La figura dell’abate di Saint-Pierre si è prestata sempre a diverse interpretazioni, c’è chi lo considera un esponente del secolo passato, chi invece lo inquadra come precursore dell’Illuminismo, chi lo descrive come conservatore e chi come un progressista molto in anticipo per i suoi tempi. La sua produzione spesso viene criticata perché complessa, abbondante ma confusionaria, di solito utopica, priva di continuità e di coerenza. Nel prendere in esame questo autore si è cercato di inserirlo nel proprio contesto storico e culturale proprio per non lasciarsi fuorviare, per quanto possibile, da altre letture precedenti. Vista l’ambivalenza della critica in merito alla sua opera, si è cercato di dare voce al suo pensiero, e lasciare che fossero i suoi stessi progetti a guidarci nell’esame delle sue proposte e delle sue idee. Così nel primo capitolo, dopo una ricostruzione, seppure schematica, del processo evolutivo europeo, si è cercato di descrivere il periodo storico e l’ambiente culturale in cui si forma Saint-Pierre; la diversa e più complessa situazione politica della Francia, oltre che di un’Europa segnata dal pluralismo degli Stati territoriali. Ne emerge il ritratto di un uomo inserito nel proprio tempo, nei dibattiti culturali della sua epoca, nell’ambiente sociale e della corte di Luigi XIV ormai in declino. Il pensiero dell’abate recepisce il principio razionale cartesiano diffuso nella sua epoca, ma già rinnovato dalle critiche ad una visione strettamente meccanicistica della natura umana, che pure venivano avanzate da più parti. A questo proposito le riflessioni di Nicole, Pascal, Malebranche, diventano fonte di ulteriore approfondimento sui temi delle passioni, dell’amor proprio, dell’interesse ben inteso o chiarificato. Queste considerazioni venivano poi arricchite dagli apporti del Giusnaturalismo e dell’Empirismo, correnti che sottolineavano ulteriormente i limiti della visione cartesiana, soprattutto in termini di corrispondenza pratica verso le scienze come morale e politica, che restavano ai margini del pensiero di Cartesio, e in merito all’esclusione del dato sensoriale ed emotivo pure appartenenti alla natura dell’uomo. Le nuove opportunità che si aprono all’orizzonte della vita umana trasformano l’escatologia cristiana di un futuro paradiso celeste in un raggiungibile benessere terreno che porta il mito dell’eden nella realtà quotidiana. Assieme a questi nuovi aspetti si inizia a rilevare anche un atteggiamento di insofferenza verso un principio di assolutezza; il concetto di autorità è quello che più risente di questa tendenza a contrastare un potere che relegava ormai da troppo tempo la pur presente esigenza di libertà. Nel pensiero di Saint-Pierre ritroviamo questi influssi, ma soprattutto si rileva come egli sia uno tra i primi a dare voce all’esigenza di un principio di autorità meno preponderante. Egli prende le distanze non solo dall’assoluto che aveva stabilito la tradizione, ma anche dalla morale edificata su di un’acritica consuetudine e su modelli decisamente sbagliati, da una politica fondata sul capriccio e sul potere assoluto, e da una fede basata sui dogmi. L’abate vi preferisce un atteggiamento relativo ma non scettico, tendenza, quest’ultima, che avrebbe portato all’estremo opposto, di fare del libero esame e del principio di razionalità un altro assoluto. Gli eventi storici, il declino della Monarchia francese, le oggettive difficoltà e le critiche che questa subiva in merito alla propria politica autoritaria e di conquista, si innestavano a quelle considerazioni e contribuivano ad alimentare il dibattito culturale, come anche il pensiero dell’abate. Egli quindi esprime un principio di razionalità che chiamerà universale e che intende prendere in considerazione sia la ragione, il dato logico ed intellettivo, che la passione, l’emotività, l’aspetto psicologico. Troviamo in Saint-Pierre un’idea della natura umana fondata sulla ricerca dell’equilibrio dei suoi vari aspetti, un’armonia a sua volta sostenuta dall’idea dell’utile e dal progresso intellettivo e spirituale. L’uomo che pensa Saint-Pierre è un individuo che può migliorare e progredire, inserito nella società che egli stesso ha contribuito a creare, diviene anche fonte di miglioramento per gli altri. L’abate accoglie la visione giusnaturalistica che pone alla base della società un patto sociale, ma l’arricchisce sempre dell’aspetto emotivo e psicologico. In lui la ragione lavora sinergicamente con le passioni che non sono condannate a priori, ma che assumono anche un ruolo fondamentale proprio nel progresso umano. Di conseguenza il pensiero di Saint-Pierre condivide l’aspetto della ragione pratica ma è prevalentemente proteso alla pratica della ragione. La sua riflessione non vuole restare speculativa, anzi non lo è affatto, piuttosto intende divenire realtà, concretizzarsi, raggiungere i traguardi che la razionalità suggerisce. Una volta assimilati i nuovi princìpi e compresa l’importanza di una rinnovata razionalità si deve passare all’azione, e perciò predilige le scienze morali e politiche, per la garanzia che solo queste possono fornire di giungere allo scopo primario della scienza politica: il benessere degli individui membri della società che regola. Le sue riflessioni lo conducono verso una prospettiva universale, che assumendo la natura umana nella sua complessità, lo rende consapevole dell’esigenza di una riforma di tutto il sistema. La sua riforma però si indirizza principalmente all’individuo, è per il suo progresso e il suo benessere che l’abate si impegna in una serie di progettazioni che prendono in considerazione ogni aspetto della vita umana e ogni istituzione. Avendo come fine il benessere individuale e sociale e come regola l’utilità, la scienza politica che propone l’abate è un’idea di potere fondata sulle leggi, norme condivise dai membri della comunità e che lo tutelano proprio per condurlo a quella nuova forma di felicità, quel nuovo eden, che nella sua riflessione trova espressione concreta proprio nel suo vasto piano di riforme. Egli pur mostrandosi piuttosto critico nei confronti dell’istituto monarchico assoluto ne concepisce non di meno la possibilità di una riforma, in questo senso condivide le idee di molti suoi contemporanei, ma se ne differenzia decisamente per le proposte indicate come soluzioni. In realtà la progettazione dell’abate, proprio assumendo una prospettiva universale, è orientata ben oltre i confini della Francia, infatti moltissimi suoi progetti sono indirizzati più generalmente all’Europa. In Saint-Pierre vediamo prender forma un sistema di riforme destinato agli Stati europei, e ad ogni tipo di istituzione che deve uniformarsi ai nuovi princìpi ma soprattutto deve mirare al benessere individuale e sociale. Nel secondo capitolo si approfondisce il concetto di idea d’Europa e si prendono in esame i progetti di pace di Saint-Pierre. La considerazione dell’evoluzione dell’idea europea nella storia, anche se in modo necessariamente sommario, ci permette di comprendere quali differenze e quali progressi l’idea dell’abate assume rispetto al passato. L’esame della sua progettazione di pacificazione europea evidenzia ulteriormente un sistema completo di riforme ognuna collegata all’altra, che getta una nuova luce sulla sua produzione. Il suo progetto risulta essere la parte più importante di un intero piano riformatore, per ammissione dello stesso abate, ma già dagli argomenti trattati si capisce il collegamento con altre sue progettazioni più specifiche. Nella sua proposta, originale e piuttosto nuova, si riscontra un diverso concetto di potenza basato sull’autorità delle leggi, una differente idea di conquista, non più territoriale ma economica, culturale e sociale, una diversa idea di Stato che si sostanzia con la proposta di una nuova istituzione internazionale. Concetti come Monarchia universale, politica di equilibrio, conquista territoriale vengono denunciati come non corrispondenti al progresso del principio della ragione e dell’individuo. I temi della guerra e della pace trovano una diversa espressione, un differente sviluppo in ambito non solo più umanitario, ma anche economico, giuridico e politico. Per l’abate il suo Projet de Paix è la logica conseguenza del principio razionale, della ragione universale, della codificazione legislativa dipendente da quel patto sociale, che ha messo in essere la società, e che va estesa anche nell’ambito internazionale. Ma soprattutto diviene definitivamente chiaro come l’abate consideri la sua progettazione un unico piano di riforma che ha come scopo la realizzazione concreta del benessere individuale e sociale in Europa. Per raggiungerlo egli cerca di eliminare i conflitti tra Stati estendendo il potere della legge e del patto societario a quei rapporti internazionali, e di fatto istituendo una nuova comunità e una diversa istituzione. Il terzo capitolo prende in esame la valutazione complessiva che si è data alla produzione di Saint-Pierre nel tempo, e l’eredità che la sua vasta progettazione ci ha lasciato. Nel giudizio della sua epoca si è voluto mettere in risalto come spesso coloro che muovevano delle critiche verso il pensiero dell’abate, in realtà ne venivano indirettamente o direttamente influenzati. Ma soprattutto si rileva la continuità delle idee di Saint-Pierre, o forse sarebbe meglio dire del suo sogno riformatore, anche se prende decisamente strade diverse da quella da lui sperata. Per evidenziare come spesso le critiche dipendano da una visione parziale del pensiero e dell’opera dell’abate, si è dato nuovamente spazio a quei concetti più controversi che segnano proprio la sua riflessione. Così ritroviamo espressi, anche in modo più dettagliato i suoi concetti di status quo, che in realtà sottintende una diversa dinamicità e un ben altro sviluppo, di potere e di forma dello Stato, che non sono esattamente espressione di un pensiero conservatore ed assoluto, del concetto d’indipendenza e di molti altri. Poi si è cercato in qualche modo di contestualizzare l’apporto che il pensiero di Saint-Pierre può significare oggi. In questo si è voluto vedere un legame forse ambizioso con la riflessione del filosofo contemporaneo Jurgen Habermas. In particolar modo nel suo richiamo alla necessità di un ritorno alle utopie, e nella sua proposta di guardare all’Unione Europa come ad una prospettiva diversa, nuova e non più legata necessariamente ai concetti e alle teorizzazioni dello Stato nazionale. Ma l’eredità più importante che ci lascia l’abate è la sua visione equilibrata della natura umana e la sua prospettiva universale, che gli permettono di sviluppare una fiducia nell’uomo, nella società, nella politica, nel futuro che certo viene confusa con l’utopia, ma che in realtà alimenta un atteggiamento positivo, propositivo e dinamico. Del tutto diverso da ciò che invece viviamo oggi. La nostra società, ben lontana dal rappresentare quell’età d’oro che l’abate era sicuro avrebbero raggiunto i suoi posteri, è l’esempio della sfiducia, del disincanto, della passività rinunciataria senza speranza alcuna. Mancano le proposte nuove, le riflessioni ambiziose, gli slanci rischiosi, anche, ma riformatori. L’abate era un moderno, un uomo di ragione ma anche un uomo di fede, aspetti che per lui non si contraddicevano ma che anzi trovavano forza e sostegno l’uno nell’altro. La sua fiducia si ricollega a quella che dovrebbe avere il fedele cristiano, che è descritta da San Paolo e che resta la migliore definizione di fede, qualunque essa sia. In sostanza ci dice che la fede è un’aspettazione sicura di cose sperate, l’evidente dimostrazione di realtà benché non vedute. L’abate poteva avere quella fede perché in lui trovavano armonia le diverse componenti umane, perché non negava nessuna di quelle caratteristiche, e ad ognuna dava lo spazio per affermarsi e svilupparsi, perché la ragione non era l’unico principio assoluto cui riferirsi, ma si armonizzava con l’emotività e la spiritualità. Forse noi oggi dovremmo recuperare quella dimensione armonica, quell’idea equilibrata della natura umana, forse potremmo considerare i princìpi in modo relativo, mentre potremmo assumere una prospettiva universale che ci elevi dalla solita considerazione del particolare, del soggettivo, del personale. Forse così potremmo ritrovare quelle cariche utopiche che Habermas lamenta come mancanti, ed allora potremmo vedere nell’idea d’Europa non più solamente un’istituzione internazionale, che sovrasta le nostre vite invece di svilupparle nel benessere e nel progresso, come gli stessi trattati europei affermano, per ultimo quello di Lisbona, ma come un sogno comune che vale la pena di realizzare.

L'abate di Saint-Pierre: l'idea d'Europa per un nuovo sistema di governo / Imperi, Marina. - (2013 Dec 06).

L'abate di Saint-Pierre: l'idea d'Europa per un nuovo sistema di governo

IMPERI, MARINA
06/12/2013

Abstract

La figura dell’abate di Saint-Pierre si è prestata sempre a diverse interpretazioni, c’è chi lo considera un esponente del secolo passato, chi invece lo inquadra come precursore dell’Illuminismo, chi lo descrive come conservatore e chi come un progressista molto in anticipo per i suoi tempi. La sua produzione spesso viene criticata perché complessa, abbondante ma confusionaria, di solito utopica, priva di continuità e di coerenza. Nel prendere in esame questo autore si è cercato di inserirlo nel proprio contesto storico e culturale proprio per non lasciarsi fuorviare, per quanto possibile, da altre letture precedenti. Vista l’ambivalenza della critica in merito alla sua opera, si è cercato di dare voce al suo pensiero, e lasciare che fossero i suoi stessi progetti a guidarci nell’esame delle sue proposte e delle sue idee. Così nel primo capitolo, dopo una ricostruzione, seppure schematica, del processo evolutivo europeo, si è cercato di descrivere il periodo storico e l’ambiente culturale in cui si forma Saint-Pierre; la diversa e più complessa situazione politica della Francia, oltre che di un’Europa segnata dal pluralismo degli Stati territoriali. Ne emerge il ritratto di un uomo inserito nel proprio tempo, nei dibattiti culturali della sua epoca, nell’ambiente sociale e della corte di Luigi XIV ormai in declino. Il pensiero dell’abate recepisce il principio razionale cartesiano diffuso nella sua epoca, ma già rinnovato dalle critiche ad una visione strettamente meccanicistica della natura umana, che pure venivano avanzate da più parti. A questo proposito le riflessioni di Nicole, Pascal, Malebranche, diventano fonte di ulteriore approfondimento sui temi delle passioni, dell’amor proprio, dell’interesse ben inteso o chiarificato. Queste considerazioni venivano poi arricchite dagli apporti del Giusnaturalismo e dell’Empirismo, correnti che sottolineavano ulteriormente i limiti della visione cartesiana, soprattutto in termini di corrispondenza pratica verso le scienze come morale e politica, che restavano ai margini del pensiero di Cartesio, e in merito all’esclusione del dato sensoriale ed emotivo pure appartenenti alla natura dell’uomo. Le nuove opportunità che si aprono all’orizzonte della vita umana trasformano l’escatologia cristiana di un futuro paradiso celeste in un raggiungibile benessere terreno che porta il mito dell’eden nella realtà quotidiana. Assieme a questi nuovi aspetti si inizia a rilevare anche un atteggiamento di insofferenza verso un principio di assolutezza; il concetto di autorità è quello che più risente di questa tendenza a contrastare un potere che relegava ormai da troppo tempo la pur presente esigenza di libertà. Nel pensiero di Saint-Pierre ritroviamo questi influssi, ma soprattutto si rileva come egli sia uno tra i primi a dare voce all’esigenza di un principio di autorità meno preponderante. Egli prende le distanze non solo dall’assoluto che aveva stabilito la tradizione, ma anche dalla morale edificata su di un’acritica consuetudine e su modelli decisamente sbagliati, da una politica fondata sul capriccio e sul potere assoluto, e da una fede basata sui dogmi. L’abate vi preferisce un atteggiamento relativo ma non scettico, tendenza, quest’ultima, che avrebbe portato all’estremo opposto, di fare del libero esame e del principio di razionalità un altro assoluto. Gli eventi storici, il declino della Monarchia francese, le oggettive difficoltà e le critiche che questa subiva in merito alla propria politica autoritaria e di conquista, si innestavano a quelle considerazioni e contribuivano ad alimentare il dibattito culturale, come anche il pensiero dell’abate. Egli quindi esprime un principio di razionalità che chiamerà universale e che intende prendere in considerazione sia la ragione, il dato logico ed intellettivo, che la passione, l’emotività, l’aspetto psicologico. Troviamo in Saint-Pierre un’idea della natura umana fondata sulla ricerca dell’equilibrio dei suoi vari aspetti, un’armonia a sua volta sostenuta dall’idea dell’utile e dal progresso intellettivo e spirituale. L’uomo che pensa Saint-Pierre è un individuo che può migliorare e progredire, inserito nella società che egli stesso ha contribuito a creare, diviene anche fonte di miglioramento per gli altri. L’abate accoglie la visione giusnaturalistica che pone alla base della società un patto sociale, ma l’arricchisce sempre dell’aspetto emotivo e psicologico. In lui la ragione lavora sinergicamente con le passioni che non sono condannate a priori, ma che assumono anche un ruolo fondamentale proprio nel progresso umano. Di conseguenza il pensiero di Saint-Pierre condivide l’aspetto della ragione pratica ma è prevalentemente proteso alla pratica della ragione. La sua riflessione non vuole restare speculativa, anzi non lo è affatto, piuttosto intende divenire realtà, concretizzarsi, raggiungere i traguardi che la razionalità suggerisce. Una volta assimilati i nuovi princìpi e compresa l’importanza di una rinnovata razionalità si deve passare all’azione, e perciò predilige le scienze morali e politiche, per la garanzia che solo queste possono fornire di giungere allo scopo primario della scienza politica: il benessere degli individui membri della società che regola. Le sue riflessioni lo conducono verso una prospettiva universale, che assumendo la natura umana nella sua complessità, lo rende consapevole dell’esigenza di una riforma di tutto il sistema. La sua riforma però si indirizza principalmente all’individuo, è per il suo progresso e il suo benessere che l’abate si impegna in una serie di progettazioni che prendono in considerazione ogni aspetto della vita umana e ogni istituzione. Avendo come fine il benessere individuale e sociale e come regola l’utilità, la scienza politica che propone l’abate è un’idea di potere fondata sulle leggi, norme condivise dai membri della comunità e che lo tutelano proprio per condurlo a quella nuova forma di felicità, quel nuovo eden, che nella sua riflessione trova espressione concreta proprio nel suo vasto piano di riforme. Egli pur mostrandosi piuttosto critico nei confronti dell’istituto monarchico assoluto ne concepisce non di meno la possibilità di una riforma, in questo senso condivide le idee di molti suoi contemporanei, ma se ne differenzia decisamente per le proposte indicate come soluzioni. In realtà la progettazione dell’abate, proprio assumendo una prospettiva universale, è orientata ben oltre i confini della Francia, infatti moltissimi suoi progetti sono indirizzati più generalmente all’Europa. In Saint-Pierre vediamo prender forma un sistema di riforme destinato agli Stati europei, e ad ogni tipo di istituzione che deve uniformarsi ai nuovi princìpi ma soprattutto deve mirare al benessere individuale e sociale. Nel secondo capitolo si approfondisce il concetto di idea d’Europa e si prendono in esame i progetti di pace di Saint-Pierre. La considerazione dell’evoluzione dell’idea europea nella storia, anche se in modo necessariamente sommario, ci permette di comprendere quali differenze e quali progressi l’idea dell’abate assume rispetto al passato. L’esame della sua progettazione di pacificazione europea evidenzia ulteriormente un sistema completo di riforme ognuna collegata all’altra, che getta una nuova luce sulla sua produzione. Il suo progetto risulta essere la parte più importante di un intero piano riformatore, per ammissione dello stesso abate, ma già dagli argomenti trattati si capisce il collegamento con altre sue progettazioni più specifiche. Nella sua proposta, originale e piuttosto nuova, si riscontra un diverso concetto di potenza basato sull’autorità delle leggi, una differente idea di conquista, non più territoriale ma economica, culturale e sociale, una diversa idea di Stato che si sostanzia con la proposta di una nuova istituzione internazionale. Concetti come Monarchia universale, politica di equilibrio, conquista territoriale vengono denunciati come non corrispondenti al progresso del principio della ragione e dell’individuo. I temi della guerra e della pace trovano una diversa espressione, un differente sviluppo in ambito non solo più umanitario, ma anche economico, giuridico e politico. Per l’abate il suo Projet de Paix è la logica conseguenza del principio razionale, della ragione universale, della codificazione legislativa dipendente da quel patto sociale, che ha messo in essere la società, e che va estesa anche nell’ambito internazionale. Ma soprattutto diviene definitivamente chiaro come l’abate consideri la sua progettazione un unico piano di riforma che ha come scopo la realizzazione concreta del benessere individuale e sociale in Europa. Per raggiungerlo egli cerca di eliminare i conflitti tra Stati estendendo il potere della legge e del patto societario a quei rapporti internazionali, e di fatto istituendo una nuova comunità e una diversa istituzione. Il terzo capitolo prende in esame la valutazione complessiva che si è data alla produzione di Saint-Pierre nel tempo, e l’eredità che la sua vasta progettazione ci ha lasciato. Nel giudizio della sua epoca si è voluto mettere in risalto come spesso coloro che muovevano delle critiche verso il pensiero dell’abate, in realtà ne venivano indirettamente o direttamente influenzati. Ma soprattutto si rileva la continuità delle idee di Saint-Pierre, o forse sarebbe meglio dire del suo sogno riformatore, anche se prende decisamente strade diverse da quella da lui sperata. Per evidenziare come spesso le critiche dipendano da una visione parziale del pensiero e dell’opera dell’abate, si è dato nuovamente spazio a quei concetti più controversi che segnano proprio la sua riflessione. Così ritroviamo espressi, anche in modo più dettagliato i suoi concetti di status quo, che in realtà sottintende una diversa dinamicità e un ben altro sviluppo, di potere e di forma dello Stato, che non sono esattamente espressione di un pensiero conservatore ed assoluto, del concetto d’indipendenza e di molti altri. Poi si è cercato in qualche modo di contestualizzare l’apporto che il pensiero di Saint-Pierre può significare oggi. In questo si è voluto vedere un legame forse ambizioso con la riflessione del filosofo contemporaneo Jurgen Habermas. In particolar modo nel suo richiamo alla necessità di un ritorno alle utopie, e nella sua proposta di guardare all’Unione Europa come ad una prospettiva diversa, nuova e non più legata necessariamente ai concetti e alle teorizzazioni dello Stato nazionale. Ma l’eredità più importante che ci lascia l’abate è la sua visione equilibrata della natura umana e la sua prospettiva universale, che gli permettono di sviluppare una fiducia nell’uomo, nella società, nella politica, nel futuro che certo viene confusa con l’utopia, ma che in realtà alimenta un atteggiamento positivo, propositivo e dinamico. Del tutto diverso da ciò che invece viviamo oggi. La nostra società, ben lontana dal rappresentare quell’età d’oro che l’abate era sicuro avrebbero raggiunto i suoi posteri, è l’esempio della sfiducia, del disincanto, della passività rinunciataria senza speranza alcuna. Mancano le proposte nuove, le riflessioni ambiziose, gli slanci rischiosi, anche, ma riformatori. L’abate era un moderno, un uomo di ragione ma anche un uomo di fede, aspetti che per lui non si contraddicevano ma che anzi trovavano forza e sostegno l’uno nell’altro. La sua fiducia si ricollega a quella che dovrebbe avere il fedele cristiano, che è descritta da San Paolo e che resta la migliore definizione di fede, qualunque essa sia. In sostanza ci dice che la fede è un’aspettazione sicura di cose sperate, l’evidente dimostrazione di realtà benché non vedute. L’abate poteva avere quella fede perché in lui trovavano armonia le diverse componenti umane, perché non negava nessuna di quelle caratteristiche, e ad ognuna dava lo spazio per affermarsi e svilupparsi, perché la ragione non era l’unico principio assoluto cui riferirsi, ma si armonizzava con l’emotività e la spiritualità. Forse noi oggi dovremmo recuperare quella dimensione armonica, quell’idea equilibrata della natura umana, forse potremmo considerare i princìpi in modo relativo, mentre potremmo assumere una prospettiva universale che ci elevi dalla solita considerazione del particolare, del soggettivo, del personale. Forse così potremmo ritrovare quelle cariche utopiche che Habermas lamenta come mancanti, ed allora potremmo vedere nell’idea d’Europa non più solamente un’istituzione internazionale, che sovrasta le nostre vite invece di svilupparle nel benessere e nel progresso, come gli stessi trattati europei affermano, per ultimo quello di Lisbona, ma come un sogno comune che vale la pena di realizzare.
6-dic-2013
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