L'oggetto principale della Tesi consiste in un'analisi del principio di stretta legalità nella giurisdizione e la sua applicazione nel giudizio amministrativo. La primissima parte del lavoro è stata pertanto dedicata ad una breve analisi del concetto di giurisdizione nel corso dei secoli: ad esso, infatti, si sono ricollegati nel tempo distinti ordini di poteri, molto diversi tra loro. Si è arrivati così ad affermare che il principio di stretta legalità nella giurisdizione ha trovato i presupposti necessari alla propria genesi nella teorizzazione della separazione dei poteri e in quella dello Stato costituzionale di diritto: in passato, infatti, la concentrazione dei poteri in poche figure finiva per confondere l'opera giurisdizionale con quella legislativa, sicché la decisione di una controversia non era applicazione di una regola ma, troppo spesso, creazione di essa mediante una valutazione ispirata a principi di equità: ciò determinava che l’esercizio del potere prescindeva dai diritti e dagli interessi dei soggetti facenti parte dei vari ordinamenti. Il principio di stretta legalità, insomma, era logicamente impensabile in assenza, prima di tutto, dei suddetti due presupposti, i quali non hanno fatto nient’altro che gettare le basi per l’affermazione del principio democratico: legalità e democrazia furono le parole chiave che determinarono la fine degli Stati assoluti in favore di una concezione di Stato in senso moderno, in cui la dignità della persona umana è stata messa al centro della creazione delle “nuove” regole giuridiche e, soprattutto, delle nascende costituzioni. Con la seconda parte del lavoro, dunque, l’attenzione è stata concentrata esclusivamente sul significato delle brevissime disposizioni contenute nell’art. 101 della Costituzione italiana, laddove viene solennemente proclamato che “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Molti studiosi si sono a lungo interrogati sul significato di tali norme e sul rapporto, se esistente, che dovrebbe legare la prima alla seconda. Partendo da un’approfondita analisi dei dibattiti in sede Costituente, si è pertanto cercato di mettere in risalto dapprima il valore combinatorio dei due commi dell’art. 101 Cost. e, successivamente, il significato profondo di quello che è stato denominato, adottando la nomenclatura del Prof. Riccardo Guastini, principio di stretta legalità nella giurisdizione. Sotto il primo aspetto, si è sottolineato che amministrare la giustizia in nome del popolo non vuol dire altro che far rispettare quelle regole che lo stesso ordinamento istituisce mediante l’utilizzo di quegli schemi costituzionali previsti dalla nostra Carta. In tale ottica, il primo e il secondo comma dell’art. 101 Cost., oltre ad essere in stretta connessione tra loro, costituiscono due facce della stessa medaglia o, ancor meglio, l’una il principio, l’altra le sue modalità di attuazione scelte in sede Costituente: la subordinazione della funzione giurisdizionale alla sovranità popolare è la norma che stabilisce il principio, il quale viene attuato, a sua volta, mediante l’onere, posto in capo al giudice, di applicare la legge. Sotto il secondo aspetto, si arriva dunque ad affermare che il giudice è vincolato all’applicazione incondizionata della legge proprio perché è soggetto alla sovranità popolare, o meglio, ad ogni atto che, nel rispettare gli schemi costituzionali, sia espressione dell’esercizio della ridetta sovranità; pertanto, dire che il giudice è soggetto “soltanto alla legge”, equivale a negare ogni altro vincolo che non sia dalla stessa richiamato, cosicché il compito dell’Autorità giurisdizionale non è quello di formulare un giudizio morale, politico, o checchessia ma, viceversa, di effettuare un giudizio legale (nel senso di basato sulla legge). A tal punto, si è avuto modo di rilevare che il principio di stretta legalità nella giurisdizione non avrebbe alcun senso all’interno di un sistema, da un lato, sprovvisto delle necessarie guarentigie volte a tutelare, in primis, la persona e la dignità umana e, dall’altro, che fosse carente di quelle norme sulla giurisdizione che hanno il ruolo, all’interno del nostro ordinamento, di aggiungere quel valore strutturale proprio di un Paese democratico, basato sulla terzietà e imparzialità del giudizio e sulla predeterminazione di procedure, principi, oneri, vincoli e diritti. La terza parte del lavoro, pertanto, è stata dedicata alle disposizioni costituzionali che, nell’intrecciarsi con l’art. 101 Cost., lo riempiono e ne traggono valore, tratteggiando il quadro dell’impianto giurisdizionale italiano: sotto la luce dell’art. 101 Cost., si è cercato di analizzare brevemente alcune norme costituzionali che, in tal senso, assumono un imprescendibile rilievo, quali gli artt. 24, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 111, 113 Cost. Infine, nell’ultima parte, si è cercato di dare una prospettiva concreta all’impianto costituzionale descritto, mediante una breve analisi del giudizio amministrativo, in cui si sono prese in considerazione alcune ipotesi di riforma. Quel che pare emergere, infatti, da una breve analisi di alcune problematiche generali sul sistema di giustizia amministrativa italiana, è che in tale ambito il principio di stretta legalità nella giurisdizione rischia di non avere quell’incidenza, determinante e imprescindibile, che ha portato l’Assemblea costituente a redigere tale norma in forma solenne. Parrebbe emergere, insomma, un quadro in cui il rapporto tra pubblica funzione esercitata dall’Amministrazione e sindacato giurisdizionale dell’A.G.A. non sembri seguire pedissequamente le linee tratteggiate dall’art. 101 Cost., secondo comma, giacché la tutela dei singoli, a cui l’evoluzione del nostro sistema giurisdizionale amministrativo ha mirato nel corso degli anni, non sempre è in grado di farsi portatrice degli interessi della comunità: sembrerebbe, in definitiva, che in tal modo si sia arrivati a trascendere da una considerazione basilare e, cioè, che la funzione pubblica esercitata dalle Amministrazioni nasce e ha ragion d’essere in quanto portatrice degli interessi della collettività; tale interesse (quello collettivo) non può avere un ruolo marginale nel corso del giudizio e, soprattutto, la sua determinazione non può essere lasciata al solo “scontro” delle prospettive giudiziali formulate dalle parti e all’intreccio del loro rispettivo interesse privato. E’ necessario, in definitiva, che nel processo amministrativo, vista la funzione propria dell’Amministrazione, venga introdotto un meccanismo volto a dare l’impulso, al giudice adito, di applicare la legge che proviene dal popolo sovrano, senza perimetri stabiliti da interessi privati.
La soggezione del Giudice alla sola legge e i suoi risvolti nel giudizio amministrativo / Tripodi, Antonio. - (2013 Sep 16).
La soggezione del Giudice alla sola legge e i suoi risvolti nel giudizio amministrativo
TRIPODI, Antonio
16/09/2013
Abstract
L'oggetto principale della Tesi consiste in un'analisi del principio di stretta legalità nella giurisdizione e la sua applicazione nel giudizio amministrativo. La primissima parte del lavoro è stata pertanto dedicata ad una breve analisi del concetto di giurisdizione nel corso dei secoli: ad esso, infatti, si sono ricollegati nel tempo distinti ordini di poteri, molto diversi tra loro. Si è arrivati così ad affermare che il principio di stretta legalità nella giurisdizione ha trovato i presupposti necessari alla propria genesi nella teorizzazione della separazione dei poteri e in quella dello Stato costituzionale di diritto: in passato, infatti, la concentrazione dei poteri in poche figure finiva per confondere l'opera giurisdizionale con quella legislativa, sicché la decisione di una controversia non era applicazione di una regola ma, troppo spesso, creazione di essa mediante una valutazione ispirata a principi di equità: ciò determinava che l’esercizio del potere prescindeva dai diritti e dagli interessi dei soggetti facenti parte dei vari ordinamenti. Il principio di stretta legalità, insomma, era logicamente impensabile in assenza, prima di tutto, dei suddetti due presupposti, i quali non hanno fatto nient’altro che gettare le basi per l’affermazione del principio democratico: legalità e democrazia furono le parole chiave che determinarono la fine degli Stati assoluti in favore di una concezione di Stato in senso moderno, in cui la dignità della persona umana è stata messa al centro della creazione delle “nuove” regole giuridiche e, soprattutto, delle nascende costituzioni. Con la seconda parte del lavoro, dunque, l’attenzione è stata concentrata esclusivamente sul significato delle brevissime disposizioni contenute nell’art. 101 della Costituzione italiana, laddove viene solennemente proclamato che “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Molti studiosi si sono a lungo interrogati sul significato di tali norme e sul rapporto, se esistente, che dovrebbe legare la prima alla seconda. Partendo da un’approfondita analisi dei dibattiti in sede Costituente, si è pertanto cercato di mettere in risalto dapprima il valore combinatorio dei due commi dell’art. 101 Cost. e, successivamente, il significato profondo di quello che è stato denominato, adottando la nomenclatura del Prof. Riccardo Guastini, principio di stretta legalità nella giurisdizione. Sotto il primo aspetto, si è sottolineato che amministrare la giustizia in nome del popolo non vuol dire altro che far rispettare quelle regole che lo stesso ordinamento istituisce mediante l’utilizzo di quegli schemi costituzionali previsti dalla nostra Carta. In tale ottica, il primo e il secondo comma dell’art. 101 Cost., oltre ad essere in stretta connessione tra loro, costituiscono due facce della stessa medaglia o, ancor meglio, l’una il principio, l’altra le sue modalità di attuazione scelte in sede Costituente: la subordinazione della funzione giurisdizionale alla sovranità popolare è la norma che stabilisce il principio, il quale viene attuato, a sua volta, mediante l’onere, posto in capo al giudice, di applicare la legge. Sotto il secondo aspetto, si arriva dunque ad affermare che il giudice è vincolato all’applicazione incondizionata della legge proprio perché è soggetto alla sovranità popolare, o meglio, ad ogni atto che, nel rispettare gli schemi costituzionali, sia espressione dell’esercizio della ridetta sovranità; pertanto, dire che il giudice è soggetto “soltanto alla legge”, equivale a negare ogni altro vincolo che non sia dalla stessa richiamato, cosicché il compito dell’Autorità giurisdizionale non è quello di formulare un giudizio morale, politico, o checchessia ma, viceversa, di effettuare un giudizio legale (nel senso di basato sulla legge). A tal punto, si è avuto modo di rilevare che il principio di stretta legalità nella giurisdizione non avrebbe alcun senso all’interno di un sistema, da un lato, sprovvisto delle necessarie guarentigie volte a tutelare, in primis, la persona e la dignità umana e, dall’altro, che fosse carente di quelle norme sulla giurisdizione che hanno il ruolo, all’interno del nostro ordinamento, di aggiungere quel valore strutturale proprio di un Paese democratico, basato sulla terzietà e imparzialità del giudizio e sulla predeterminazione di procedure, principi, oneri, vincoli e diritti. La terza parte del lavoro, pertanto, è stata dedicata alle disposizioni costituzionali che, nell’intrecciarsi con l’art. 101 Cost., lo riempiono e ne traggono valore, tratteggiando il quadro dell’impianto giurisdizionale italiano: sotto la luce dell’art. 101 Cost., si è cercato di analizzare brevemente alcune norme costituzionali che, in tal senso, assumono un imprescendibile rilievo, quali gli artt. 24, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 111, 113 Cost. Infine, nell’ultima parte, si è cercato di dare una prospettiva concreta all’impianto costituzionale descritto, mediante una breve analisi del giudizio amministrativo, in cui si sono prese in considerazione alcune ipotesi di riforma. Quel che pare emergere, infatti, da una breve analisi di alcune problematiche generali sul sistema di giustizia amministrativa italiana, è che in tale ambito il principio di stretta legalità nella giurisdizione rischia di non avere quell’incidenza, determinante e imprescindibile, che ha portato l’Assemblea costituente a redigere tale norma in forma solenne. Parrebbe emergere, insomma, un quadro in cui il rapporto tra pubblica funzione esercitata dall’Amministrazione e sindacato giurisdizionale dell’A.G.A. non sembri seguire pedissequamente le linee tratteggiate dall’art. 101 Cost., secondo comma, giacché la tutela dei singoli, a cui l’evoluzione del nostro sistema giurisdizionale amministrativo ha mirato nel corso degli anni, non sempre è in grado di farsi portatrice degli interessi della comunità: sembrerebbe, in definitiva, che in tal modo si sia arrivati a trascendere da una considerazione basilare e, cioè, che la funzione pubblica esercitata dalle Amministrazioni nasce e ha ragion d’essere in quanto portatrice degli interessi della collettività; tale interesse (quello collettivo) non può avere un ruolo marginale nel corso del giudizio e, soprattutto, la sua determinazione non può essere lasciata al solo “scontro” delle prospettive giudiziali formulate dalle parti e all’intreccio del loro rispettivo interesse privato. E’ necessario, in definitiva, che nel processo amministrativo, vista la funzione propria dell’Amministrazione, venga introdotto un meccanismo volto a dare l’impulso, al giudice adito, di applicare la legge che proviene dal popolo sovrano, senza perimetri stabiliti da interessi privati.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.