L’indagine si concentra sull’evoluzione di un settore industriale, quello petrolifero, strategico per il presente e per il futuro. L’individuazione dei principali schemi contrattuali esistenti, l’analisi della loro evoluzione e la descrizione del loro funzionamento hanno costituito gli strumenti per effettuare una disamina dei rapporti instauratisi nel corso degli ultimi decenni tra Stato ospite dell’investimento e compagnie petrolifere straniere investitrici. Tale sistema di rapporti è entrato in crisi agli inizi degli anni Sessanta, in coincidenza con l’accesso all’indipendenza di un numero sempre maggiore di Stati, che hanno invocato un Nuovo Ordine Economico volto alla profonda revisione dei rapporti tra Stati e investitori, motivato dall’esigenza dei Paesi in via di sviluppo di recuperare una sovranità che era stata limitata da numerosi istituti giuridici (concessione petrolifera) o da singole clausole (ad esempio quella sulla legge applicabile) accettate in un’epoca di soggezione economica ma poi rifiutate in nome di una recuperata sovranità. Questo processo ha trovato espressione in varie risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite degli anni Sessanta e Settanta, in particolare quella relativa alla Carta dei Diritti e Doveri Economici degli Stati, approvata nel dicembre 1974, con la quale è stata affermata la sovranità permanente di ogni Stato sulle proprie risorse naturali e il diritto di regolamentare gli investimenti stranieri secondo le proprie leggi, incluso il potere di nazionalizzare i beni stranieri. Questa revisione di principi non è avvenuta senza lacerazioni nei rapporti internazionali: ne sono testimonianza i vari processi di nazionalizzazione, intervenuti ad esempio in Iran nei primi anni Cinquanta e in Libia venti anni dopo, entrambi relativi all’industria petrolifera. Su un altro piano, da un punto di vista pratico fino a pochi decenni fa le decisioni arbitrali concernenti gli investimenti a lungo termine nel settore oil and gas e le ragioni dell’attrito tra compagnie petrolifere internazionali e Stati produttori erano state originate nella specie da un repentino aumento del prezzo del petrolio negli anni Settanta. Le decisioni arbitrali richiamate nella ricerca avevano lasciato sostanzialmente insoddisfatti gli investitori, soprattutto rispetto all’efficacia dei meccanismi di stabilizzazione presenti nei contratti dell’epoca, con l’effetto di spingerli a ricercare nuovi strumenti, contrattuali (clausole di stabilizzazione più moderne) e convenzionali (trattati bilaterali e multilaterali) in grado di meglio tutelare i loro investimenti. Nel corso degli ultimi decenni, da un lato il diritto internazionale si è evoluto nella direzione del sostegno all’esercizio dei poteri sovrani dello Stato sulle loro risorse naturali, sebbene con talune limitazioni quali in particolare la necessaria corresponsione di un indennizzo in favore dell’investitore; d’altro canto, il diritto internazionale si è mosso nella direzione del rafforzamento delle garanzie a beneficio dei diritti degli investitori, come testimonia la notevole espansione del diritto internazionale degli investimenti negli ultimi decenni. Nel corso degli anni, alle tipologie tradizionali di tutela discendente da contratto si sono affiancate la tutela discendente da trattato: questi aspetti hanno modificato irreversibilmente il quadro giuridico di riferimento per gli Stati nei loro rapporti con gli investitori stranieri. L’affidabilità delle nuove tipologie di tutela degli investitori è stata esaminata alla luce della cd. Millennium wave, espressione con la quale si indica l’ondata di azioni unilaterali varate negli ultimi anni dagli Stati a danno degli investitori stranieri, misure che trovano la loro ragion d’essere nell’aumento del prezzo del petrolio e nel cd. obsolescing bargain tra Stato e compagnia petrolifera internazionale. In merito all’efficacia delle tutele esaminate in particolare nell’area dei Paesi latinoamericani e dell’area ex Sovietica, l’indagine dimostra che la maggior parte delle controversie si sono risolte con una rinegoziazione sui termini contrattuali, mentre il ricorso ad arbitrato appare l’eccezione e non la regola. Purtuttavia, la possibilità prospettata dagli investitori di ricorso ad arbitrato sulla base di un trattato internazionale in materia di investimenti, e i primi passi per incardinare la controversia dinanzi al tribunale internazionale adito possono sortire l’effetto di accelerare la soluzione della controversia. Le rinegoziazioni forzate rappresentano una prassi diffusa e, in questo senso, la presenza di clausole di stabilizzazione nel contratto può notevolmente rafforzare la posizione contrattuale dell’investitore; tali clausole giocano un ruolo rilevante durante la fase della rinegoziazione piuttosto che durante la procedura arbitrale; gli accordi internazionali in materia di investimento bilaterali e multilaterali sono invece utili per ristabilire l’equilibrio tra Stato ospite e investitore, ponendo lo Stato produttore di fronte al rischio di isolamento nel contesto economico globale. In merito alle tendenze più recenti in quest’ambito, non si può tuttavia omettere di segnalare che alcuni Stati, al fine di porsi al riparo da possibili controversie con gli investitori, hanno cominciato a recedere dai trattati internazionali in materia di investimenti quali la Convenzione di Washington, istitutiva dell’ICSID. Tale prassi, se confermata nel medio e lungo termine, contribuirà a configurare, nel rapporto tra Stati produttori e investitori, uno scenario fluido di cui non è possibile oggigiorno prevedere la portata.

I contratti petroliferi internazionali: evoluzione, modelli e ricerca della stabilità / DI LELLA, Angelo. - (2013 Mar 15).

I contratti petroliferi internazionali: evoluzione, modelli e ricerca della stabilità

DI LELLA, ANGELO
15/03/2013

Abstract

L’indagine si concentra sull’evoluzione di un settore industriale, quello petrolifero, strategico per il presente e per il futuro. L’individuazione dei principali schemi contrattuali esistenti, l’analisi della loro evoluzione e la descrizione del loro funzionamento hanno costituito gli strumenti per effettuare una disamina dei rapporti instauratisi nel corso degli ultimi decenni tra Stato ospite dell’investimento e compagnie petrolifere straniere investitrici. Tale sistema di rapporti è entrato in crisi agli inizi degli anni Sessanta, in coincidenza con l’accesso all’indipendenza di un numero sempre maggiore di Stati, che hanno invocato un Nuovo Ordine Economico volto alla profonda revisione dei rapporti tra Stati e investitori, motivato dall’esigenza dei Paesi in via di sviluppo di recuperare una sovranità che era stata limitata da numerosi istituti giuridici (concessione petrolifera) o da singole clausole (ad esempio quella sulla legge applicabile) accettate in un’epoca di soggezione economica ma poi rifiutate in nome di una recuperata sovranità. Questo processo ha trovato espressione in varie risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite degli anni Sessanta e Settanta, in particolare quella relativa alla Carta dei Diritti e Doveri Economici degli Stati, approvata nel dicembre 1974, con la quale è stata affermata la sovranità permanente di ogni Stato sulle proprie risorse naturali e il diritto di regolamentare gli investimenti stranieri secondo le proprie leggi, incluso il potere di nazionalizzare i beni stranieri. Questa revisione di principi non è avvenuta senza lacerazioni nei rapporti internazionali: ne sono testimonianza i vari processi di nazionalizzazione, intervenuti ad esempio in Iran nei primi anni Cinquanta e in Libia venti anni dopo, entrambi relativi all’industria petrolifera. Su un altro piano, da un punto di vista pratico fino a pochi decenni fa le decisioni arbitrali concernenti gli investimenti a lungo termine nel settore oil and gas e le ragioni dell’attrito tra compagnie petrolifere internazionali e Stati produttori erano state originate nella specie da un repentino aumento del prezzo del petrolio negli anni Settanta. Le decisioni arbitrali richiamate nella ricerca avevano lasciato sostanzialmente insoddisfatti gli investitori, soprattutto rispetto all’efficacia dei meccanismi di stabilizzazione presenti nei contratti dell’epoca, con l’effetto di spingerli a ricercare nuovi strumenti, contrattuali (clausole di stabilizzazione più moderne) e convenzionali (trattati bilaterali e multilaterali) in grado di meglio tutelare i loro investimenti. Nel corso degli ultimi decenni, da un lato il diritto internazionale si è evoluto nella direzione del sostegno all’esercizio dei poteri sovrani dello Stato sulle loro risorse naturali, sebbene con talune limitazioni quali in particolare la necessaria corresponsione di un indennizzo in favore dell’investitore; d’altro canto, il diritto internazionale si è mosso nella direzione del rafforzamento delle garanzie a beneficio dei diritti degli investitori, come testimonia la notevole espansione del diritto internazionale degli investimenti negli ultimi decenni. Nel corso degli anni, alle tipologie tradizionali di tutela discendente da contratto si sono affiancate la tutela discendente da trattato: questi aspetti hanno modificato irreversibilmente il quadro giuridico di riferimento per gli Stati nei loro rapporti con gli investitori stranieri. L’affidabilità delle nuove tipologie di tutela degli investitori è stata esaminata alla luce della cd. Millennium wave, espressione con la quale si indica l’ondata di azioni unilaterali varate negli ultimi anni dagli Stati a danno degli investitori stranieri, misure che trovano la loro ragion d’essere nell’aumento del prezzo del petrolio e nel cd. obsolescing bargain tra Stato e compagnia petrolifera internazionale. In merito all’efficacia delle tutele esaminate in particolare nell’area dei Paesi latinoamericani e dell’area ex Sovietica, l’indagine dimostra che la maggior parte delle controversie si sono risolte con una rinegoziazione sui termini contrattuali, mentre il ricorso ad arbitrato appare l’eccezione e non la regola. Purtuttavia, la possibilità prospettata dagli investitori di ricorso ad arbitrato sulla base di un trattato internazionale in materia di investimenti, e i primi passi per incardinare la controversia dinanzi al tribunale internazionale adito possono sortire l’effetto di accelerare la soluzione della controversia. Le rinegoziazioni forzate rappresentano una prassi diffusa e, in questo senso, la presenza di clausole di stabilizzazione nel contratto può notevolmente rafforzare la posizione contrattuale dell’investitore; tali clausole giocano un ruolo rilevante durante la fase della rinegoziazione piuttosto che durante la procedura arbitrale; gli accordi internazionali in materia di investimento bilaterali e multilaterali sono invece utili per ristabilire l’equilibrio tra Stato ospite e investitore, ponendo lo Stato produttore di fronte al rischio di isolamento nel contesto economico globale. In merito alle tendenze più recenti in quest’ambito, non si può tuttavia omettere di segnalare che alcuni Stati, al fine di porsi al riparo da possibili controversie con gli investitori, hanno cominciato a recedere dai trattati internazionali in materia di investimenti quali la Convenzione di Washington, istitutiva dell’ICSID. Tale prassi, se confermata nel medio e lungo termine, contribuirà a configurare, nel rapporto tra Stati produttori e investitori, uno scenario fluido di cui non è possibile oggigiorno prevedere la portata.
15-mar-2013
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Note: Tesi di dottorato
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