi a Roma).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/922210
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