Questo lavoro di ricerca - una tesi di dottorato in co-tutela tra la « Sapienza » Università di Roma e l’Université de Paris I « Panthéon- Sorbonne » - è nato con l’obiettivo di far luce sulla vita e l’opera dell’architetto Giovanni Niccolò Servandoni, una tra le figure d’artista più emblamatiche e meno conosciute del XVIII secolo. Allo stesso tempo pittore, architetto e decoratore, il suo nome è rimasto famoso per il gran numero di scenografie realizzate per l’Opéra e per il progetto della facciata della chiesa parigina di Saint-Sulpice. Durante il corso della sua vita, Servandoni ebbe l’opportunità di viaggiare in tutta Europa, dove lavorò presso le più importanti Corti dell’epoca, da Parigi a Londra, da Lisbona a Bruxelles, Vienna, Dresda e Stoccarda. Una delle problematiche maggiori che il lavoro di ricerca ha manifestato, è stata la verifica della correttezza delle notizie riportate dalle fonti a stampa, sia antiche che moderne. Le biografie esistenti dell’architetto riportavano infatti una serie di notizie inesatte o completamente infondate, che si erano « incrostate » nei secoli sulla sua figura. Si è resa quindi necessaria un’operazione di « pulizia » delle fonti che ha permesso di risalire ad alcune notizie certe e verificabili nei documenti d’archivio, che sono state la base su cui ricostruire la biografia dell’architetto. Il lavoro di ricerca si è posto l’obiettivo di indagare in particolar modo gli aspetti meno noti della vita di Servandoni, come il periodo della sua formazione a Firenze e a Roma, i suoi anni di soggiorno in Inghilterra prima del suo arrivo a Parigi nel 1724, i viaggi in Europa e le commissioni di architettura oltre al cantiere di Saint-Sulpice, sia in Francia che all’estero. La ricerca d’archivio ha condotto a scoperte innovative, come la sua presenza a Roma tra il 1719 e il 1720, all’interno del palazzo del principe Vaini - uomo « éntièrement attaché à la France » e legato all’ambiente dei teatri Capranica e d’Alibert - che ha permesso di formulare alcune ipotesi sulla vita di Servandoni e i suoi contatti nella città pontificia. E ancora, lo studio ha messo in luce il forte rapporto che egli ebbe con l’ambiente culturale inglese durante il corso di tutta la sua vita - già a partire dal soggiorno romano - tanto da poter rileggere la sua opera architettonica in una chiave nuova, più legata alla corrente palladiana che all'architettura romana o francese di quegli anni. L’interpretazione dei documenti ha portato inoltre all'individuazione di due tematiche fondamentali che, spiegano allo stesso tempo la riuscita e la crisi della carriera di Servandoni : il problema della sua nazionalità e quello della legittimazione del suo ruolo di architetto. Servandoni infatti, italiano di nascita - ma con un padre di origine francese - fin dall’arrivo in Francia fu sempre apprezzato in quanto decoratore e pittore fiorentino. La sua qualità di « ultramontain », lo portò a essere scelto dal curato Languet de Gergy come architetto della fabbrica di Saint-Sulpice, che doveva rappresentare il potere della chiesa romana a Parigi, contro i « Novatori » giansenisti. Fuori dal cantiere sulpiciano, tuttavia, Servandoni faticò ad affermarsi come architetto. Egli non apparteneva infatti all’Académie Royale d’Architecture, un ambiente strettamente filo-francese in cui gli stranieri non erano, in questi anni, accolti facilmente. Inoltre la facciata di Saint-Sulpice risultava di un gusto estraneo a quella ricerca di un’architettura « à la française », che rappresentava l’obiettivo primo dell’istituzione accademica. Le influenze che Servandoni subì durante i suoi viaggi, soprattutto durante il periodo della sua formazione, gli hanno pemesso di formulare uno stile architettonico personale, differente dai progetti dei suoi contemporanei francesi. La sua formazione da architetto, infine, a Firenze e poi a Roma - dove la pratica del disegno e l’elaborazione del progetto avvenivano all'interno degli studi - si era svolta in modo completamente opposto al rigido percorso accademico parigino. Gli anni di lavoro a Londra inoltre lo avevano messo in contatto con figure di progettisti estremamente eterogenee, come Christopher Wren, che era astronomo, o John Vanbrugh, drammuturgo, prima di essere architetti. Grazie a questo lavoro, l’opera di Servandoni - interpretata fino ad oggi come un’anticipazione del « goût à la grecque » e della rinascita del classicismo alla fine del Settecento - viene riletta come il frutto della sua formazione in Italia e in Inghilterra. Essa è debitrice, infatti, di quel classicismo che caratterizzava l’architettura fiorentina dell’epoca, nonché del contatto stretto di Servandoni con la cerchia dei palladiani inglesi e con le opere di Wren, Vanbrugh e Hawksmoor che esercitarono su di lui una grande influenza.
Giovanni Niccolò Servandoni (1695-1766) architetto / Guidoboni, Francesco. - (2014 Jul 07).
Giovanni Niccolò Servandoni (1695-1766) architetto
GUIDOBONI, FRANCESCO
07/07/2014
Abstract
Questo lavoro di ricerca - una tesi di dottorato in co-tutela tra la « Sapienza » Università di Roma e l’Université de Paris I « Panthéon- Sorbonne » - è nato con l’obiettivo di far luce sulla vita e l’opera dell’architetto Giovanni Niccolò Servandoni, una tra le figure d’artista più emblamatiche e meno conosciute del XVIII secolo. Allo stesso tempo pittore, architetto e decoratore, il suo nome è rimasto famoso per il gran numero di scenografie realizzate per l’Opéra e per il progetto della facciata della chiesa parigina di Saint-Sulpice. Durante il corso della sua vita, Servandoni ebbe l’opportunità di viaggiare in tutta Europa, dove lavorò presso le più importanti Corti dell’epoca, da Parigi a Londra, da Lisbona a Bruxelles, Vienna, Dresda e Stoccarda. Una delle problematiche maggiori che il lavoro di ricerca ha manifestato, è stata la verifica della correttezza delle notizie riportate dalle fonti a stampa, sia antiche che moderne. Le biografie esistenti dell’architetto riportavano infatti una serie di notizie inesatte o completamente infondate, che si erano « incrostate » nei secoli sulla sua figura. Si è resa quindi necessaria un’operazione di « pulizia » delle fonti che ha permesso di risalire ad alcune notizie certe e verificabili nei documenti d’archivio, che sono state la base su cui ricostruire la biografia dell’architetto. Il lavoro di ricerca si è posto l’obiettivo di indagare in particolar modo gli aspetti meno noti della vita di Servandoni, come il periodo della sua formazione a Firenze e a Roma, i suoi anni di soggiorno in Inghilterra prima del suo arrivo a Parigi nel 1724, i viaggi in Europa e le commissioni di architettura oltre al cantiere di Saint-Sulpice, sia in Francia che all’estero. La ricerca d’archivio ha condotto a scoperte innovative, come la sua presenza a Roma tra il 1719 e il 1720, all’interno del palazzo del principe Vaini - uomo « éntièrement attaché à la France » e legato all’ambiente dei teatri Capranica e d’Alibert - che ha permesso di formulare alcune ipotesi sulla vita di Servandoni e i suoi contatti nella città pontificia. E ancora, lo studio ha messo in luce il forte rapporto che egli ebbe con l’ambiente culturale inglese durante il corso di tutta la sua vita - già a partire dal soggiorno romano - tanto da poter rileggere la sua opera architettonica in una chiave nuova, più legata alla corrente palladiana che all'architettura romana o francese di quegli anni. L’interpretazione dei documenti ha portato inoltre all'individuazione di due tematiche fondamentali che, spiegano allo stesso tempo la riuscita e la crisi della carriera di Servandoni : il problema della sua nazionalità e quello della legittimazione del suo ruolo di architetto. Servandoni infatti, italiano di nascita - ma con un padre di origine francese - fin dall’arrivo in Francia fu sempre apprezzato in quanto decoratore e pittore fiorentino. La sua qualità di « ultramontain », lo portò a essere scelto dal curato Languet de Gergy come architetto della fabbrica di Saint-Sulpice, che doveva rappresentare il potere della chiesa romana a Parigi, contro i « Novatori » giansenisti. Fuori dal cantiere sulpiciano, tuttavia, Servandoni faticò ad affermarsi come architetto. Egli non apparteneva infatti all’Académie Royale d’Architecture, un ambiente strettamente filo-francese in cui gli stranieri non erano, in questi anni, accolti facilmente. Inoltre la facciata di Saint-Sulpice risultava di un gusto estraneo a quella ricerca di un’architettura « à la française », che rappresentava l’obiettivo primo dell’istituzione accademica. Le influenze che Servandoni subì durante i suoi viaggi, soprattutto durante il periodo della sua formazione, gli hanno pemesso di formulare uno stile architettonico personale, differente dai progetti dei suoi contemporanei francesi. La sua formazione da architetto, infine, a Firenze e poi a Roma - dove la pratica del disegno e l’elaborazione del progetto avvenivano all'interno degli studi - si era svolta in modo completamente opposto al rigido percorso accademico parigino. Gli anni di lavoro a Londra inoltre lo avevano messo in contatto con figure di progettisti estremamente eterogenee, come Christopher Wren, che era astronomo, o John Vanbrugh, drammuturgo, prima di essere architetti. Grazie a questo lavoro, l’opera di Servandoni - interpretata fino ad oggi come un’anticipazione del « goût à la grecque » e della rinascita del classicismo alla fine del Settecento - viene riletta come il frutto della sua formazione in Italia e in Inghilterra. Essa è debitrice, infatti, di quel classicismo che caratterizzava l’architettura fiorentina dell’epoca, nonché del contatto stretto di Servandoni con la cerchia dei palladiani inglesi e con le opere di Wren, Vanbrugh e Hawksmoor che esercitarono su di lui una grande influenza.File | Dimensione | Formato | |
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Note: Tesi di dottorato volume I e II
Tipologia:
Tesi di dottorato
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