Le strategie della ricostruzione dopo una catastrofe naturale, analizza il processo di ricostruzione della città americana conseguente al disastro provocato dall'uragano Katrina nel 2005. La tesi prende in considerazione in particolar modo le catastrofi naturali degli ultimi dieci anni e il modo in cui le città, a causa dei cambiamenti climatici, debbano applicare strategie resilienti per difendersi dalle calamità. Nell’ultimo decennio anni infatti le catastrofi naturali hanno conosciuto un incremento sostanziale tale da rendere necessaria una presa di posizione da parte di tutte quelle discipline che si occupano dell’uomo e del suo benessere tra le quali vi è naturalmente anche l’architettura. Di fronte a sconvolgimenti di ampia portata si rende necessaria una capacità di reazione notevole alla quale l’architettura può offrire un vasto contributo tramite la progettazione integrata dei vari sistemi complessi che compongono una città. ¬¬¬ Abbiamo articolato la ricerca in tre sezioni, come si evince dall’indice che riportiamo di seguito. Nella prima parte abbiamo introdotto il tema delle catastrofi partendo dal significato stesso della parola così come la intendevano gli antichi greci in generale e Aristotele nello specifico. All’origine il termine non possiede alcuna connotazione negativa e indica semplicemente un mutamento di rotta, un rovesciamento. Nel corso dei secoli però la parola si carica di un significato decisamente negativo e arriva a designare gli sconvolgimenti distruttivi che si verificano nel mondo naturale con le loro disastrose conseguenze per la vita degli esseri umani. In ambito cristiano, ma non solo, la parola si connette spesso all’idea di una punizione inviata da Dio sulla terra per punire le colpe di cui si sono macchiati gli uomini. Dovrà passare molto tempo perché si cominci a elaborare una teoria scientifica delle catastrofi, capace di analizzarle come puri fenomeni naturali scevri di qualunque intervento sovrannaturale. Sarà il filosofo illuminista Jean-Jacques Rousseau, parlando del terremoto che distrusse Lisbona nel 1755, a sottolineare con forza che i disastri naturali sono percepiti come tali solo perché nei luoghi in cui si verificano è forte la presenza degli insediamenti umani; laddove invece la presenza degli uomini è ridotta o nulla, come nel caso dei deserti, un terremoto o uno sconvolgimento analogo non è in alcun modo percepito come disastro. A seguito del terremoto che il 5 Febbraio 1783 distrusse gran parte della Calabria e una porzione consistente della Sicilia, nel mondo filosofico-scientifico si assiste a un lento ma costante cambiamento di rotta orientato a fornire una spiegazione scientifica dei fenomeni naturali all’origine dei disastri ambientali che tanto hanno turbato e continuano a turbare la vita egli uomini. Pian piano il mondo accademico ha messo in luce come le catastrofi naturali rivelino le vulnerabilità sociali dell’umanità, collegate a situazioni economiche di indigenza e disagio. All’inizio degli anni Settanta il matematico francese René Thom ha sviluppato una teoria della catastrofe che interpreta l’evento disastroso come frutto dell'instabilità della natura, collegato direttamente alla morfologia di questa. Si tratta di un modello matematico generale molto complesso che propone una descrizione della discontinuità considerata come la quintessenza di quei fenomeni detti catastrofi. In chiusura del capitolo abbiamo ritenuto opportuno inserire dei brevi cenni a proposito dei concetti di rischio e vulnerabilità, categorie fondamentali per qualificare una catastrofe oltre a un breve elenco di quelle che sono state le catastrofi più devastanti degli ultimi dieci anni tra le quali rientra ovviamente il caso dell'uragano Katrina che si è abbattuto su New Orleans nel 2005. Il secondo capitolo dello studio è dedicato all'analisi di un concetto sempre più importante per la pianificazione delle città vulnerabili: la resilienza. Con questa parola generalmente viene indicata la capacità individuale e sociale di risollevarsi dopo una catastrofe, di rivedere nuovi orizzonti della propria esistenza e di cogliere nuove opportunità che la vita potrebbe offrire. Il concetto di resilienza può essere applicato alle città a rischio sia prima, come strumento di prevenzione, sia dopo come metodo di ricostruzione e pianificazione attraverso strategie specifiche che garantiscano alle città la capacità di resistere alle catastrofi o di reagire ad esse attraverso infrastrutture flessibili e adattabili ai mutamenti delle città. In queste occasioni l'architettura è chiamata a rispondere a un arduo compito, quello di salvaguardare l'identità della città dandole al tempo stesso una nuova impronta, cosi ché sia capace di rispondere meglio a possibili reiterazioni dell'evento dannoso. Partendo dalle posizioni di David Godschalk abbiamo provato a definire una città resiliente come quella resistente e flessibile nella quale le diverse reti comunitarie sono in grado di sopravvivere anche in condizioni estreme. Successivamente, sulla base degli studi di Vale e Campanella, abbiamo tentato di mettere in luce il modo in cui le città moderne affrontano la ricostruzione con il fine di limitare i danni sia in termini materiali che in termini di perdite umane. In questi termini abbiamo tentato di sottolineare come i termini di ricostruzione e resilienza spesso si sovrappongano e coincidano quando si tratta di reagire a seguito di una catastrofe. Abbiamo ritenuto opportuno inserire un breve riferimento alla politica che spesso ha una grossa influenza sul recupero della città ma più che preoccuparsi di ciò di cui i sopravvissuti hanno realmente bisogno, punta, con i suoi piani di ricostruzione, a contribuire a un vago e discutibile concetto di prestigio nazionale. Successivamente abbiamo preso in esame le teorie di Mehaffy e Salingaros che si preoccupano di capire come sia possibile rendere le città meno vulnerabili pur rendendosi conto che non è possibile progettare solo ed esclusivamente in funzione di un'ipotetica catastrofe. Partendo da un'analisi dei sistemi della biologia, i due autori arrivano alla conclusione che, affinché un sistema sia resiliente, è necessario che i sistemi che lo compongono siano interconnessi e diversificati così da poter sopperire a un eventuale danneggiamento di uno di essi. Purtroppo molte città presentano una struttura rigida e non elastica, caratteristiche non certo resilienti. Pertanto la progettazione, filtrata attraverso la resilienza, deve mirare a creare strutture flessibili e ridondanti che tengano conto dei bisogni umani fondamentali come l'acqua potabile, i servizi igienico-sanitari e l'energia. In conclusione dalle analisi degli studiosi emerge come per pianificare una strategia di costruzione/ricostruzione resiliente sia necessario attenersi a sei ambiti di intervento: pianificazione territoriale; previsione, riduzione e gestione della vulnerabilità; pianificazione urbanistica; ciclo idrico; verde urbano multifunzionale. I sistemi che interagiscono in modo complesso in questa operazione sono molteplici e tra questi vi sono il sistema delle infrastrutture, dei percorsi, del verde, degli edifici che dovranno dare una risposta immediata per riattivare il funzionamento della città. Gli ultimi due paragrafi del secondo capitolo si concentrano sull'esplicazione di due casi di città resilienti molo diversi tra loro: Amburgo e New York, due esempi di città resilienti molto diversi tra loro. Nel primo caso la città di Amburgo è stata progettata per adattarsi in maniera indolore alle mareggiate che continuamente la affliggono; a New York invece la strategia resiliente è stata adottata in seguito alla catastrofe generata dall'uragano Sandy al fine di colmare alcune lacune e risanare delle vulnerabilità che la Grande Mela ha mostrato di avere in occasione della catastrofe. Entrambi i casi però hanno dimostrato che se la resilienza fa da filtro, sia nel caso della progettazione che in quello della ricostruzione, è possibile curare quelle carenze che sono alle origini dei maggiori danni materiali e delle perdite umane. Inoltre a seguito di catastrofi una struttura resiliente si è dimostrata in grado di velocizzare la ripresa del sistema di equilibrio scosso dai fattori di sconvolgimento. La candidata nella terza parte ha scelto di prendere come esempio da analizzare il caso di New Orleans poiché la causa del disastro non è stata legata solo alla potenza dell'uragano ma anche a una serie di errori connessi alla cattiva pianificazione urbana e alla gestione dell'emergenza. Questi fattori hanno portato a una ricostruzione guidata da strategie che hanno migliorato l'assetto della città preparandola a nuove eventuali inondazioni. Per procedere alla ricostruzione e al miglioramento delle problematiche di New Orleans legate alla vicinanza al delta del Mississippi e conseguentemente all'erosione costiera, oltre ai metodi mediatici e pubblicitari come gli eventi organizzati dall'associazione Make It Right, la città si è basata sulle strategie resilienti sotto la guida dello studio Waggonner & Ball Architects. Gli studi hanno portato a elaborare un Piano Urbano Acqua (The Greater New Orleans Water Plan) che prevede, in una visione a lungo termine, la gestione delle acque urbane per tutta la durata del XXI secolo. Il piano affronta anche il problema delle acque sotterranee e piovane considerate come fattori critici da tenere presente per poter plasmare una città sicura, vivibile e bella. Le strategie resilienti previste sono sia di tipo “naturale”, nel senso della creazione di giardini, sia di tipo “meccanico” e prevedono l'edificazione di canali intervallati con grandi stagni. Questo piano delle acque si è rivelato efficace perché non riguarda solo la città ma si estende a tutta la regione in cui si trova New Orleans. Il compito di ricostruzione è stato affidato sia al sistema universitario sia alle fondazioni no profit alle quali è stata assegnata la missione di creare una città quanto più possibile resiliente. Le soluzioni architettoniche ed urbane realizzate in questa città sono state tali da poter diventare, come è stato per New York colpita dall'uragano Sandy nel 2012, un modello di pianificazione per gli interventi in altre città a rischio o già colpite da catastrofi similari. L'obiettivo finale, dopo l'analisi effettuata su New Orleans, è stato quello di indicare i possibili processi e interventi da applicare alle città a rischio di catastrofi naturali per aumentarne la resilienza. Ciò che accomuna le città colpite dalle catastrofi è il fatto che devono ripartire da zero per rigenerare il loro sistema urbanistico. Alla luce dei nostri studi siamo giunti alla conclusione che, a parità di condizioni, possono essere operati interventi comuni. Città come New York e New Orleans, in seguito a delle catastrofi, per la ricostruzione hanno preso spunto da altre città che avevano già attuato strategie resilienti. Tuttavia, fatto salvo un orientamento generico comune, è necessario calibrare ogni pianificazione strategica sul singolo caso e garantire l'applicazione completa del progetto affinché una città a rischio possa veramente guadagnare qualcosa in termini di resilienza. In caso contrario i risultati potrebbero essere molto deludenti, quando non devastanti, proprio come nel caso del Lower Ninth Ward ricostruito su iniziativa del MIR a New Orleans, dove ciò che è mancato, per essere considerato un esempio di resilienza urbana, è stata l'assenza di connessioni tra la scala urbana e quella architettonica. La metodologia applicata per lo sviluppo della tesi è stata quella di un’attenta ricerca bibliografica di testi ed articoli sui temi delle catastrofi e della resilienza. Attraverso due interviste, a figure come Richard Campanella, famoso geografo di New Orleans e Nikos S. Silangaros, matematico urbanista e teorico di architettura, è stato possibile approfondire interessanti tematiche con nuove interconnessioni. Il sopralluogo nella città di New Orleans ha permesso di verificare, su campo, lo stato attuale della città, vivere le difficoltà di alcune realtà e ammirare l’approccio didattico della facoltà ospitante. La ricerca per la tesi ha dato l’opportunità di sviluppare nuove visioni e metodi sulle possibili applicazioni di strategie per i luoghi più vulnerabili. Si ritiene che la tematica della resilienza urbana sia ancora in fase di sviluppo e non abbia ancora trovato molti regimi di applicazione. In molti casi vi è bisogno di grandi investimenti per l’attuazione di alcune strategie. L’architettura ha come sempre un ruolo fondamentale nella qualità di vita degli abitanti di una città, specialmente se queste hanno vissuto un trauma come una catastrofe, per cui l’applicazione strategica della resilienza nella progettazione può essere una giusta via da seguire per raggiungere un giusto equilibrio.

New Orleans, lezione di città resiliente? / Micalella, MARIA LUIGIA. - (2014 Dec 11).

New Orleans, lezione di città resiliente?

MICALELLA, MARIA LUIGIA
11/12/2014

Abstract

Le strategie della ricostruzione dopo una catastrofe naturale, analizza il processo di ricostruzione della città americana conseguente al disastro provocato dall'uragano Katrina nel 2005. La tesi prende in considerazione in particolar modo le catastrofi naturali degli ultimi dieci anni e il modo in cui le città, a causa dei cambiamenti climatici, debbano applicare strategie resilienti per difendersi dalle calamità. Nell’ultimo decennio anni infatti le catastrofi naturali hanno conosciuto un incremento sostanziale tale da rendere necessaria una presa di posizione da parte di tutte quelle discipline che si occupano dell’uomo e del suo benessere tra le quali vi è naturalmente anche l’architettura. Di fronte a sconvolgimenti di ampia portata si rende necessaria una capacità di reazione notevole alla quale l’architettura può offrire un vasto contributo tramite la progettazione integrata dei vari sistemi complessi che compongono una città. ¬¬¬ Abbiamo articolato la ricerca in tre sezioni, come si evince dall’indice che riportiamo di seguito. Nella prima parte abbiamo introdotto il tema delle catastrofi partendo dal significato stesso della parola così come la intendevano gli antichi greci in generale e Aristotele nello specifico. All’origine il termine non possiede alcuna connotazione negativa e indica semplicemente un mutamento di rotta, un rovesciamento. Nel corso dei secoli però la parola si carica di un significato decisamente negativo e arriva a designare gli sconvolgimenti distruttivi che si verificano nel mondo naturale con le loro disastrose conseguenze per la vita degli esseri umani. In ambito cristiano, ma non solo, la parola si connette spesso all’idea di una punizione inviata da Dio sulla terra per punire le colpe di cui si sono macchiati gli uomini. Dovrà passare molto tempo perché si cominci a elaborare una teoria scientifica delle catastrofi, capace di analizzarle come puri fenomeni naturali scevri di qualunque intervento sovrannaturale. Sarà il filosofo illuminista Jean-Jacques Rousseau, parlando del terremoto che distrusse Lisbona nel 1755, a sottolineare con forza che i disastri naturali sono percepiti come tali solo perché nei luoghi in cui si verificano è forte la presenza degli insediamenti umani; laddove invece la presenza degli uomini è ridotta o nulla, come nel caso dei deserti, un terremoto o uno sconvolgimento analogo non è in alcun modo percepito come disastro. A seguito del terremoto che il 5 Febbraio 1783 distrusse gran parte della Calabria e una porzione consistente della Sicilia, nel mondo filosofico-scientifico si assiste a un lento ma costante cambiamento di rotta orientato a fornire una spiegazione scientifica dei fenomeni naturali all’origine dei disastri ambientali che tanto hanno turbato e continuano a turbare la vita egli uomini. Pian piano il mondo accademico ha messo in luce come le catastrofi naturali rivelino le vulnerabilità sociali dell’umanità, collegate a situazioni economiche di indigenza e disagio. All’inizio degli anni Settanta il matematico francese René Thom ha sviluppato una teoria della catastrofe che interpreta l’evento disastroso come frutto dell'instabilità della natura, collegato direttamente alla morfologia di questa. Si tratta di un modello matematico generale molto complesso che propone una descrizione della discontinuità considerata come la quintessenza di quei fenomeni detti catastrofi. In chiusura del capitolo abbiamo ritenuto opportuno inserire dei brevi cenni a proposito dei concetti di rischio e vulnerabilità, categorie fondamentali per qualificare una catastrofe oltre a un breve elenco di quelle che sono state le catastrofi più devastanti degli ultimi dieci anni tra le quali rientra ovviamente il caso dell'uragano Katrina che si è abbattuto su New Orleans nel 2005. Il secondo capitolo dello studio è dedicato all'analisi di un concetto sempre più importante per la pianificazione delle città vulnerabili: la resilienza. Con questa parola generalmente viene indicata la capacità individuale e sociale di risollevarsi dopo una catastrofe, di rivedere nuovi orizzonti della propria esistenza e di cogliere nuove opportunità che la vita potrebbe offrire. Il concetto di resilienza può essere applicato alle città a rischio sia prima, come strumento di prevenzione, sia dopo come metodo di ricostruzione e pianificazione attraverso strategie specifiche che garantiscano alle città la capacità di resistere alle catastrofi o di reagire ad esse attraverso infrastrutture flessibili e adattabili ai mutamenti delle città. In queste occasioni l'architettura è chiamata a rispondere a un arduo compito, quello di salvaguardare l'identità della città dandole al tempo stesso una nuova impronta, cosi ché sia capace di rispondere meglio a possibili reiterazioni dell'evento dannoso. Partendo dalle posizioni di David Godschalk abbiamo provato a definire una città resiliente come quella resistente e flessibile nella quale le diverse reti comunitarie sono in grado di sopravvivere anche in condizioni estreme. Successivamente, sulla base degli studi di Vale e Campanella, abbiamo tentato di mettere in luce il modo in cui le città moderne affrontano la ricostruzione con il fine di limitare i danni sia in termini materiali che in termini di perdite umane. In questi termini abbiamo tentato di sottolineare come i termini di ricostruzione e resilienza spesso si sovrappongano e coincidano quando si tratta di reagire a seguito di una catastrofe. Abbiamo ritenuto opportuno inserire un breve riferimento alla politica che spesso ha una grossa influenza sul recupero della città ma più che preoccuparsi di ciò di cui i sopravvissuti hanno realmente bisogno, punta, con i suoi piani di ricostruzione, a contribuire a un vago e discutibile concetto di prestigio nazionale. Successivamente abbiamo preso in esame le teorie di Mehaffy e Salingaros che si preoccupano di capire come sia possibile rendere le città meno vulnerabili pur rendendosi conto che non è possibile progettare solo ed esclusivamente in funzione di un'ipotetica catastrofe. Partendo da un'analisi dei sistemi della biologia, i due autori arrivano alla conclusione che, affinché un sistema sia resiliente, è necessario che i sistemi che lo compongono siano interconnessi e diversificati così da poter sopperire a un eventuale danneggiamento di uno di essi. Purtroppo molte città presentano una struttura rigida e non elastica, caratteristiche non certo resilienti. Pertanto la progettazione, filtrata attraverso la resilienza, deve mirare a creare strutture flessibili e ridondanti che tengano conto dei bisogni umani fondamentali come l'acqua potabile, i servizi igienico-sanitari e l'energia. In conclusione dalle analisi degli studiosi emerge come per pianificare una strategia di costruzione/ricostruzione resiliente sia necessario attenersi a sei ambiti di intervento: pianificazione territoriale; previsione, riduzione e gestione della vulnerabilità; pianificazione urbanistica; ciclo idrico; verde urbano multifunzionale. I sistemi che interagiscono in modo complesso in questa operazione sono molteplici e tra questi vi sono il sistema delle infrastrutture, dei percorsi, del verde, degli edifici che dovranno dare una risposta immediata per riattivare il funzionamento della città. Gli ultimi due paragrafi del secondo capitolo si concentrano sull'esplicazione di due casi di città resilienti molo diversi tra loro: Amburgo e New York, due esempi di città resilienti molto diversi tra loro. Nel primo caso la città di Amburgo è stata progettata per adattarsi in maniera indolore alle mareggiate che continuamente la affliggono; a New York invece la strategia resiliente è stata adottata in seguito alla catastrofe generata dall'uragano Sandy al fine di colmare alcune lacune e risanare delle vulnerabilità che la Grande Mela ha mostrato di avere in occasione della catastrofe. Entrambi i casi però hanno dimostrato che se la resilienza fa da filtro, sia nel caso della progettazione che in quello della ricostruzione, è possibile curare quelle carenze che sono alle origini dei maggiori danni materiali e delle perdite umane. Inoltre a seguito di catastrofi una struttura resiliente si è dimostrata in grado di velocizzare la ripresa del sistema di equilibrio scosso dai fattori di sconvolgimento. La candidata nella terza parte ha scelto di prendere come esempio da analizzare il caso di New Orleans poiché la causa del disastro non è stata legata solo alla potenza dell'uragano ma anche a una serie di errori connessi alla cattiva pianificazione urbana e alla gestione dell'emergenza. Questi fattori hanno portato a una ricostruzione guidata da strategie che hanno migliorato l'assetto della città preparandola a nuove eventuali inondazioni. Per procedere alla ricostruzione e al miglioramento delle problematiche di New Orleans legate alla vicinanza al delta del Mississippi e conseguentemente all'erosione costiera, oltre ai metodi mediatici e pubblicitari come gli eventi organizzati dall'associazione Make It Right, la città si è basata sulle strategie resilienti sotto la guida dello studio Waggonner & Ball Architects. Gli studi hanno portato a elaborare un Piano Urbano Acqua (The Greater New Orleans Water Plan) che prevede, in una visione a lungo termine, la gestione delle acque urbane per tutta la durata del XXI secolo. Il piano affronta anche il problema delle acque sotterranee e piovane considerate come fattori critici da tenere presente per poter plasmare una città sicura, vivibile e bella. Le strategie resilienti previste sono sia di tipo “naturale”, nel senso della creazione di giardini, sia di tipo “meccanico” e prevedono l'edificazione di canali intervallati con grandi stagni. Questo piano delle acque si è rivelato efficace perché non riguarda solo la città ma si estende a tutta la regione in cui si trova New Orleans. Il compito di ricostruzione è stato affidato sia al sistema universitario sia alle fondazioni no profit alle quali è stata assegnata la missione di creare una città quanto più possibile resiliente. Le soluzioni architettoniche ed urbane realizzate in questa città sono state tali da poter diventare, come è stato per New York colpita dall'uragano Sandy nel 2012, un modello di pianificazione per gli interventi in altre città a rischio o già colpite da catastrofi similari. L'obiettivo finale, dopo l'analisi effettuata su New Orleans, è stato quello di indicare i possibili processi e interventi da applicare alle città a rischio di catastrofi naturali per aumentarne la resilienza. Ciò che accomuna le città colpite dalle catastrofi è il fatto che devono ripartire da zero per rigenerare il loro sistema urbanistico. Alla luce dei nostri studi siamo giunti alla conclusione che, a parità di condizioni, possono essere operati interventi comuni. Città come New York e New Orleans, in seguito a delle catastrofi, per la ricostruzione hanno preso spunto da altre città che avevano già attuato strategie resilienti. Tuttavia, fatto salvo un orientamento generico comune, è necessario calibrare ogni pianificazione strategica sul singolo caso e garantire l'applicazione completa del progetto affinché una città a rischio possa veramente guadagnare qualcosa in termini di resilienza. In caso contrario i risultati potrebbero essere molto deludenti, quando non devastanti, proprio come nel caso del Lower Ninth Ward ricostruito su iniziativa del MIR a New Orleans, dove ciò che è mancato, per essere considerato un esempio di resilienza urbana, è stata l'assenza di connessioni tra la scala urbana e quella architettonica. La metodologia applicata per lo sviluppo della tesi è stata quella di un’attenta ricerca bibliografica di testi ed articoli sui temi delle catastrofi e della resilienza. Attraverso due interviste, a figure come Richard Campanella, famoso geografo di New Orleans e Nikos S. Silangaros, matematico urbanista e teorico di architettura, è stato possibile approfondire interessanti tematiche con nuove interconnessioni. Il sopralluogo nella città di New Orleans ha permesso di verificare, su campo, lo stato attuale della città, vivere le difficoltà di alcune realtà e ammirare l’approccio didattico della facoltà ospitante. La ricerca per la tesi ha dato l’opportunità di sviluppare nuove visioni e metodi sulle possibili applicazioni di strategie per i luoghi più vulnerabili. Si ritiene che la tematica della resilienza urbana sia ancora in fase di sviluppo e non abbia ancora trovato molti regimi di applicazione. In molti casi vi è bisogno di grandi investimenti per l’attuazione di alcune strategie. L’architettura ha come sempre un ruolo fondamentale nella qualità di vita degli abitanti di una città, specialmente se queste hanno vissuto un trauma come una catastrofe, per cui l’applicazione strategica della resilienza nella progettazione può essere una giusta via da seguire per raggiungere un giusto equilibrio.
11-dic-2014
File allegati a questo prodotto
File Dimensione Formato  
Micalella_New Orleans_2014.pdf

accesso aperto

Note: Tesi finale del dottorato in Architettura Teoria e Progetto-
Tipologia: Tesi di dottorato
Licenza: Creative commons
Dimensione 12.76 MB
Formato Adobe PDF
12.76 MB Adobe PDF

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/918288
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact