La raccolta dei 'Versi et regole della nuova poesia toscana', pubblicata a Roma per i tipi di Antonio Blado d’Asola nell’ottobre del 1539 – attorno alla quale si struttura il presente lavoro in quanto suo nucleo ispiratore nonché specifico oggetto di studio – presenta un cospicuo numero di testi scritti in lingua “toscana”, ma organizzati metricamente in versi e strofe propri della poesia classica. L’aspetto più originale dell’antologia patrocinata dal senese Claudio Tolomei è la trasposizione di piedi, metri e sistemi strofici latini in versi volgari misurati quantitativamente, e non più o non solo sul criterio tonico-sillabico: accanto agli esametri troviamo pentametri, odi saffiche, endecasillabi faleci, trimetri e dimetri giambici, l’ode alcaica, i vari tipi di asclepiadea e vari altri sistemi più rari e desueti. Di particolare rilevanza risultano le 'Regolette della nuova poesia toscana', poste in appendice ad indicare i criteri prosodici con i quali è possibile valutare la “quantità” delle sillabe del toscano, onde costruire organismi metrici in grado di restituire le cadenze dei piedi antichi e dare dignità linguistica, prestigio sociale ed autorevolezza al volgare. I poeti che parteciparono a questa raccolta – autorevoli e minori, illustri e sconosciuti – si ispiravano ai princîpi “riscoperti” dal senese Claudio Tolomei e dagli altri sodali dell’Accademia della Nuova Poesia, fondata a Roma probabilmente nel 1539, che solevano riunirsi e discutere della nuova “invenzione” poetica a casa dello stesso Tolomei o del cardinale Ippolito de’ Medici, che offrì inizialmente protezione e sostegno ai coraggiosi sperimentatori. L’operazione di contaminazione tra la consolidata tradizione petrarchistica e le rinnovate istanze classicistiche, rilevabile nei testi composti coralmente e poi messi insieme da Cosimo Pallavicino – autore della lettera dedicatoria posta ad apertura dell’opera, di cui è anche curatore – si pone nella prospettiva ardita di emulare la poesia latina, in particolare quella umanistica contemporanea, da un punto di vista squisitamente formale e, al contempo, in virtù dell’ardita alleanza tra passato e presente, affermare la piena dignità letteraria della lingua “toscana” quale strumento convenevole ad esprimere al massimo grado le istanze proprie della poesia. L’esperimento messo in atto si presenta, dunque, come esempio di trasferimento della parola poetica e della sua melodia prosodica da una dignità letteraria e linguistica all’altra, a pari livello.
Per una rilettura dei 'Versi et regole de la nuova poesia toscana' (Blado, 1539): questioni ecdotiche, metriche e storico-letterarie / Pettinari, Daniele. - (2013 Jun 27).
Per una rilettura dei 'Versi et regole de la nuova poesia toscana' (Blado, 1539): questioni ecdotiche, metriche e storico-letterarie
PETTINARI, DANIELE
27/06/2013
Abstract
La raccolta dei 'Versi et regole della nuova poesia toscana', pubblicata a Roma per i tipi di Antonio Blado d’Asola nell’ottobre del 1539 – attorno alla quale si struttura il presente lavoro in quanto suo nucleo ispiratore nonché specifico oggetto di studio – presenta un cospicuo numero di testi scritti in lingua “toscana”, ma organizzati metricamente in versi e strofe propri della poesia classica. L’aspetto più originale dell’antologia patrocinata dal senese Claudio Tolomei è la trasposizione di piedi, metri e sistemi strofici latini in versi volgari misurati quantitativamente, e non più o non solo sul criterio tonico-sillabico: accanto agli esametri troviamo pentametri, odi saffiche, endecasillabi faleci, trimetri e dimetri giambici, l’ode alcaica, i vari tipi di asclepiadea e vari altri sistemi più rari e desueti. Di particolare rilevanza risultano le 'Regolette della nuova poesia toscana', poste in appendice ad indicare i criteri prosodici con i quali è possibile valutare la “quantità” delle sillabe del toscano, onde costruire organismi metrici in grado di restituire le cadenze dei piedi antichi e dare dignità linguistica, prestigio sociale ed autorevolezza al volgare. I poeti che parteciparono a questa raccolta – autorevoli e minori, illustri e sconosciuti – si ispiravano ai princîpi “riscoperti” dal senese Claudio Tolomei e dagli altri sodali dell’Accademia della Nuova Poesia, fondata a Roma probabilmente nel 1539, che solevano riunirsi e discutere della nuova “invenzione” poetica a casa dello stesso Tolomei o del cardinale Ippolito de’ Medici, che offrì inizialmente protezione e sostegno ai coraggiosi sperimentatori. L’operazione di contaminazione tra la consolidata tradizione petrarchistica e le rinnovate istanze classicistiche, rilevabile nei testi composti coralmente e poi messi insieme da Cosimo Pallavicino – autore della lettera dedicatoria posta ad apertura dell’opera, di cui è anche curatore – si pone nella prospettiva ardita di emulare la poesia latina, in particolare quella umanistica contemporanea, da un punto di vista squisitamente formale e, al contempo, in virtù dell’ardita alleanza tra passato e presente, affermare la piena dignità letteraria della lingua “toscana” quale strumento convenevole ad esprimere al massimo grado le istanze proprie della poesia. L’esperimento messo in atto si presenta, dunque, come esempio di trasferimento della parola poetica e della sua melodia prosodica da una dignità letteraria e linguistica all’altra, a pari livello.File | Dimensione | Formato | |
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