Il tema della gestione del servizio idrico nel nostro Paese è stato al centro di un’aspra querelle sin dall’inizio del secolo scorso, quando la legge n. 103/1903 “pose un freno alla tendenza in atto da parte dei Comuni italiani a concedere gli acquedotti, nonché l'esercizio dei relativi servizi ad imprenditori privati” poiché le casse comunali non permettevano quegli ingenti investimenti che l’erogazione dei servizi pubblici richiedeva soprattutto nei nascenti grandi centri urbani. Un tema delicato in un momento di caotica transizione da un modello di gestione all’altro . La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi in materia di gestione del servizio idrico ha affermato che la disciplina di applicazione in caso di vittoria del si ai due referendum ammessi sarebbe dovuta essere individuata nel diritto comunitario vigente. A seguito dell’esito referendario uno scenario plausibile è anche quello di un progressivo ritorno alla gestione diretta del servizio idrico, dal momento che la normativa consente agli enti locali di decidere se produrre in proprio i servizi pubblici essenziali, come l’acqua, o se ricorrere, viceversa, al mercato . Lo Stato regolatore è chiamato ad intervenire in maniera più stringente che nel recente passato dalla volontà popolare . L’affidamento della gestione del servizio idrico integrato è divenuto il nucleo problematico attorno al quale da almeno oltre due decenni si scontrano i sostenitori della liberalizzazione e coloro i quali, viceversa, invocano un ritorno interventista nel mercato ad opera dei pubblici poteri . Il legislatore ha manifestato, progressivamente, un evidente favor verso il modello privato di gestione del servizio idrico; soltanto la società per azioni, al contrario dell’istituzione pubblica, sarebbe stata in grado di garantire un servizio di rilevanza economica qual’è il servizio idrico. La liberalizzazione, secondo questa impostazione, razionalizzerebbe la gestione delle risorse che sembrano ridursi drasticamente anno dopo anno soprattutto a causa dell’inquinamento e degli altissimi livelli di consumo da parte dei paesi ricchi, evitando le consuete rovinose inefficienze della gestione pubblica. Quest’ultima viene additata dalle maggiori corporation mondiali come fonte di ogni inefficienza, pertanto l’unica soluzione sarebbe quella di affidare la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica tramite gara alle società per azioni . La scelta dei modelli di gestione di questo servizio fondamentale, andata di pari passo con la disciplina dei servizi pubblici locali, e, dunque, progressivamente orientata alle sole forme societarie, ha fatto emergere interrogativi su vari altri aspetti: proprietà dell’acqua e delle infrastrutture, la scarsità crescente del bene, la sua tutela effettiva,l’aumento continuo delle tariffe, i mancati investimenti, garantire la possibilità di accesso alla risorsa ai meno abbienti ed alle future generazioni. L’analisi della regolazione del servizio idrico integrato, pertanto, non può non prendere anche atto del sempre maggior reclamato, ma non ancora disciplinato e tantomeno costituzionalizzato “diritto” all’acqua; esso non sarebbe un “nuovo diritto in quanto emerso o non percepito come diritto fondamentale ” fino ad determinato momento storico, quello odierno. Parlare di gestione del servizio idrico significa, conseguentemente, affrontare anche la posizione di chi vede il pericolo di un diniego dell’accesso all’acqua da parte dell’azienda privata per chi non può permettersi di pagare la tariffa . Secondo il Movimento per l’Acqua Pubblica l’accesso a questa risorsa irrinunciabile dovrebbe essere garantita a tutti gli abitanti del pianeta e dovrebbe rappresentare un “diritto umano fondamentale ”. I sostenitori dell’acqua quale “bene comune” affermano che l’equa distribuzione di questa risorsa vitale non può essere affidata soltanto a logiche di mercato ; pertanto sono state proposte soluzioni normative finalizzate a riconsegnare ai pubblici poteri la gestione diretta del servizio, reintroducendo la possibilità di ricorrere all’in house providing e la definizione di servizio idrico come servizio privo di rilevanza economica negli statuti comunali. Questo lavoro si propone di andare oltre le posizioni ideologiche sia dei fautori della liberalizzazione che dei sostenitori della gestione pubblica . Contrapposizioni nel frangente pre referendario che di certo non hanno favorito una chiara comprensione dei quesiti proposti. “Prima di diventare un bene comune, l’acqua deve diventare buon senso comune” , rendere il più oggettivi possibili gli argomenti di discussione sulla regolazione del servizio idrico italiano , cercando di non cadere nelle contrapposte ed aprioristiche posizioni di parte, attraverso un comune filo conduttore: l’analisi del sistema di regolazione e delle sue oscillazioni nel corso di oltre un secolo.

Integrated water services: the Italian regulation between the market and return to public management(2013 Dec 05).

Integrated water services: the Italian regulation between the market and return to public management

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05/12/2013

Abstract

Il tema della gestione del servizio idrico nel nostro Paese è stato al centro di un’aspra querelle sin dall’inizio del secolo scorso, quando la legge n. 103/1903 “pose un freno alla tendenza in atto da parte dei Comuni italiani a concedere gli acquedotti, nonché l'esercizio dei relativi servizi ad imprenditori privati” poiché le casse comunali non permettevano quegli ingenti investimenti che l’erogazione dei servizi pubblici richiedeva soprattutto nei nascenti grandi centri urbani. Un tema delicato in un momento di caotica transizione da un modello di gestione all’altro . La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi in materia di gestione del servizio idrico ha affermato che la disciplina di applicazione in caso di vittoria del si ai due referendum ammessi sarebbe dovuta essere individuata nel diritto comunitario vigente. A seguito dell’esito referendario uno scenario plausibile è anche quello di un progressivo ritorno alla gestione diretta del servizio idrico, dal momento che la normativa consente agli enti locali di decidere se produrre in proprio i servizi pubblici essenziali, come l’acqua, o se ricorrere, viceversa, al mercato . Lo Stato regolatore è chiamato ad intervenire in maniera più stringente che nel recente passato dalla volontà popolare . L’affidamento della gestione del servizio idrico integrato è divenuto il nucleo problematico attorno al quale da almeno oltre due decenni si scontrano i sostenitori della liberalizzazione e coloro i quali, viceversa, invocano un ritorno interventista nel mercato ad opera dei pubblici poteri . Il legislatore ha manifestato, progressivamente, un evidente favor verso il modello privato di gestione del servizio idrico; soltanto la società per azioni, al contrario dell’istituzione pubblica, sarebbe stata in grado di garantire un servizio di rilevanza economica qual’è il servizio idrico. La liberalizzazione, secondo questa impostazione, razionalizzerebbe la gestione delle risorse che sembrano ridursi drasticamente anno dopo anno soprattutto a causa dell’inquinamento e degli altissimi livelli di consumo da parte dei paesi ricchi, evitando le consuete rovinose inefficienze della gestione pubblica. Quest’ultima viene additata dalle maggiori corporation mondiali come fonte di ogni inefficienza, pertanto l’unica soluzione sarebbe quella di affidare la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica tramite gara alle società per azioni . La scelta dei modelli di gestione di questo servizio fondamentale, andata di pari passo con la disciplina dei servizi pubblici locali, e, dunque, progressivamente orientata alle sole forme societarie, ha fatto emergere interrogativi su vari altri aspetti: proprietà dell’acqua e delle infrastrutture, la scarsità crescente del bene, la sua tutela effettiva,l’aumento continuo delle tariffe, i mancati investimenti, garantire la possibilità di accesso alla risorsa ai meno abbienti ed alle future generazioni. L’analisi della regolazione del servizio idrico integrato, pertanto, non può non prendere anche atto del sempre maggior reclamato, ma non ancora disciplinato e tantomeno costituzionalizzato “diritto” all’acqua; esso non sarebbe un “nuovo diritto in quanto emerso o non percepito come diritto fondamentale ” fino ad determinato momento storico, quello odierno. Parlare di gestione del servizio idrico significa, conseguentemente, affrontare anche la posizione di chi vede il pericolo di un diniego dell’accesso all’acqua da parte dell’azienda privata per chi non può permettersi di pagare la tariffa . Secondo il Movimento per l’Acqua Pubblica l’accesso a questa risorsa irrinunciabile dovrebbe essere garantita a tutti gli abitanti del pianeta e dovrebbe rappresentare un “diritto umano fondamentale ”. I sostenitori dell’acqua quale “bene comune” affermano che l’equa distribuzione di questa risorsa vitale non può essere affidata soltanto a logiche di mercato ; pertanto sono state proposte soluzioni normative finalizzate a riconsegnare ai pubblici poteri la gestione diretta del servizio, reintroducendo la possibilità di ricorrere all’in house providing e la definizione di servizio idrico come servizio privo di rilevanza economica negli statuti comunali. Questo lavoro si propone di andare oltre le posizioni ideologiche sia dei fautori della liberalizzazione che dei sostenitori della gestione pubblica . Contrapposizioni nel frangente pre referendario che di certo non hanno favorito una chiara comprensione dei quesiti proposti. “Prima di diventare un bene comune, l’acqua deve diventare buon senso comune” , rendere il più oggettivi possibili gli argomenti di discussione sulla regolazione del servizio idrico italiano , cercando di non cadere nelle contrapposte ed aprioristiche posizioni di parte, attraverso un comune filo conduttore: l’analisi del sistema di regolazione e delle sue oscillazioni nel corso di oltre un secolo.
5-dic-2013
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/917931
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