L’attuale enfasi biomedica per la diagnosi precoce del deterioramento cognitivo, che ha il suo perno concettuale nell’etichetta diagnostica di Mild Cognitive Impairment, caratterizza un approccio biomedico alla malattia di Alzheimer focalizzato sull’individuazione dei suoi stadi preclinici nella prospettiva di anticipare gli interventi farmacologici, dai blandi effetti sulla condizione conclamata, per procrastinare l’avvento della patologia. La nascita di categorie prodromiche per la malattia di Alzheimer si inserisce in una più lunga storia di mutamenti concettuali intervenuti a riqualificare il declino cognitivo che si verifica in età avanzata, in cui concezioni preesistenti di “senilità”, “demenza” e “normalità nel processo di invecchiamento” sono state oggetto di corrispondenti dinamiche di rimodulazione. La ricostruzione della genesi storico-culturale della nozione di “malattia di Alzheimer”, in dialogo con le riflessioni precedenti sulla demenza senile e sul suo carattere fisiologico o patologico offre la possibilità di ripensare le categorie biomediche mettendo in luce la stretta interrelazione che la produzione del sapere medico-scientifico e la strutturazione delle realtà mediche intrattengono con i contesti socioculturali, storico-politici ed economici, e con fattori ideologici e culturali capaci di influenzare l’esperienza delle persone e produrre nuovi modi di pensare l’anziano e l’anzianità. L’emersione della nozione di Mild Cognitive Impairment prefigura ulteriori scenari di mutamento concettuale in cui sono ancora materia di disputa visioni e concezioni della “normalità” del processo biologico di invecchiamento e del declino cognitivo che può accompagnarlo, ma esprime pure le insidie dell’apertura di nuovi spazi di biomedicalizzazione della salute e di problematizzazione del normale che i filtri interpretativi ed esplicativi dell’antropologia medica debbono esplorare. La ricognizione storico-culturale è quindi messa in comunicazione con la descrizione etnografica delle pratiche biomediche di approfondimento diagnostico del disturbo mnesico osservate presso il Centro Disturbi della Memoria, Clinica Neurologica, Unità Valutativa Alzheimer, Ospedale Santa Maria della Misericordia (Perugia), ambulatorio dedicato alla diagnosi precoce del deterioramento cognitivo. Lo studio ha messo in luce, fra l’altro, come condizionamenti socioculturali e convincimenti individuali sull’invecchiamento “normale” possano trasparire nella prassi clinica agendo sui, ed emergendo dai, processi di negoziazione delle diagnosi: per esempio, la permanenza di visioni “normalizzanti” o “naturalizzanti” del calo di memoria che si verifica in età avanzata sembra stridere coi messaggi della biomedicina relativamente alla necessità di diagnosi precoci del deterioramento cognitivo. Se l’adesione a questi dettami può anche agire nella direzione di sopravvalutazione di disturbi mnesici di nessun rilievo clinico (con conseguente allungamento delle liste d’attesa ed aumento della spesa per esami strumentali superflui o non necessari), la percezione di “normalità” del disturbo mnesico può invece indurre la sottovalutazione di un problema per il quale sarebbe opportuno richiedere aiuto medico. L’approccio al “calo di memoria” in età avanzata viene quindi restituito ad una più ampia visuale storicamente informata sui meccanismi politico-scientifici di produzione, legittimazione, consolidamento e mutamento delle categorie biomediche.

Dalla malattia di Alzheimer al Mild Cognitive Impairment: il declino cognitivo fra etnoantropologia, storia e pratiche biomediche(2012).

Dalla malattia di Alzheimer al Mild Cognitive Impairment: il declino cognitivo fra etnoantropologia, storia e pratiche biomediche

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01/01/2012

Abstract

L’attuale enfasi biomedica per la diagnosi precoce del deterioramento cognitivo, che ha il suo perno concettuale nell’etichetta diagnostica di Mild Cognitive Impairment, caratterizza un approccio biomedico alla malattia di Alzheimer focalizzato sull’individuazione dei suoi stadi preclinici nella prospettiva di anticipare gli interventi farmacologici, dai blandi effetti sulla condizione conclamata, per procrastinare l’avvento della patologia. La nascita di categorie prodromiche per la malattia di Alzheimer si inserisce in una più lunga storia di mutamenti concettuali intervenuti a riqualificare il declino cognitivo che si verifica in età avanzata, in cui concezioni preesistenti di “senilità”, “demenza” e “normalità nel processo di invecchiamento” sono state oggetto di corrispondenti dinamiche di rimodulazione. La ricostruzione della genesi storico-culturale della nozione di “malattia di Alzheimer”, in dialogo con le riflessioni precedenti sulla demenza senile e sul suo carattere fisiologico o patologico offre la possibilità di ripensare le categorie biomediche mettendo in luce la stretta interrelazione che la produzione del sapere medico-scientifico e la strutturazione delle realtà mediche intrattengono con i contesti socioculturali, storico-politici ed economici, e con fattori ideologici e culturali capaci di influenzare l’esperienza delle persone e produrre nuovi modi di pensare l’anziano e l’anzianità. L’emersione della nozione di Mild Cognitive Impairment prefigura ulteriori scenari di mutamento concettuale in cui sono ancora materia di disputa visioni e concezioni della “normalità” del processo biologico di invecchiamento e del declino cognitivo che può accompagnarlo, ma esprime pure le insidie dell’apertura di nuovi spazi di biomedicalizzazione della salute e di problematizzazione del normale che i filtri interpretativi ed esplicativi dell’antropologia medica debbono esplorare. La ricognizione storico-culturale è quindi messa in comunicazione con la descrizione etnografica delle pratiche biomediche di approfondimento diagnostico del disturbo mnesico osservate presso il Centro Disturbi della Memoria, Clinica Neurologica, Unità Valutativa Alzheimer, Ospedale Santa Maria della Misericordia (Perugia), ambulatorio dedicato alla diagnosi precoce del deterioramento cognitivo. Lo studio ha messo in luce, fra l’altro, come condizionamenti socioculturali e convincimenti individuali sull’invecchiamento “normale” possano trasparire nella prassi clinica agendo sui, ed emergendo dai, processi di negoziazione delle diagnosi: per esempio, la permanenza di visioni “normalizzanti” o “naturalizzanti” del calo di memoria che si verifica in età avanzata sembra stridere coi messaggi della biomedicina relativamente alla necessità di diagnosi precoci del deterioramento cognitivo. Se l’adesione a questi dettami può anche agire nella direzione di sopravvalutazione di disturbi mnesici di nessun rilievo clinico (con conseguente allungamento delle liste d’attesa ed aumento della spesa per esami strumentali superflui o non necessari), la percezione di “normalità” del disturbo mnesico può invece indurre la sottovalutazione di un problema per il quale sarebbe opportuno richiedere aiuto medico. L’approccio al “calo di memoria” in età avanzata viene quindi restituito ad una più ampia visuale storicamente informata sui meccanismi politico-scientifici di produzione, legittimazione, consolidamento e mutamento delle categorie biomediche.
2012
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/918077
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