Trasparenza e alterità Il tentativo di combinare insieme le esigenze dell’edificio antico con quelle espresse da nuovi utenti e dettate da un nuovo tempo nella vita dell’esistente, è una condizione progettuale che è un ossimoro in se stessa. Il binomio antico-nuovo è l’assunto di partenza dal quale desumere in che modo peculiari approcci progettuali sviluppino le potenzialità di tale paradosso. Se intendiamo l’esistente come la “regola” a cui il progetto contemporaneo sceglie di attenersi, possiamo identificare con quest’ultimo una “eccezione” alla regola stessa, e analizzare in che grado di interferenza specifici metodi progettuali si pongano rispetto ad essa. L’ambizione alla trasparenza del nuovo in Massimo Carmassi e la posizione di “contrasto programmatico” di Guido Canali che definiamo alterità concorde, sono le due posizioni metodologiche di cui si intende trattare, in un continuo ed inevitabile rimando al concetto di ossimoro e alla combinazione di termini antitetici uniti allo scopo di individuare nuove armonie ed unità. In entrambi i casi, la tensione alla trasparenza del nuovo e l’alterità concorde vengono lette alla luce di una particolare concezione che i singoli autori sembrano avere del concetto di antico e di nuovo. Il valore dell’antico si può identificare con il senso della memoria: la centralità del tema della memoria in Carmassi è declinata come conservazione ed innesto; in Canali possiamo parlare di recupero della memoria, poiché viene utilizzato lo strumento della metafora e dell’allusione al precario per un inserimento apparentemente reversibile del nuovo che valorizzi la spazialità esistente definendo chiaramente i propri limiti di spazio e di senso. Il termine di paragone, o meglio la regola con cui si confrontano la trasparenza e l’alterità è un “non – nuovo” filtrato attraverso due specifiche visioni: per Carmassi questo coincide con la consistenza dell’esistente in ogni sua manifestazione materica che viene dunque conservata in una tensione all’originarietà, per Canali è piuttosto l’essenza dell’esistente, dunque lo spazio in primis, che egli individua e più o meno esplicitamente mette in luce. A questa lettura del valore dell’esistente, si associa la specifica e personale concezione di cosa si intenda per nuovo: letteralmente “ciò che inizia tra poco il suo corso”, il progetto del nuovo è legato all’idea di stratificazione. Canali intende il nuovo come uno strato visibile da inserire nell’esistente, ovvero un organismo autonomo di cui è evidente il confine ed il limite con l’antico. Carmassi intende il nuovo come adeguamento in totale aderenza con l’esistente fino a divenire trasparente rispetto ad esso, a cui aggiungere pochi elementi compositivi di attrezzatura dello spazio, esibiti per contrasto. Ambire alla trasparenza rispetto all’antico vuol dire contrastare la normale natura dell’esistente, soggetto a stratificazioni successive, limitando l’evidenza formale e spaziale dei nuovi strati aggiunti? dichiararsi coraggiosamente come eccezione contemporanea alla regola dell’antico, vuol dire allora assecondare e rendere giustizia al normale corso della vita dell’esistente, diventandone una nuova stratificazione? Il termine alterità porta con sé una sensazione di contrasto, di diversità, che associamo a questa seconda posizione di “coraggio progettuale” e che segnala senza dubbi la posizione netta che il nuovo in Canali assume rispetto all’antico. Alterità deriva da alter quanto il termine alterare ed il suo contrario è racchiuso del concetto di identità. Come può un approccio identificato da un termine in contrasto con il senso stesso della “consapevolezza di sè”, dunque della identità dell’antico, divenire concorde con esso? divenire un amplificazione del valore della memoria? Un elemento concorde è per definizione uno strumento di armonia, portatore di unanimità di intenti. L’accezione di concorde per l’alterità espressa da Canali, vedremo, risiede nell’autonomia che il progetto assume: l’inserimento di un organismo spazialmente e percettivamente autosufficiente, stabilisce con l’esistente un rapporto che potremmo definire “alla pari”, tanto da inventare in esso nuovi spazi, e riuscendo in questo modo a valorizza una identità inserendovene una nuova all’interno. L’alterità trae la sua forza dalla distinguibilità, che diviene stumento in positivo di messa in valore dell’antico. Al contrario, la trasparenza del primo step progettuale di Carmassi, ha la sua forza dell’idea di tensione all’annullamento parziale della visibilità del nuovo. Trasparire vuol dire apparire attraverso, ma per un primo layer progettuale dell’adeguamento, esso vuol dire non manifestarsi, integrarsi nella consistente dell’esistente. Se trasparente vuol dire anche interpretabile con facilità, troviamo in questo approccio progettuale un ulteriore paradosso, che si associa agli ossimori di partenza: la tensione a rendere invisibile il progetto di adeguamento a nuovi usi, si intreccia con una modifica ambigua dell’esistente, sfocando il limiti del nuovo. La trasparenza è però solo parziale, poichè ad essa si associa il secondo layer progettuale dell’innesto, la cui evidenza a contrasto conferisce al progetto, anche in questo caso come in Canali, una porzione di “nuova identità” chiaramente percepibile. La distinguibilità del nuovo, nella tensione alla trasparenza è selettiva, nell’alterità è una condizione di identità equivalenti a contrasto. Gli strumenti della trasparenza e dell’alterità sono di conseguenza ben distinti: in Canali c’è un maggiore uso di metafora e simbolo, si allude a precedenti usi, si allude alla precarietà del nuovo per alleggerirne l’impatto; in Carmassi il nuovo è soprattutto adeguamento e performance funzionale, perciò si intende una tensione alla trasparenza poiché l’intenzione è quella di dotare l’esistente di una presenza che sommessamente ne consenta l’uso, lasciando la sensazione di utilizzare un contenitore antico. In Canali il carattere autonomo del nuovo sembra predominante, tuttavia il contrasto esalta la distanza tra antico e nuovo; la tensione alla trasparenza in Carmassi nega una totale autonomia al nuovo, dunque la sua presenza appare più ingombrante poiché dipendente dal contenitore. Un gioco di doppi ossimori, dunque, ci conduce alla riflessione sulla sfida che il binomio antico-nuovo impone al progetto sull’esistente, alla luce di due posizioni progettuali distinte per metodo ma affini per intenzione, ovvero la messa in valore dell’esistente attraverso nuovi usi e nuove gerarchie spaziali, più o meno evidenti e dichiarate. L’ambito di ricerca La studio condotto ambisce ad aggiungere un tassello all’ampio campo di ricerca del tema del riuso e della rifunzionalizzazione. Al di là del Restauro, ma spesso a cavallo con esso, lo studio affronta il tema del progetto sull’esistente in virtù di un’intuizione: il progetto sull’esistente procede “caso per caso” per via delle eccezionalità insite in ogni specifica preesistenza, e forse proprio a causa di questa caratteristica, non è immediato ricondurre il progetto a dei temi-guida. Nel campo progettuale dell’intervento sull’esistente, non appare infatti sperimentata la definizione di linee di ricerca teorico-operative. Nell’ambito del riuso e della rifunzionalizzazione, si procede spesso ad analisi basate su categorie di esiti, e non su categorie di strategie a monte di tali esiti, o comunque non focalizzate a comprendere il perché di tali strategie. Nella dottrina del Restauro si sono avvicendate nel tempo varie strategie metodologiche, forti di un apparato teorico capace di indirizzare l’intervento. In relazione alla pratica del progetto sull’esistente in casi estranei al Restauro oppure in casi in cui si sorpassi il limite della sola valorizzazione conservativa, questo sforzo di sintesi sembra non essere stato compiuto. Si ritiene che l’individuazione di singoli strumenti operativi non sia sufficiente a guidare nella progettazione. Oltre gli specifici aspetti tecnici e tecnologici di adeguamento, ed i principi teorici di conservazione dell’esistente, occorre formulare dei temi-guida sintetici globali, ovvero degli indirizzi di senso per il progetto. Lo studio qui presentato tenta di rispondere a questa apparente assenza di linee di ricerca, individuandone due in particolare. Occorre inoltre precisare che, abbandonando una netta collocazione all’interno della dottrina del Restauro, lo studio si focalizza sul progetto inteso come rapporto tra due entità a confronto, il nuovo e l’esistente. In questa ottica ben più globale, l’eventuale vincolo storico-artistico è visto come uno stimolo progettuale per il nuovo al pari degli stimoli posti da nuove esigenze funzionali nel riuso di preesistenze non soggette a vincolo. Obiettivi e finalità A conclusione del percorso di studio condotto, l’obiettivo che inizialmente sembrava coincidere con la redazione di un manuale critico, appare invece quello di definire una guida alla progettazione possibile, nel confronto/scontro tra antico e nuovo. Nello specifico, si punta ad individuare due linee di ricerca possibili, da cui trarre spunto per una impostazione teorica-metodologica del progetto, e soprattutto per dare un indirizzo all’intervento concreto sull’esistente. A questo obiettivo, se ne affianca un altro più circoscritto – possiamo dire un sotto-tema - ma che deriva direttamente dalla scelta dei due autori presi in esame: il confronto, in parallelo, di due approcci progettuali simili per nascita ma diversi negli esiti, al fine di rendere chiare le differenze di due strategie egualmente didattiche. L’alterità concorde e l’ambizione alla trasparenza del nuovo sono due approcci progettuali applicabili al progetto sull’esistente: quali i limiti e quali le potenzialità di entrambi? Anche a questa domanda, lo studio presentato si propone di rispondere. Figure e argomenti trattati Come già esposto, la Tesi qui presentata è uno studio che parte dai progetti, per definire quale metodo e quale poetica ci siano a monte di essi, al fine di definire approcci progettuali possibili, nel rapporto conflittuale tra esistente e nuovo. A tale scopo è apparso utile affidarsi a degli “strumenti di comprensione” ovvero, in questo caso, a due autori assunti al ruolo di esponente chiave di tale particolare ambito progettuale. La scelta è ricaduta su due autori, Guido Canali e Massimo Carmassi, in virtù di alcune loro caratteristiche: una produzione architettonica nel campo dell’intervento sull’esistente messa alla prova su vari tipi di preesistenza, dal vincolo storico-artistico alla trasformazione di edilizia comune o industriale, dunque dotata di versatilità nell’applicazione del metodo; la coerenza nei mezzi espressivi e negli strumenti progettuali adottati; una apparentemente possibile trasmissibilità del metodo. Queste caratteristiche rendono i due autori didattici al fine di poter comprendere come si possa progettare l’esistente e con quali esiti. Sarà inoltre utile valutare i modi e la “scala” con cui il nuovo viene inserito nell’esistente, ovvero possiamo dire con quale predominanza e/o adattamento. In appendice alla parte iniziale del testo, vengono trattati anche due autori del passato, considerati dei Maestri nel tema dell’approccio all’esistente: Carlo Scarpa e Franco Albini. Indiscussi protagonisti del rapporto con l’esistente, sono anch’essi assunti come casi-studio utili a comprendere quanti strumenti si possono avere a disposizione nel progetto sull’antico. La lezione dei Maestri viene rintracciata nel metodo dei due autori analizzati. Per tale ragione un richiamo ad alcuni progetti simbolo e ad alcuni concetti chiave nel loro metodo è sembrata funzionale ad una più completa comprensione degli interventi di Guido Canali e di Massimo Carmassi. Il metodo di indagine Per estrarre le intenzioni teorico-metodologiche dai progetti, per ogni autore, si tenta una divisione tra gli aspetti del metodo e gli aspetti della poetica. Affidando alla poetica il ruolo di guida, potremmo dire, “inconscia” del progetto, che unifica gli strumenti in comuni intenti, ritroviamo nel metodo gli strumenti concreti del fare architettura. Pensando al binomio metodo-poetica come unità indissolubile e fulcro di ciò che definiamo linguaggio, non si intende rinunciare a nessuno dei due aspetti: sia il metodo che la poetica vengono analizzati e ricondotti a categorie componenti il progetto. Ogni elemento desunto da metodo e poetica viene verificato alla luce di tutte le esperienze progettuali prese in esame, al fine di comprendere se sia veramente parte integrante dell’approccio del singolo autore. La ricerca deve essere letta come una vera climax di approfondimento. Si parte dal reperimento e dall’analisi dei dati concreti, oggettivi, ovvero dai casi studio. Si desumono da questi i vari strumenti progettuali utilizzati, iniziando a visualizzare e definirne le potenzialità e le differenze di esito, nel costante confronto tra i due autori. A conclusione del percorso, si individuano dei temi globali a cui sembrano far capo gli elementi precedenti, e arriva alla conferma delle due linee di ricerca enunciate. La struttura del testo La Tesi è stata organizzata in quattro capitoli, secondo la suddetta analisi progressiva. Ad essi si associa una appendice, che presenta la medesima struttura di indagine, applicata alle figure di Carlo Scarpa e Franco Albini. Lo studio procede, sostanzialmente, secondo due passaggi successivi: l’analisi dei dati oggettivi e la sintesi critica degli esiti progettuali per ricondurli a principi di metodo e formulare le due linee di ricerca. Questa scansione ha suggerito la suddivisione del testo in due volumi distinti, opzione che si è rivelata utile a vari scopi. Isolare i casi studio in una sorta di piccola antologia sull’opera di Guido Canali e Massimo Carmassi, e dei Maestri con loro, vuole mettere in luce un aspetto del metodo di studio che ha avuto un ruolo chiave. Il contatto diretto con l’opera, il sopralluogo ed il confronto con le reali esigenze di gestione e manutenzione degli spazi, sono state esperienze che hanno fornito elementi indispensabili all’approfondimento dei progetti. Il primo volume racchiude tutto questo bagaglio di informazioni, frutto dell’integrazione dei dati tratti dalla letteratura esistente, i dati reperiti sul luogo ed il confronto con gli utenti e i gestori delle strutture. E’ una sorta di diario di viaggio, e può essere utilizzato per ripercorrere le visite alle opere, come guida. Oltre a questo aspetto, la suddivisione in due parti consente anche una lettura più agevole della sezione analitico-critica. Infatti, la prima parte fornisce i dati essenziali alla comprensione dei progetti, e la distinzione i due volumi consente di abbinare alla lettura dell’analisi, la costante consultazione dei dati di progetto. Anche la comprensione degli elaborati critici presenti nei due volumi è agevolata dalla loro costante lettura comparata. Il primo capitolo introduce le due figure e propone i progetti assunti a caso studio, secondo schede monotematiche. Segue il primo capitolo, l’appendice sui Maestri dell’approccio italiano all’esistente. Il richiamo a Carlo Scarpa e Franco Albini è condotto secondo la stessa strategia di analisi utilizzata per i due autori. Lo studio dei Maestri ha avuto certamente un ruolo formativo centrale per l’impostazione critica della Tesi, ed inoltre gli stessi autori analizzati citano Scarpa e Albini come punti di riferimento. La collocazione esterna alla struttura della Tesi, consente di non interrompere il percorso di riflessione, pur mantenendo la possibilità di compiere, preliminarmente all’analisi critica, tale sosta di approfondimento. E’ stata scartata anche una collocazione cronologica dei due Maestri, per evidenziare il fatto che la Tesi non traccia un excursus storico del progetto sull’esistente, dunque non è uno studio storico-critico, ma piuttosto una operazione di sintesi teorico-progettuale sull’opera di Canali e Carmassi e sulle potenzialità del progetto sull’esistente in genere. Il secondo capitolo tratta i progetti scelti in modo trasversale rispetto alle varie categorie di analisi che compongono l’asse critico della ricerca. I due autori vengono quindi letti in parallelo e, dove utile e possibile, in comparazione, al fine di analizzare le differenze di approccio e, nei punti di contatto, la differenza eventuale di esiti. In questa sezione, come vedremo, si estrapolano dai progetti i vari strumenti concreti di modifica dell’esistente. Il terzo capitolo presenta le fonti dirette dello studio, ovvero le interviste ai due autori in esame. Nella prima fase della ricerca, quando era ancora nelle intenzioni quella di compilare un manuale critico, l’intervista all’autore era stata collocata tra i primi passi da compiere nell’avvio dello studio. Dopo una prima ricognizione sui dati presenti nella letteratura e dopo i primi esiti critici della ricerca, si è preferito rimandare le interviste ad una fase di verifica o piuttosto di confronto delle conclusioni raggiunte. Per tale ragione il reperimento dei dati, grafici e fotografici, è stato condotto tramite ricerca bibliografica e sopralluogo diretto, affidando, appunto, alle interviste, il ruolo di confronto finale. Il quarto capitolo presenta il testo sintetico e conclusivo in cui si riassumono gli esiti critici dell’analisi dei due autori, attraverso la definizione dei temi compositivi centrali nel loro approccio. In questa fase, oltre a rivedere le due posizioni progettuali dell’assunto iniziale si fa il punto sulla più o meno effettiva trasmissibilità del metodo e sulla sua validità rispetto all’enunciato di partenza, in base a parametri di flessibilità e coerenza. La struttura dell’analisi critica La Ricerca propone, non una catalogazione di dati, ma una interpretazione secondo specifiche chiavi di lettura. Per tale ragione, come già detto, assume particolare rilievo la definizione di tali misure interpretative. L’approccio agli autori viene suddiviso secondo tre categorie di analisi: le tecniche progettuali, le soluzioni funzionali, ed infine, come sintesi critica, i temi compositivi. Le tre categorie si focalizzano, ovviamente, sugli aspetti direttamente connessi al rapporto tra antico e nuovo. Per tale ragione, in alcuni casi verranno tralasciati aspetti compositivi o strumenti tecnici i quali, seppur ricorrenti ed importanti nella produzione dell’autore, non rientrano negli aspetti utili a comprenderne l’approccio specifico nella gestione dell’intervento sulla preesistenza. Le tecniche progettuali sono gli strumenti concreti che ogni autore utilizza nel progetto, sono cioè le frecce che ogni autore sceglie di avere al proprio arco, nel momento in cui si trova a lavorare su una preesistenza. Il lavoro qui presentato si è prefisso l’obiettivo di desumere tali strumenti direttamente dai progetti, ovvero dal dato concreto, di nominarli quindi definirne il senso e lo scopo, graficizzarli quindi renderli rintracciabili nel progetto, e poi metterli a confronto con gli esiti, e con gli altri autori. Quella delle soluzioni funzionali è una categoria strettamente connessa alla precedente. Le soluzioni infatti sono, allo stesso modo, strumenti concreti, che però rispondono, non solo alle intenzioni di gestione del rapporto esistente-nuovo, ma in primo luogo alle aggiornate richieste funzionali espresse dalla nuova funzione o nuova gestione dell’edificio esistente. Le soluzioni funzionali sono spesso un sottoinsieme delle tecniche ed in alcuni casi, primo fra tutti quello rappresentato da Franco Albini, esprimono un vero e proprio tema compositivo. Per quanto riguarda i temi compositivi, su può dire che essi siano la parte dell’approccio progettuale di cui si riconosce una certa appartenenza all’ambito della poetica. Non direttamente individuabili in e tramite un dato di progetto, tali temi racchiudono le intenzioni e gli scopi degli autori. Il tema compositivo dovrebbe fornire una visione globale dell’intenzione messa in atto poi dalle tecniche. I temi compositivi hanno una minore caratteristica di trasversalità nei due autori, poichè sono i caratteri che più si avvicinano alla definizione del linguaggio personale. Vedremo come i temi compositivi potranno riassumere e sintetizzare gli aspetti concreti del progetto, conducendo all’enunciazione delle due linee di ricerca e alle valutazioni conclusive. Le tre categorie sono ovviamente interconnesse tra loro, ed alcuni aspetti progettuali sono difficilmente confinabili in una sola delle tre. Nonostante ciò, alla prima verifica della validità della scansione in categorie operata sui Maestri, la suddivisione appare funzionale all’adempimento di uno dei principali obiettivi della Tesi: analizzare approcci progettuali rendendoli trasmissibili, quindi strumento utile a guidare la progettazione. La suddivisione dei progetti in tecniche e soluzioni funzionali appare la strada migliore per rendere i metodi trasmissibili e utili alla progettazione. In questo senso, sarà opportuno guardare alla suddivisione in categorie non come classificazione assoluta ma come una necessaria parcellizzazione e semplificazione del problema analitico-critico posto. L’apparato iconografico L’apparato iconografico gioca un ruolo predominante nella struttura della Tesi. Si compone di due elementi: materiale fotografico ed elaborazioni grafiche. Lo studio procede dai progetti verso una estrapolazione di temi e metodi. Per tale ragione, la graficizzazione di queste analisi ed il supporto fornito ad essa da materiale fotografico originale, rappresenta uno dei principali focus della Tesi. Come confermano anche le scelte di layout, si può affermare che il rapporto tra il dato-testo ed il dato-grafico/fotografico sia di totale equivalenza per corpo e rilevanza, in conseguenza della loro complementarietà: lo scatto fotografico inquadra il ragionamento esposto nel testo, le elaborazioni grafiche evidenziano i layer progettuali, i testi ne sono un supporto e un approfondimento. Per tale natura della Ricerca, lo studio dei progetti non può basarsi sulla sola letteratura esistente. Per questa ragione lo studio dei due autori e dei maestri viene affrontato anche tramite il sopralluogo ed il rilievo fotografico delle opere analizzate. Tale materiale fotografico originale diviene strumento di comprensione dei temi trattati ed è parte integrante della struttura dei capitoli. Gli elaborati grafici prodotti sono di due tipi: elaborato descrittivo elaborato critico L’elaborato descrittivo è una evidenziazione grafica del rapporto tra nuovo ed esistente, operata su ciascuno dei progetti studiati, ed ha il ruolo di descriverlo in tutti i suoi dati specifici, tramite piante, sezioni e prospetti. Tale elaborato è quindi strettamente connesso ai reali disegni di progetto, ed è un supporto indispensabile alla comprensione dell’opera, al fine di poter cogliere i successivi passaggi analitico-critici. Gli elaborati descrittivi sono il corredo delle schede progetto e vengono presentati nel primo capitolo. Questi schemi sono particolarmente utili nel confronto incrociato poiché mettono immediatamente in luce – tramite differenze di colori – i vari livelli con cui i due autori risolvono il medesimo quesito progettuale. Si vedrà infatti come l’uso del doppio colore negli schemi relativi alle opere di Carmassi, induca subito ad una riflessione sugli aspetti mimetici di una certa parte dei suoi interventi sull’esistente, a confronto con una più netta delimitazione del nuovo in Canali. L’elaborato critico si colloca a metà tra la descrizione e l’ideogramma: è una elaborazione realizzata su disegni o foto di dettaglio, al fine di mettere in luce le particolari caratteristiche progettuali attraverso la lente di ingrandimento del tema o della tecnica rintracciati,coadiuvando il testo descrittivo. Lo schema critico, semplice e diretto, dovrebbe invitare allo studio dell’opera indirizzando secondo le linee di ricerca proposte gli occhi che - per dirla con Le Corbusier - spesso “non vedono”, soprattutto nel caso di progetti complessi come quelli che si confrontano con i valori stratificati in una preesistenza, e ancor più in un monumento storico-artistico. Le conclusioni del percorso di Ricerca L’operazione di descrizione delle opere dei due autori tramite un elenco ragionato di tecniche progettuali concrete, ha dato conferma del valore didattico dei due approcci. Riuscire ad associare a problematiche di gestione del rapporto antico-nuovo, specifici strumenti di intervento, sembra avvalorare la tesi della trasmissibilità del metodo dei due autori. La coerenza negli strumenti utilizzati e la evidente spinta dei progetti oltre la pura categoria della conservazione, rendono Guido Canali e Massimo Carmassi due effettivi strumenti di comprensione delle possibilità e potenzialità offerte dal vincolo dell’esistente al progetto del nuovo. Alla domanda posta dalla Tesi, ovvero se sia possibile tracciare delle linee guida teorico-operative nell’intervento sull’esistente, si risponde con due concetti chiave: l’alterità concorde di Guido Canali e la trasparenza del nuovo di Massimo Carmassi. Si riconosce nell’approccio dei due “strumenti di comprensione” un gioco di ossimori. Al primo ossimoro nuovo-esistente lanciato dal compito progettuale, ciascuno dei due autori sembra rispondere con ulteriori successivi paradossi apparenti: Guido Canali opera in modo sovrastrutturale, in un distacco netto a cui riconosciamo invece una caratteristica di affinità valorizzante – l’alterità concorde – mentre Massimo Carmassi adotta una strategia che mira al contrasto dissimulato, nell’ambizione contraddittoria di rendere trasparente il nuovo. Al pari dell’attenzione al senso del luogo in Scarpa e all’espressività della modernità in Albini, le due intenzioni sintetizzano una specifica poetica nella gestione del connubio antico-nuovo. La principale caratteristica che ha portato alla codifica delle due linee di ricerca, è racchiusa nel concetto di distinguibilità. La tensione alla definizione del limite del nuovo è radicalmente diversa nei due approcci, e ciò si concretizza in una differente gestione dell’inserimento dei nuovi strati sull’esistente. L’approccio di Canali tende verso una netta delimitazione del nuovo. La sequenza spaziale inserita da Canali nella Pilotta è un organismo complesso che porta con sé tutto il necessario per il nuovo uso: se l’allestimento, gli impianti e tutte le infrastrutture necessarie all’adeguamento funzionale sono parte della composizione formale del nuovo, allora esso è interamente distinguibile dall’esistente. L’alterità non cede nulla alla mimesi e alla trasparenza, tutto il nuovo è dichiarato e distaccato dall’antico. Un simile contrasto, in che modo può allora definirsi concorde? Il concetto di alterità porta infatti con sé l’idea dell’estraneità. Ma se il corpo estraneo inserito nell’esistente, ha la capacità di accentuare le spazialità originarie ed “inventare nuovi spazi” all’interno di esse, l’alterità è uno strumento di messa in valore. Canali conserva uno spazio ma inventa un nuovo museo nella Pilotta. La capacità di suggestione esercitata dal percorso espositivo consente di ri-conoscere l’esistente. L’edificio è esplorato e riconosciuto, dotato di nuovi sensi e rinnovato nelle spazialità originarie. Conservare uno spazio inventando in esso uno spazio nuovo, del resto, è anch’esso un ossimoro, seppur esprima a pieno l’idea di innovazione spaziale concorde in Canali. In senso concreto e immediato, l’alterità del nuovo conserva l’originarietà dell’esistente poiché non genera “zone d’ombra” ovvero non comprende interventi mimetici ma espone i propri contorni. In senso più ampio, l’alterità introduce un nuovo strato nell’antico. Carmassi opera tramite due passaggi successivi, complementari. Egli inserisce un primo layer progettuale per adeguare l’esistente, in modo realmente trasparente ma non distinguibile, ed un secondo layer progettuale, quello delle scatole vetrate per l’innesto delle nuove funzioni. La tensione alla trasparenza viene assecondata, dunque, secondo due aspetti: l’annullamento del limite tra antico e nuovo nel layer di adeguamento; la chiarezza formale del layer di innesto per garantire un distacco evidente dall’esistente. Gli interventi di Carmassi perseguono l’obiettivo della trasparenza aggiornando la performance funzionale dell’esistente. Il contenitore antico viene reso una macchina perfettamente adeguata alle richieste dei nuovi usi. Il nuovo si manifesta solo nelle appendici che ne abitano gli spazi. Canali dunque inserisce un nuovo strato, Carmassi compie due operazioni scegliendo di mimetizzare l’adeguamento e dichiarare solo una parte del nuovo. Ma la vera trasparenza del nuovo risiede allora nella mimesi o piuttosto nella dichiarata distinguibilità? Il desiderio di trasparenza sembra non esaudito nel momento in cui, l’adeguamento che realmente non è visibile, inficia la lettura dello spazio originario, cedendo anche a volte allo strumento della mimesi. Al contempo, la trasparenza dei nuovi volumi inseriti in esso è solo parziale. Questi aspetti fanno propendere per la scelta progettuale della dichiarata alterità, poiché essa appare la linea di ricerca con le maggiori potenzialità di valorizzazione. Un ulteriore tema-chiave che ha accompagnato la formulazione delle conclusioni critiche, è quello della flessibilità del nuovo, nel tempo, o per usare le parole di Carmassi, la capacità del nuovo di invecchiare con l’esistente . Se l’autore propone questa immagine a proposito della scelta dei materiali operata nei propri progetti, il tema della flessibilità nel tempo appare soprattutto una lente attraverso cui valutare la “tenuta” del progetto nell’evoluzione della vita dell’edificio. Inserire un layer progettuale di adeguamento mimetico – pensiamo agli interventi sulla struttura esistente volti a mascherare i nuovi impianti – difficilmente potrà garantire una facilità di implementazione del nuovo, nel corso del tempo. L’inserimento di una alterità autonoma e delineata, rende invece più semplice arricchire questa nuova macchina funzionale, senza intaccare l’esistente. Nonostante queste conclusioni critiche in merito alla funzionalità delle due linee di ricerca, entrambe si confermano utili strumenti di guida al progetto. La Ricerca ne ha voluto proporre sia una analisi per tecniche utilizzate, che una considerazione di validità conclusiva. In tale modo si ritiene possa essere stata formulata una valida guida alla progettazione consapevole del nuovo sull’esistente, dal quale estrarre, secondo un proprio criterio di funzionalità, gli strumenti più adatti al caso progettuale che ci si trovi ad affrontare. Alla luce delle conclusioni raggiunti, si ritiene che i due autori analizzati siano didattici al fine di delineare due possibili linee di ricerca che, a partire dal passato e dalla lezione dei Maestri, possano essere tracciate e utilizzate nel futuro. Strumenti documentali, archivistici e bibliografici Il principale strumento di documentazione della Ricerca è stato il contatto diretto con le fonti primarie rappresentate dal rilievo del progetto reale, il confronto con il committente e l’utente, ed il confronto con gli autori delle opere stesse. Particolarmente utile è stata la fonte primaria rappresentata dal sopralluogo e dal confronto con gli utenti. I dati acquisiti hanno consentito di completare la comprensione dell’opera, approfondendo le ragione delle scelte a monte, e le conseguenze sull’uso reale degli strumenti applicati. Ciò ha inoltre consentito di valutare al “tenuta” del progetto nel tempo, ovvero la capacità delle scelte progettuali di prefigurare e assecondare possibili usi futuri, rendendo il nuovo in grado di condividere con l’antico la conservazione del proprio senso e di una propria vita interna, nel tempo. Le fonti secondarie sono state reperite tramite una lunga ricerca bibliografica di testi e periodici. Il sopralluogo alle opere analizzate, nel caso di edifici sede di istituzioni culturali come la Pilotta, il Complesso museale di Santa Maria della Scala, e la Biblioteca di Senigallia, ha consentito di usufruire anche del patrimonio documentale specifico presente nelle singole sedi. Le principali fonti bibliografiche, di riferimento generale sono: Boriani M. (a cura di), Progettare per il costruito. Dibattito teorico e progetti in Italia nella seconda metà del XX secolo, Città Studi Edizioni, collana Architettura, Torino, 2008 Cornoldi A. (a cura di), Gli interni nel progetto sull’esistente, Casa editrice Il Poligrafico, collana Interni, p.416, Padova, 20077 Sette M.P., Il Restauro in Architettura. Quadro storico; saggio introduttivo di Gaetano Miarelli Mariani, Ed. UTET, Torino, 2001 Grimaldi A., Attrezzare l’architettura. Strategie operative per l’architettura del terzo millennio tra permanenza e innovazione, Officina Edizioni, collana Architettura Università Officina, p.128, Roma, 2013 Malighetti L.E., Recupero edilizio. Strategie per il riuso e tecnologie costruttive, Casa editrice Il Sole 24 ORE, collana I Libri di Arketipo, p.291, Milano, 2011 Murphy R., Carlo Scarpa & Castelvecchio, edizione italiana a cura di A. Di Lieto e A.Rudi, Arsenale Editrice, collana Biblioteca di architettura, p.198, Venezia, 1991 Le principali fonti bibliografiche sull’opera dei due autori sono: AA.VV., Guido Canali, numero monografico di “Costruire in Laterizio”, rivista bimestrale, organo ufficiale Andil – Associazione Nazionale degli Industriali dei Laterizi, Gruppo Editoriale Faenza Editrice S.p.A., n°87, maggio/giugno 2002 Caldarola M., Il riciclaggio urbanistico 3/Reinterpretazione per il riuso, in “Equilibri. Rivista per lo sviluppo sostenibile”, rivista quadrimestrale, Società Editrice Il Mulino, n°2, 2000, pp.205-212 Carmassi G.,Carmassi M., Del restauro. Quattordici case. Gabriella e Massimo Carmassi. con un saggio di Paolo Marconi, Editore Mondadori Electa, collana Documenti di architettura, p.272, Milano, 1997 Mulazzani M., Massimo e Gabriella Carmassi. Opere e progetti, Editore Mondadori Electa, collana Documenti di architettura, p.255, Milano, 2004

Trasparenza del nuovo e alterità concorde / Sansoni, Valeria. - (2015 Jul 16).

Trasparenza del nuovo e alterità concorde

Sansoni, Valeria
16/07/2015

Abstract

Trasparenza e alterità Il tentativo di combinare insieme le esigenze dell’edificio antico con quelle espresse da nuovi utenti e dettate da un nuovo tempo nella vita dell’esistente, è una condizione progettuale che è un ossimoro in se stessa. Il binomio antico-nuovo è l’assunto di partenza dal quale desumere in che modo peculiari approcci progettuali sviluppino le potenzialità di tale paradosso. Se intendiamo l’esistente come la “regola” a cui il progetto contemporaneo sceglie di attenersi, possiamo identificare con quest’ultimo una “eccezione” alla regola stessa, e analizzare in che grado di interferenza specifici metodi progettuali si pongano rispetto ad essa. L’ambizione alla trasparenza del nuovo in Massimo Carmassi e la posizione di “contrasto programmatico” di Guido Canali che definiamo alterità concorde, sono le due posizioni metodologiche di cui si intende trattare, in un continuo ed inevitabile rimando al concetto di ossimoro e alla combinazione di termini antitetici uniti allo scopo di individuare nuove armonie ed unità. In entrambi i casi, la tensione alla trasparenza del nuovo e l’alterità concorde vengono lette alla luce di una particolare concezione che i singoli autori sembrano avere del concetto di antico e di nuovo. Il valore dell’antico si può identificare con il senso della memoria: la centralità del tema della memoria in Carmassi è declinata come conservazione ed innesto; in Canali possiamo parlare di recupero della memoria, poiché viene utilizzato lo strumento della metafora e dell’allusione al precario per un inserimento apparentemente reversibile del nuovo che valorizzi la spazialità esistente definendo chiaramente i propri limiti di spazio e di senso. Il termine di paragone, o meglio la regola con cui si confrontano la trasparenza e l’alterità è un “non – nuovo” filtrato attraverso due specifiche visioni: per Carmassi questo coincide con la consistenza dell’esistente in ogni sua manifestazione materica che viene dunque conservata in una tensione all’originarietà, per Canali è piuttosto l’essenza dell’esistente, dunque lo spazio in primis, che egli individua e più o meno esplicitamente mette in luce. A questa lettura del valore dell’esistente, si associa la specifica e personale concezione di cosa si intenda per nuovo: letteralmente “ciò che inizia tra poco il suo corso”, il progetto del nuovo è legato all’idea di stratificazione. Canali intende il nuovo come uno strato visibile da inserire nell’esistente, ovvero un organismo autonomo di cui è evidente il confine ed il limite con l’antico. Carmassi intende il nuovo come adeguamento in totale aderenza con l’esistente fino a divenire trasparente rispetto ad esso, a cui aggiungere pochi elementi compositivi di attrezzatura dello spazio, esibiti per contrasto. Ambire alla trasparenza rispetto all’antico vuol dire contrastare la normale natura dell’esistente, soggetto a stratificazioni successive, limitando l’evidenza formale e spaziale dei nuovi strati aggiunti? dichiararsi coraggiosamente come eccezione contemporanea alla regola dell’antico, vuol dire allora assecondare e rendere giustizia al normale corso della vita dell’esistente, diventandone una nuova stratificazione? Il termine alterità porta con sé una sensazione di contrasto, di diversità, che associamo a questa seconda posizione di “coraggio progettuale” e che segnala senza dubbi la posizione netta che il nuovo in Canali assume rispetto all’antico. Alterità deriva da alter quanto il termine alterare ed il suo contrario è racchiuso del concetto di identità. Come può un approccio identificato da un termine in contrasto con il senso stesso della “consapevolezza di sè”, dunque della identità dell’antico, divenire concorde con esso? divenire un amplificazione del valore della memoria? Un elemento concorde è per definizione uno strumento di armonia, portatore di unanimità di intenti. L’accezione di concorde per l’alterità espressa da Canali, vedremo, risiede nell’autonomia che il progetto assume: l’inserimento di un organismo spazialmente e percettivamente autosufficiente, stabilisce con l’esistente un rapporto che potremmo definire “alla pari”, tanto da inventare in esso nuovi spazi, e riuscendo in questo modo a valorizza una identità inserendovene una nuova all’interno. L’alterità trae la sua forza dalla distinguibilità, che diviene stumento in positivo di messa in valore dell’antico. Al contrario, la trasparenza del primo step progettuale di Carmassi, ha la sua forza dell’idea di tensione all’annullamento parziale della visibilità del nuovo. Trasparire vuol dire apparire attraverso, ma per un primo layer progettuale dell’adeguamento, esso vuol dire non manifestarsi, integrarsi nella consistente dell’esistente. Se trasparente vuol dire anche interpretabile con facilità, troviamo in questo approccio progettuale un ulteriore paradosso, che si associa agli ossimori di partenza: la tensione a rendere invisibile il progetto di adeguamento a nuovi usi, si intreccia con una modifica ambigua dell’esistente, sfocando il limiti del nuovo. La trasparenza è però solo parziale, poichè ad essa si associa il secondo layer progettuale dell’innesto, la cui evidenza a contrasto conferisce al progetto, anche in questo caso come in Canali, una porzione di “nuova identità” chiaramente percepibile. La distinguibilità del nuovo, nella tensione alla trasparenza è selettiva, nell’alterità è una condizione di identità equivalenti a contrasto. Gli strumenti della trasparenza e dell’alterità sono di conseguenza ben distinti: in Canali c’è un maggiore uso di metafora e simbolo, si allude a precedenti usi, si allude alla precarietà del nuovo per alleggerirne l’impatto; in Carmassi il nuovo è soprattutto adeguamento e performance funzionale, perciò si intende una tensione alla trasparenza poiché l’intenzione è quella di dotare l’esistente di una presenza che sommessamente ne consenta l’uso, lasciando la sensazione di utilizzare un contenitore antico. In Canali il carattere autonomo del nuovo sembra predominante, tuttavia il contrasto esalta la distanza tra antico e nuovo; la tensione alla trasparenza in Carmassi nega una totale autonomia al nuovo, dunque la sua presenza appare più ingombrante poiché dipendente dal contenitore. Un gioco di doppi ossimori, dunque, ci conduce alla riflessione sulla sfida che il binomio antico-nuovo impone al progetto sull’esistente, alla luce di due posizioni progettuali distinte per metodo ma affini per intenzione, ovvero la messa in valore dell’esistente attraverso nuovi usi e nuove gerarchie spaziali, più o meno evidenti e dichiarate. L’ambito di ricerca La studio condotto ambisce ad aggiungere un tassello all’ampio campo di ricerca del tema del riuso e della rifunzionalizzazione. Al di là del Restauro, ma spesso a cavallo con esso, lo studio affronta il tema del progetto sull’esistente in virtù di un’intuizione: il progetto sull’esistente procede “caso per caso” per via delle eccezionalità insite in ogni specifica preesistenza, e forse proprio a causa di questa caratteristica, non è immediato ricondurre il progetto a dei temi-guida. Nel campo progettuale dell’intervento sull’esistente, non appare infatti sperimentata la definizione di linee di ricerca teorico-operative. Nell’ambito del riuso e della rifunzionalizzazione, si procede spesso ad analisi basate su categorie di esiti, e non su categorie di strategie a monte di tali esiti, o comunque non focalizzate a comprendere il perché di tali strategie. Nella dottrina del Restauro si sono avvicendate nel tempo varie strategie metodologiche, forti di un apparato teorico capace di indirizzare l’intervento. In relazione alla pratica del progetto sull’esistente in casi estranei al Restauro oppure in casi in cui si sorpassi il limite della sola valorizzazione conservativa, questo sforzo di sintesi sembra non essere stato compiuto. Si ritiene che l’individuazione di singoli strumenti operativi non sia sufficiente a guidare nella progettazione. Oltre gli specifici aspetti tecnici e tecnologici di adeguamento, ed i principi teorici di conservazione dell’esistente, occorre formulare dei temi-guida sintetici globali, ovvero degli indirizzi di senso per il progetto. Lo studio qui presentato tenta di rispondere a questa apparente assenza di linee di ricerca, individuandone due in particolare. Occorre inoltre precisare che, abbandonando una netta collocazione all’interno della dottrina del Restauro, lo studio si focalizza sul progetto inteso come rapporto tra due entità a confronto, il nuovo e l’esistente. In questa ottica ben più globale, l’eventuale vincolo storico-artistico è visto come uno stimolo progettuale per il nuovo al pari degli stimoli posti da nuove esigenze funzionali nel riuso di preesistenze non soggette a vincolo. Obiettivi e finalità A conclusione del percorso di studio condotto, l’obiettivo che inizialmente sembrava coincidere con la redazione di un manuale critico, appare invece quello di definire una guida alla progettazione possibile, nel confronto/scontro tra antico e nuovo. Nello specifico, si punta ad individuare due linee di ricerca possibili, da cui trarre spunto per una impostazione teorica-metodologica del progetto, e soprattutto per dare un indirizzo all’intervento concreto sull’esistente. A questo obiettivo, se ne affianca un altro più circoscritto – possiamo dire un sotto-tema - ma che deriva direttamente dalla scelta dei due autori presi in esame: il confronto, in parallelo, di due approcci progettuali simili per nascita ma diversi negli esiti, al fine di rendere chiare le differenze di due strategie egualmente didattiche. L’alterità concorde e l’ambizione alla trasparenza del nuovo sono due approcci progettuali applicabili al progetto sull’esistente: quali i limiti e quali le potenzialità di entrambi? Anche a questa domanda, lo studio presentato si propone di rispondere. Figure e argomenti trattati Come già esposto, la Tesi qui presentata è uno studio che parte dai progetti, per definire quale metodo e quale poetica ci siano a monte di essi, al fine di definire approcci progettuali possibili, nel rapporto conflittuale tra esistente e nuovo. A tale scopo è apparso utile affidarsi a degli “strumenti di comprensione” ovvero, in questo caso, a due autori assunti al ruolo di esponente chiave di tale particolare ambito progettuale. La scelta è ricaduta su due autori, Guido Canali e Massimo Carmassi, in virtù di alcune loro caratteristiche: una produzione architettonica nel campo dell’intervento sull’esistente messa alla prova su vari tipi di preesistenza, dal vincolo storico-artistico alla trasformazione di edilizia comune o industriale, dunque dotata di versatilità nell’applicazione del metodo; la coerenza nei mezzi espressivi e negli strumenti progettuali adottati; una apparentemente possibile trasmissibilità del metodo. Queste caratteristiche rendono i due autori didattici al fine di poter comprendere come si possa progettare l’esistente e con quali esiti. Sarà inoltre utile valutare i modi e la “scala” con cui il nuovo viene inserito nell’esistente, ovvero possiamo dire con quale predominanza e/o adattamento. In appendice alla parte iniziale del testo, vengono trattati anche due autori del passato, considerati dei Maestri nel tema dell’approccio all’esistente: Carlo Scarpa e Franco Albini. Indiscussi protagonisti del rapporto con l’esistente, sono anch’essi assunti come casi-studio utili a comprendere quanti strumenti si possono avere a disposizione nel progetto sull’antico. La lezione dei Maestri viene rintracciata nel metodo dei due autori analizzati. Per tale ragione un richiamo ad alcuni progetti simbolo e ad alcuni concetti chiave nel loro metodo è sembrata funzionale ad una più completa comprensione degli interventi di Guido Canali e di Massimo Carmassi. Il metodo di indagine Per estrarre le intenzioni teorico-metodologiche dai progetti, per ogni autore, si tenta una divisione tra gli aspetti del metodo e gli aspetti della poetica. Affidando alla poetica il ruolo di guida, potremmo dire, “inconscia” del progetto, che unifica gli strumenti in comuni intenti, ritroviamo nel metodo gli strumenti concreti del fare architettura. Pensando al binomio metodo-poetica come unità indissolubile e fulcro di ciò che definiamo linguaggio, non si intende rinunciare a nessuno dei due aspetti: sia il metodo che la poetica vengono analizzati e ricondotti a categorie componenti il progetto. Ogni elemento desunto da metodo e poetica viene verificato alla luce di tutte le esperienze progettuali prese in esame, al fine di comprendere se sia veramente parte integrante dell’approccio del singolo autore. La ricerca deve essere letta come una vera climax di approfondimento. Si parte dal reperimento e dall’analisi dei dati concreti, oggettivi, ovvero dai casi studio. Si desumono da questi i vari strumenti progettuali utilizzati, iniziando a visualizzare e definirne le potenzialità e le differenze di esito, nel costante confronto tra i due autori. A conclusione del percorso, si individuano dei temi globali a cui sembrano far capo gli elementi precedenti, e arriva alla conferma delle due linee di ricerca enunciate. La struttura del testo La Tesi è stata organizzata in quattro capitoli, secondo la suddetta analisi progressiva. Ad essi si associa una appendice, che presenta la medesima struttura di indagine, applicata alle figure di Carlo Scarpa e Franco Albini. Lo studio procede, sostanzialmente, secondo due passaggi successivi: l’analisi dei dati oggettivi e la sintesi critica degli esiti progettuali per ricondurli a principi di metodo e formulare le due linee di ricerca. Questa scansione ha suggerito la suddivisione del testo in due volumi distinti, opzione che si è rivelata utile a vari scopi. Isolare i casi studio in una sorta di piccola antologia sull’opera di Guido Canali e Massimo Carmassi, e dei Maestri con loro, vuole mettere in luce un aspetto del metodo di studio che ha avuto un ruolo chiave. Il contatto diretto con l’opera, il sopralluogo ed il confronto con le reali esigenze di gestione e manutenzione degli spazi, sono state esperienze che hanno fornito elementi indispensabili all’approfondimento dei progetti. Il primo volume racchiude tutto questo bagaglio di informazioni, frutto dell’integrazione dei dati tratti dalla letteratura esistente, i dati reperiti sul luogo ed il confronto con gli utenti e i gestori delle strutture. E’ una sorta di diario di viaggio, e può essere utilizzato per ripercorrere le visite alle opere, come guida. Oltre a questo aspetto, la suddivisione in due parti consente anche una lettura più agevole della sezione analitico-critica. Infatti, la prima parte fornisce i dati essenziali alla comprensione dei progetti, e la distinzione i due volumi consente di abbinare alla lettura dell’analisi, la costante consultazione dei dati di progetto. Anche la comprensione degli elaborati critici presenti nei due volumi è agevolata dalla loro costante lettura comparata. Il primo capitolo introduce le due figure e propone i progetti assunti a caso studio, secondo schede monotematiche. Segue il primo capitolo, l’appendice sui Maestri dell’approccio italiano all’esistente. Il richiamo a Carlo Scarpa e Franco Albini è condotto secondo la stessa strategia di analisi utilizzata per i due autori. Lo studio dei Maestri ha avuto certamente un ruolo formativo centrale per l’impostazione critica della Tesi, ed inoltre gli stessi autori analizzati citano Scarpa e Albini come punti di riferimento. La collocazione esterna alla struttura della Tesi, consente di non interrompere il percorso di riflessione, pur mantenendo la possibilità di compiere, preliminarmente all’analisi critica, tale sosta di approfondimento. E’ stata scartata anche una collocazione cronologica dei due Maestri, per evidenziare il fatto che la Tesi non traccia un excursus storico del progetto sull’esistente, dunque non è uno studio storico-critico, ma piuttosto una operazione di sintesi teorico-progettuale sull’opera di Canali e Carmassi e sulle potenzialità del progetto sull’esistente in genere. Il secondo capitolo tratta i progetti scelti in modo trasversale rispetto alle varie categorie di analisi che compongono l’asse critico della ricerca. I due autori vengono quindi letti in parallelo e, dove utile e possibile, in comparazione, al fine di analizzare le differenze di approccio e, nei punti di contatto, la differenza eventuale di esiti. In questa sezione, come vedremo, si estrapolano dai progetti i vari strumenti concreti di modifica dell’esistente. Il terzo capitolo presenta le fonti dirette dello studio, ovvero le interviste ai due autori in esame. Nella prima fase della ricerca, quando era ancora nelle intenzioni quella di compilare un manuale critico, l’intervista all’autore era stata collocata tra i primi passi da compiere nell’avvio dello studio. Dopo una prima ricognizione sui dati presenti nella letteratura e dopo i primi esiti critici della ricerca, si è preferito rimandare le interviste ad una fase di verifica o piuttosto di confronto delle conclusioni raggiunte. Per tale ragione il reperimento dei dati, grafici e fotografici, è stato condotto tramite ricerca bibliografica e sopralluogo diretto, affidando, appunto, alle interviste, il ruolo di confronto finale. Il quarto capitolo presenta il testo sintetico e conclusivo in cui si riassumono gli esiti critici dell’analisi dei due autori, attraverso la definizione dei temi compositivi centrali nel loro approccio. In questa fase, oltre a rivedere le due posizioni progettuali dell’assunto iniziale si fa il punto sulla più o meno effettiva trasmissibilità del metodo e sulla sua validità rispetto all’enunciato di partenza, in base a parametri di flessibilità e coerenza. La struttura dell’analisi critica La Ricerca propone, non una catalogazione di dati, ma una interpretazione secondo specifiche chiavi di lettura. Per tale ragione, come già detto, assume particolare rilievo la definizione di tali misure interpretative. L’approccio agli autori viene suddiviso secondo tre categorie di analisi: le tecniche progettuali, le soluzioni funzionali, ed infine, come sintesi critica, i temi compositivi. Le tre categorie si focalizzano, ovviamente, sugli aspetti direttamente connessi al rapporto tra antico e nuovo. Per tale ragione, in alcuni casi verranno tralasciati aspetti compositivi o strumenti tecnici i quali, seppur ricorrenti ed importanti nella produzione dell’autore, non rientrano negli aspetti utili a comprenderne l’approccio specifico nella gestione dell’intervento sulla preesistenza. Le tecniche progettuali sono gli strumenti concreti che ogni autore utilizza nel progetto, sono cioè le frecce che ogni autore sceglie di avere al proprio arco, nel momento in cui si trova a lavorare su una preesistenza. Il lavoro qui presentato si è prefisso l’obiettivo di desumere tali strumenti direttamente dai progetti, ovvero dal dato concreto, di nominarli quindi definirne il senso e lo scopo, graficizzarli quindi renderli rintracciabili nel progetto, e poi metterli a confronto con gli esiti, e con gli altri autori. Quella delle soluzioni funzionali è una categoria strettamente connessa alla precedente. Le soluzioni infatti sono, allo stesso modo, strumenti concreti, che però rispondono, non solo alle intenzioni di gestione del rapporto esistente-nuovo, ma in primo luogo alle aggiornate richieste funzionali espresse dalla nuova funzione o nuova gestione dell’edificio esistente. Le soluzioni funzionali sono spesso un sottoinsieme delle tecniche ed in alcuni casi, primo fra tutti quello rappresentato da Franco Albini, esprimono un vero e proprio tema compositivo. Per quanto riguarda i temi compositivi, su può dire che essi siano la parte dell’approccio progettuale di cui si riconosce una certa appartenenza all’ambito della poetica. Non direttamente individuabili in e tramite un dato di progetto, tali temi racchiudono le intenzioni e gli scopi degli autori. Il tema compositivo dovrebbe fornire una visione globale dell’intenzione messa in atto poi dalle tecniche. I temi compositivi hanno una minore caratteristica di trasversalità nei due autori, poichè sono i caratteri che più si avvicinano alla definizione del linguaggio personale. Vedremo come i temi compositivi potranno riassumere e sintetizzare gli aspetti concreti del progetto, conducendo all’enunciazione delle due linee di ricerca e alle valutazioni conclusive. Le tre categorie sono ovviamente interconnesse tra loro, ed alcuni aspetti progettuali sono difficilmente confinabili in una sola delle tre. Nonostante ciò, alla prima verifica della validità della scansione in categorie operata sui Maestri, la suddivisione appare funzionale all’adempimento di uno dei principali obiettivi della Tesi: analizzare approcci progettuali rendendoli trasmissibili, quindi strumento utile a guidare la progettazione. La suddivisione dei progetti in tecniche e soluzioni funzionali appare la strada migliore per rendere i metodi trasmissibili e utili alla progettazione. In questo senso, sarà opportuno guardare alla suddivisione in categorie non come classificazione assoluta ma come una necessaria parcellizzazione e semplificazione del problema analitico-critico posto. L’apparato iconografico L’apparato iconografico gioca un ruolo predominante nella struttura della Tesi. Si compone di due elementi: materiale fotografico ed elaborazioni grafiche. Lo studio procede dai progetti verso una estrapolazione di temi e metodi. Per tale ragione, la graficizzazione di queste analisi ed il supporto fornito ad essa da materiale fotografico originale, rappresenta uno dei principali focus della Tesi. Come confermano anche le scelte di layout, si può affermare che il rapporto tra il dato-testo ed il dato-grafico/fotografico sia di totale equivalenza per corpo e rilevanza, in conseguenza della loro complementarietà: lo scatto fotografico inquadra il ragionamento esposto nel testo, le elaborazioni grafiche evidenziano i layer progettuali, i testi ne sono un supporto e un approfondimento. Per tale natura della Ricerca, lo studio dei progetti non può basarsi sulla sola letteratura esistente. Per questa ragione lo studio dei due autori e dei maestri viene affrontato anche tramite il sopralluogo ed il rilievo fotografico delle opere analizzate. Tale materiale fotografico originale diviene strumento di comprensione dei temi trattati ed è parte integrante della struttura dei capitoli. Gli elaborati grafici prodotti sono di due tipi: elaborato descrittivo elaborato critico L’elaborato descrittivo è una evidenziazione grafica del rapporto tra nuovo ed esistente, operata su ciascuno dei progetti studiati, ed ha il ruolo di descriverlo in tutti i suoi dati specifici, tramite piante, sezioni e prospetti. Tale elaborato è quindi strettamente connesso ai reali disegni di progetto, ed è un supporto indispensabile alla comprensione dell’opera, al fine di poter cogliere i successivi passaggi analitico-critici. Gli elaborati descrittivi sono il corredo delle schede progetto e vengono presentati nel primo capitolo. Questi schemi sono particolarmente utili nel confronto incrociato poiché mettono immediatamente in luce – tramite differenze di colori – i vari livelli con cui i due autori risolvono il medesimo quesito progettuale. Si vedrà infatti come l’uso del doppio colore negli schemi relativi alle opere di Carmassi, induca subito ad una riflessione sugli aspetti mimetici di una certa parte dei suoi interventi sull’esistente, a confronto con una più netta delimitazione del nuovo in Canali. L’elaborato critico si colloca a metà tra la descrizione e l’ideogramma: è una elaborazione realizzata su disegni o foto di dettaglio, al fine di mettere in luce le particolari caratteristiche progettuali attraverso la lente di ingrandimento del tema o della tecnica rintracciati,coadiuvando il testo descrittivo. Lo schema critico, semplice e diretto, dovrebbe invitare allo studio dell’opera indirizzando secondo le linee di ricerca proposte gli occhi che - per dirla con Le Corbusier - spesso “non vedono”, soprattutto nel caso di progetti complessi come quelli che si confrontano con i valori stratificati in una preesistenza, e ancor più in un monumento storico-artistico. Le conclusioni del percorso di Ricerca L’operazione di descrizione delle opere dei due autori tramite un elenco ragionato di tecniche progettuali concrete, ha dato conferma del valore didattico dei due approcci. Riuscire ad associare a problematiche di gestione del rapporto antico-nuovo, specifici strumenti di intervento, sembra avvalorare la tesi della trasmissibilità del metodo dei due autori. La coerenza negli strumenti utilizzati e la evidente spinta dei progetti oltre la pura categoria della conservazione, rendono Guido Canali e Massimo Carmassi due effettivi strumenti di comprensione delle possibilità e potenzialità offerte dal vincolo dell’esistente al progetto del nuovo. Alla domanda posta dalla Tesi, ovvero se sia possibile tracciare delle linee guida teorico-operative nell’intervento sull’esistente, si risponde con due concetti chiave: l’alterità concorde di Guido Canali e la trasparenza del nuovo di Massimo Carmassi. Si riconosce nell’approccio dei due “strumenti di comprensione” un gioco di ossimori. Al primo ossimoro nuovo-esistente lanciato dal compito progettuale, ciascuno dei due autori sembra rispondere con ulteriori successivi paradossi apparenti: Guido Canali opera in modo sovrastrutturale, in un distacco netto a cui riconosciamo invece una caratteristica di affinità valorizzante – l’alterità concorde – mentre Massimo Carmassi adotta una strategia che mira al contrasto dissimulato, nell’ambizione contraddittoria di rendere trasparente il nuovo. Al pari dell’attenzione al senso del luogo in Scarpa e all’espressività della modernità in Albini, le due intenzioni sintetizzano una specifica poetica nella gestione del connubio antico-nuovo. La principale caratteristica che ha portato alla codifica delle due linee di ricerca, è racchiusa nel concetto di distinguibilità. La tensione alla definizione del limite del nuovo è radicalmente diversa nei due approcci, e ciò si concretizza in una differente gestione dell’inserimento dei nuovi strati sull’esistente. L’approccio di Canali tende verso una netta delimitazione del nuovo. La sequenza spaziale inserita da Canali nella Pilotta è un organismo complesso che porta con sé tutto il necessario per il nuovo uso: se l’allestimento, gli impianti e tutte le infrastrutture necessarie all’adeguamento funzionale sono parte della composizione formale del nuovo, allora esso è interamente distinguibile dall’esistente. L’alterità non cede nulla alla mimesi e alla trasparenza, tutto il nuovo è dichiarato e distaccato dall’antico. Un simile contrasto, in che modo può allora definirsi concorde? Il concetto di alterità porta infatti con sé l’idea dell’estraneità. Ma se il corpo estraneo inserito nell’esistente, ha la capacità di accentuare le spazialità originarie ed “inventare nuovi spazi” all’interno di esse, l’alterità è uno strumento di messa in valore. Canali conserva uno spazio ma inventa un nuovo museo nella Pilotta. La capacità di suggestione esercitata dal percorso espositivo consente di ri-conoscere l’esistente. L’edificio è esplorato e riconosciuto, dotato di nuovi sensi e rinnovato nelle spazialità originarie. Conservare uno spazio inventando in esso uno spazio nuovo, del resto, è anch’esso un ossimoro, seppur esprima a pieno l’idea di innovazione spaziale concorde in Canali. In senso concreto e immediato, l’alterità del nuovo conserva l’originarietà dell’esistente poiché non genera “zone d’ombra” ovvero non comprende interventi mimetici ma espone i propri contorni. In senso più ampio, l’alterità introduce un nuovo strato nell’antico. Carmassi opera tramite due passaggi successivi, complementari. Egli inserisce un primo layer progettuale per adeguare l’esistente, in modo realmente trasparente ma non distinguibile, ed un secondo layer progettuale, quello delle scatole vetrate per l’innesto delle nuove funzioni. La tensione alla trasparenza viene assecondata, dunque, secondo due aspetti: l’annullamento del limite tra antico e nuovo nel layer di adeguamento; la chiarezza formale del layer di innesto per garantire un distacco evidente dall’esistente. Gli interventi di Carmassi perseguono l’obiettivo della trasparenza aggiornando la performance funzionale dell’esistente. Il contenitore antico viene reso una macchina perfettamente adeguata alle richieste dei nuovi usi. Il nuovo si manifesta solo nelle appendici che ne abitano gli spazi. Canali dunque inserisce un nuovo strato, Carmassi compie due operazioni scegliendo di mimetizzare l’adeguamento e dichiarare solo una parte del nuovo. Ma la vera trasparenza del nuovo risiede allora nella mimesi o piuttosto nella dichiarata distinguibilità? Il desiderio di trasparenza sembra non esaudito nel momento in cui, l’adeguamento che realmente non è visibile, inficia la lettura dello spazio originario, cedendo anche a volte allo strumento della mimesi. Al contempo, la trasparenza dei nuovi volumi inseriti in esso è solo parziale. Questi aspetti fanno propendere per la scelta progettuale della dichiarata alterità, poiché essa appare la linea di ricerca con le maggiori potenzialità di valorizzazione. Un ulteriore tema-chiave che ha accompagnato la formulazione delle conclusioni critiche, è quello della flessibilità del nuovo, nel tempo, o per usare le parole di Carmassi, la capacità del nuovo di invecchiare con l’esistente . Se l’autore propone questa immagine a proposito della scelta dei materiali operata nei propri progetti, il tema della flessibilità nel tempo appare soprattutto una lente attraverso cui valutare la “tenuta” del progetto nell’evoluzione della vita dell’edificio. Inserire un layer progettuale di adeguamento mimetico – pensiamo agli interventi sulla struttura esistente volti a mascherare i nuovi impianti – difficilmente potrà garantire una facilità di implementazione del nuovo, nel corso del tempo. L’inserimento di una alterità autonoma e delineata, rende invece più semplice arricchire questa nuova macchina funzionale, senza intaccare l’esistente. Nonostante queste conclusioni critiche in merito alla funzionalità delle due linee di ricerca, entrambe si confermano utili strumenti di guida al progetto. La Ricerca ne ha voluto proporre sia una analisi per tecniche utilizzate, che una considerazione di validità conclusiva. In tale modo si ritiene possa essere stata formulata una valida guida alla progettazione consapevole del nuovo sull’esistente, dal quale estrarre, secondo un proprio criterio di funzionalità, gli strumenti più adatti al caso progettuale che ci si trovi ad affrontare. Alla luce delle conclusioni raggiunti, si ritiene che i due autori analizzati siano didattici al fine di delineare due possibili linee di ricerca che, a partire dal passato e dalla lezione dei Maestri, possano essere tracciate e utilizzate nel futuro. Strumenti documentali, archivistici e bibliografici Il principale strumento di documentazione della Ricerca è stato il contatto diretto con le fonti primarie rappresentate dal rilievo del progetto reale, il confronto con il committente e l’utente, ed il confronto con gli autori delle opere stesse. Particolarmente utile è stata la fonte primaria rappresentata dal sopralluogo e dal confronto con gli utenti. I dati acquisiti hanno consentito di completare la comprensione dell’opera, approfondendo le ragione delle scelte a monte, e le conseguenze sull’uso reale degli strumenti applicati. Ciò ha inoltre consentito di valutare al “tenuta” del progetto nel tempo, ovvero la capacità delle scelte progettuali di prefigurare e assecondare possibili usi futuri, rendendo il nuovo in grado di condividere con l’antico la conservazione del proprio senso e di una propria vita interna, nel tempo. Le fonti secondarie sono state reperite tramite una lunga ricerca bibliografica di testi e periodici. Il sopralluogo alle opere analizzate, nel caso di edifici sede di istituzioni culturali come la Pilotta, il Complesso museale di Santa Maria della Scala, e la Biblioteca di Senigallia, ha consentito di usufruire anche del patrimonio documentale specifico presente nelle singole sedi. Le principali fonti bibliografiche, di riferimento generale sono: Boriani M. (a cura di), Progettare per il costruito. Dibattito teorico e progetti in Italia nella seconda metà del XX secolo, Città Studi Edizioni, collana Architettura, Torino, 2008 Cornoldi A. (a cura di), Gli interni nel progetto sull’esistente, Casa editrice Il Poligrafico, collana Interni, p.416, Padova, 20077 Sette M.P., Il Restauro in Architettura. Quadro storico; saggio introduttivo di Gaetano Miarelli Mariani, Ed. UTET, Torino, 2001 Grimaldi A., Attrezzare l’architettura. Strategie operative per l’architettura del terzo millennio tra permanenza e innovazione, Officina Edizioni, collana Architettura Università Officina, p.128, Roma, 2013 Malighetti L.E., Recupero edilizio. Strategie per il riuso e tecnologie costruttive, Casa editrice Il Sole 24 ORE, collana I Libri di Arketipo, p.291, Milano, 2011 Murphy R., Carlo Scarpa & Castelvecchio, edizione italiana a cura di A. Di Lieto e A.Rudi, Arsenale Editrice, collana Biblioteca di architettura, p.198, Venezia, 1991 Le principali fonti bibliografiche sull’opera dei due autori sono: AA.VV., Guido Canali, numero monografico di “Costruire in Laterizio”, rivista bimestrale, organo ufficiale Andil – Associazione Nazionale degli Industriali dei Laterizi, Gruppo Editoriale Faenza Editrice S.p.A., n°87, maggio/giugno 2002 Caldarola M., Il riciclaggio urbanistico 3/Reinterpretazione per il riuso, in “Equilibri. Rivista per lo sviluppo sostenibile”, rivista quadrimestrale, Società Editrice Il Mulino, n°2, 2000, pp.205-212 Carmassi G.,Carmassi M., Del restauro. Quattordici case. Gabriella e Massimo Carmassi. con un saggio di Paolo Marconi, Editore Mondadori Electa, collana Documenti di architettura, p.272, Milano, 1997 Mulazzani M., Massimo e Gabriella Carmassi. Opere e progetti, Editore Mondadori Electa, collana Documenti di architettura, p.255, Milano, 2004
16-lug-2015
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