Parlare di biblioteca/ mediateca nel XXI secolo, era del web 2.0, della banda larga e delle fibre ottiche, della rivoluzione dell’editoria (ancora in fieri) e della diffusione di e-book e testi print-on-demand, potrebbe apparire a molti un tema scontato e ridondante, una realtà percepita lontana dalla nostra quotidianità proprio perché associata all’immagine (tutta ottocentesca) di una biblioteca-spazio angusto e vetusto. Nella contemporaneità, l’introduzione delle informazioni su web e la smaterializzazione di molte di esse (e parimenti l’insorgere di quelle virtuali ed elettroniche) ha mutato profondamente la funzione di mediatore culturale sempre assolto dalla biblioteca dando adito a dibattiti e interrogativi sul futuro di questa istituzione. L’«aver confuso mezzi e finalità ha spesso condotto all’equivoco di considerare Internet, cioè un aggregazione caotica e incontrollata di documenti elettronici della massima eterogeneità, la realizzazione compiuta di una biblioteca elettronica [e] per il medesimo equivoco la natura immateriale dei documenti elettronici ha fatto pronosticare a più d’uno, la progressiva scomparsa delle biblioteche reali a beneficio delle così dette biblioteche virtuali». Sembra infatti un luogo comune allinearsi al verdetto catastrofista di Marshall Mcluhan che parla di fine del libro (e di conseguenza della biblioteca come luogo preposto alla sua conservazione) in termini di fine della Galassia Gutenberg, ovvero la fine della cultura legata alla parola scritta soppiantata da quella società dell’immagine e del villaggio globale, lì dove i processi percettivi e cognitivi vengono modificati dalle immagini televisive e dagli strumenti elettronici. Sebbene sul perdurare dell’istituzione viaggino a sfavore anche altri fattori (si pensi alla drastica diminuzione di fondi pubblici destinati alle biblioteche e il conseguente sviluppo di politiche di fund raising presso i privati, ai crescenti fenomeni di esternalizzazione e di outsourcing di servizi bibliotecari, all’avvento di manager e direttori esterni al mondo delle biblioteche e all’equiparazione, ormai invalsa, tra qualità e customer satisfaction; la tendenza verso una biblioteca polivalente), sia che si parli in termini biblioteconomici (la fine del libro) che in quelli urbano-architettonici (l’estinzione delle biblioteche), sussistono degli elementi che fanno pensare al permanere di questa istituzione millenaria. Risulta, infatti, difficile pensare che in poco tempo potrà essere digitalizzato tutto il patrimonio mondiale (anche per quel che attiene i diritti di copyright, come fa notare R. Darton), soprattutto se si tiene in considerazione la quantità di materiale cartaceo che viene ancora prodotto. Lo dimostrano anche le numerose biblioteche/mediateche realizzate negli ultimi quindici anni. Spazi sempre più ampi di molte riviste (anche italiane) sono dedicati alle nuove sedi, spesso affidate a firme di grandi architetti come Toyo Ito per la Mediateca di Sendai (2000), Moshe Safdie per la Vancouver Library Square (1995) o Snøhetta per la Bibliotheca Alessandrina (2002), e agli ampliamenti di collezioni (come per il Black Diamond di Copenhagen, progetto di ampliamento della Royal Danish Library di Schmidt Hammer Lassen o quello di King Rosselli Biblioteca Lateranense di Roma), alle loro innovazioni biblioteconomiche, ai loro successi in termini di pubblico, alla bellezza delle loro linee architettoniche, alla gradevolezza degli interni. Inoltre, da un punto di vista di più larga scala, le biblioteche nel XXI secolo sono spesso parte di progetti urbani (spesso risultato di una felice coincidenza/ convergenza tra politiche nazionali e locali, tra politiche sociali e urbane, tra scelte più propriamente culturali e bibliotecarie), di politiche di rigenerazione (come quelle finanziate e promosse dalla Comunità europea, come le iniziative Urban I e Urban I finanziate dalle politiche della Comunità Europea) e di quelle di riqualificazione urbana (come quelle inserite in contesti difficili, a volte degradati, come margini frammentati e discontinui, dove città compatta e città diffusa si integrano e si combattono, oppure in vuoti urbani e aree dismesse) e strumento per ridare vitalità agli spazi pubblici (una volta attrattivi e di interesse collettivo, super-luoghi e quelli dalla presenza poco significativa), riconquistando quella quota parte di cittadini indeboliti dall’incalzare dai ritmi di vita frenetici e individualistici, avidi di tutto e subito e inevitabilmente attratti dalle private city e dagli outlet village. In base a tali considerazioni preliminari, la ricerca sottopone a verifica quello che sembra essere la tendenza di molte realtà urbane contemporanee (e delle loro amministrazioni) di realizzare un terreno di scambio tra modelli e funzioni che, esulando dalle tipologie tradizionali, siano in grado di connettere studio, cultura e svago coagulati in una Nuova struttura edilizia, la Biblioteca Contemporanea. Già in passato nuovi modelli di biblioteche si sono adeguati alle necessità degli utenti e a quelle di contesto. Erano gli anni Settanta quando H.Heinz dirigeva la Biblioteca Civica di Munster e propose la riorganizzazione degli spazi della biblioteca in tre settori (livelli) valutati in base alla vicinanza dell’utente alle varie attività: Nahbereich, Mittelbereich e Fernbereich per indicare rispettivamente il settore di ingresso (zona vicina agli interessi dell’utente), il settore centrale a scaffale aperto (spazio di mezzo) e il settore deposito (settore lontano). È accaduto qualcosa anche in Francia, quando negli anni ’80, la mediatèque, struttura innovativa dal punto di vista del servizio, dell’offerta e dell’immagine comunicativa, ha risvegliato il sonnolento panorama bibliotecario francese; così pure in Spagna e in Inghilterra, dove, negli anni ’90, una serie di documenti- guida alla progettazione e finanziamenti di natura pubblica e privata hanno rivitalizzato gli standard di funzionamento ed efficienza delle biblioteche pubbliche nazionali. Attingendo dalle discipline specifiche dell’architettura, ma anche dalla biblioteconomia e dalla sociologia urbana, la dissertazione si pone l’obiettivo di analizzare il fenomeno da un punto di vista multidisciplinare: dall’analisi condotta emerge una biblioteca configurata come spazio alternativo dalle molte sfaccettature, infrastruttura di flussi e catalizzatore di scambi e interazioni, caratteristiche che mettono in evidenza la sua molteplice natura di spazio culturale, pubblico e, soprattutto, urbano. È spazio culturale in quanto, come in passato, riconoscibile nell’ideale di «struttura che raccoglie e conserva un insieme organizzato di libri, materiali e informazioni, al fine di promuovere la lettura e lo studio» (art.101 Codice dei Beni Culturali), di strumento di accesso all’informazione, di luogo di incontro tra cultura e utenza. Ambito di pertinenza maggiormente biblioteconomica, lo spazio culturale è architettura quando, negli anni Ottanta, con l’introduzione dell’audiovisivo vengono realizzate le prime Mediathéques francesi; è architettura negli spazi del conservare e consultare, quegli stessi spazi che, oltre a definire la tipologia di biblioteca (se di conservazione o di libero accesso), definiscono relazioni distributivo- funzionali e formali tra le parti che compongono l’intero. Biblioteca è anche spazio pubblico e spazio sociale ovvero veicolo di comunicazione socio-culturale, luogo di scambio e confronto, un’alternativa fisica alla necessità di spazi di relazioni, accessibili e visibili. È spazio in quanto luogo progettato per l’uomo, e pubblico nel richiamare «nell’immaginario collettivo qualcosa che riguarda indistintamente tutti, sollecita l’interesse generale evocando la naturalità dei diritti all’accesso, alla fruizione, il beneficio di luoghi, risorse e servizi». La biblioteca/ mediateca del XXI secolo è anche spazio sociale, e nel presentarsi come spazio neutrale(1), egualitario (2), in cui si può conversare (3), accessibile (4), modesto (5), piacevole, confortevole e ludico (6), oltre che infondere comfort psicologico e sicurezza (7), si qualifica come un possibile third place (come lo definirebbe Ray Oldenburg), uno spazio antropologico-esistenziale in grado di spezzare la routine del home- to-work- and- back- again dai connotati spaziali e sociali paragonabili a una piazza urbana, ma oggettivata dall’essere coperta. Risultato di linguaggi desunti o sviluppati dall’esperienza e spazio universale di conoscenza così come tramandato dalla storia, la biblioteca contemporanea si inserisce nel camaleontico e variegato contesto della città postmoderna come spazio urbano inteso come luogo in cui «l’esperienza umana si forma, si accumula e viene condivisa [luogo in cui] i desideri si sviluppano e prendono forma», come affermerebbe Zygmunt Bauman. Indagare le modificazioni indotte nel ruolo, nelle funzioni e nell’organizzazione territoriale e urbana (ovvero indagarne il ruolo di spazio urbano), significa necessariamente partire dalla città, rintracciando il rinnovato rapporto che la biblioteca instaura con essa. La città contemporanea non è più quella che da Louis Borges a Saul Bellow, da Baudelaire a Honoré de Balzac, prima nella letteratura poi nel cinema, è stata descritta, sognata, immaginata, non è più la mitologica città-labirinto di Ulisse alla Uruk di Gilgamesh, nè quella infernale di Teseo e Orfeo, né la narrata Coketown, nera e fuligginosa, gli slums in David Chipperfield né tantomeno quelle incontrate sulla via delle Indie da Marco Polo. All’interpretazione poetica e simbolica si contrappone, nella contemporaneità, un’esperienza urbana delle singole azioni quotidiane che come tessere generano un mosaico dalle immagini multiformi. È su questo stesso terreno che la biblioteca/ mediateca del XXI secolo si inserisce, imitando, fondendo, assimilando e variando, adeguandosi alle dinamiche socio-culturali e alle logiche urbane della città- patchwork. In questo gioco di corrispondenze, la biblioteca è, come la città di Kevin Lynch, «prodotto di innumerevoli operatori che per motivi specifici ne mutano costantemente la struttura». Definire la biblioteca/ mediateca del XXI secolo come spazio urbano vuol dire leggere la diversa e più complessa cartografia dei paesaggi urbani contemporanei, ovvero associare alla cityscape generata dai rapporti tra spazio, morfologia, modelli culturali e forme di potere economico e politico (di cui parla K. Lynch) agli elementi di un nuovo mindscape, fortemente inter-connesso ai meccanismi e alle dinamiche che coinvolgono le sfere sociali e quelle economiche. Ne consegue che alla realtà omogenea e razionalizzata dei mattoncini faccia a vista di C. Dickens così come alla silenziosa e labirintica biblioteca del monastero medioevale di Umberto Eco si sostituiscono una moltitudine di immagini pubbliche, sovrapposizioni di molte individuali (come le chiamerebbe K. Lynch) che si completano nel gioco degli opposti. Alla paura, ai terrain-vogues, alle bidonville sud-americane e agli slums senza fine di Dhaka, Il Cairo o Caracas si contrappone la città globale, in cui il cittadino metropolitano, alla ricerca di senso etico e collettivo, è compratore e (allo stesso tempo) venditore di sé stesso. La città è un insieme di spezzoni culturali con le quali il cittadino convive e si integra con il diverso. La città è senza confini, come le conurbazioni di Los Angeles, del Ranstad, della Rhür o quella di Pechino. «La guerra all’insicurezza, ai rischi, ai pericoli, è in corso dentro la città; dentro la città, i campi di battaglia sono nettamente delimitati e le prime linee sono segnate- scrive Z. Bauman- le trincee fortificate e i bunker destinati a separare e tenere lontani gli estranei, sbarrando loro l’accesso, stanno diventando rapidamente uno dei tratti più visibili delle città contemporanee»: è questa la città che contrappone agli insediamenti continui i recinti, enclaves territoriali e isole che delimitano gli spazi che come barriere sociali sfidano la paura per il diverso. Come la scena di un’opera di Giuseppe Verdi, la città del XXI secolo è tutta rivolta all’interno: è la città nicchia in cui ciascun Ulisse metropolitano può intraprendere un’esperienza personale che lo relega in una dimensione individualistica. È una città di flussi e di servizi, dove Crystal Palace digitali comunicano con simboli, scritte, insegne e loghi proponendo un’offerta plurima di servizi; è la città delle reti, invisibili connessioni che si diramano ad abbracciare l’estensione urbana. Nuove Disneyland esprimono culture e mode ponendosi come città dei sogni e della meraviglia; nuove Disneyfield, come quella di Larry Ford, riproducono ennesime versioni di città in stile Walt Disney: sono le città del consumo, memori dei grandi magazzini e dei paissage parigini. Dalla bellezza e lo splendore di San Pietroburgo, alla deludente Parigi di Jean Jacques Rousseau delle piccole e sporche case abitate da gente curiosa, alla città dei miti si affiancano le città dei signature building, dove l’edonismo è di moda. Alle quinte urbane e al ritmo dei portoni d’ingresso si sostituiscono luci e insegne della città degli eventi: come una Ville Lumière o nuove Las Vegas, le città si illuminano e si colorano, si riempiono di simboli, codici e linguaggi. Come in un rinascimento urbano, la città scena stupisce come fosse il palcoscenico di una Piazza di Spagna a Roma o di una Piazza Italia a New Orleans, mentre le città della simulazione, da mera citazione storica, come nei Maestri Cantori di Norimberga di W. R. Wagner, organizza festival che ricordano gli eventi parigini sulla Rive Gauche o del Village newyorkese, ricrea individui dalle immagini, o ne riproduce alcune famose, come il New York New York Hotel, che con strade- corridoi, statue della libertà e insegne di Times Square, riproduce le immagini del cinema. Come nella delirante e frenetica New York di Rem Koolhaas, la metropoli contemporanea è lo spirito della contraddizione nell'interminabile moto della trasformazione la cui temporalità non ha durata. A queste immagini urbane corrispondono altrettante immagini della biblioteca/ mediateca del XXI secolo: essa è locale nel suo essere spazio fisico, associato al nome di un quartiere, di una città o memoria nel portare il nome di uno scrittore o un poeta, ma è anche globale, attraverso i sistemi di scambio dati via internet. Tramanda le trazioni e ne è la culla (per questo si pensi ad esempio agli archivi o ancor meglio alle biblioteche nazionali), ma è allo stesso tempo multiculturale e aperta al diverso: iniziative intraprese a Bologna, Modena e Perugia rappresentano occasioni di incontro pluri-generazionale e multi-razziale e contribuiscono (nel loro piccolo) a veicolare la formazione e la divulgazione di conoscenze e di competenze ai cittadini di un mondo globalizzato, multiculturale e multirazziale. La biblioteca è spazio in cui ciascuno può avere una propria nicchia di studio, come per i pod di lettura della Pechkam Library di Londra (2000) o i 5 pods della Biblioteca di Seikei (2006)., spazi effimeri, colorati e stravaganti nell’estetica, ma anche luoghi di ritrovo e concentrazione. Biblioteca è anche enclave socio-culturale in cui l’accessibilità è un requisito dalle vedute ristrette. La biblioteca contemporanea ha dovuto necessariamente adeguarsi alla città di flussi e dei servizi: come una Biblio in Crystal Palace si completa affiancandosi ad un’ampia offerta di tipologie di essi (dai programmi e dalle attività culturali ai servizi di counseling per l’assistenza sanitaria, come gli One-Stop Shop (tipo URP londinesi), a quelli per il lavoro, come gli Healty Living & Employability), nonché alle Cattedrali del consumo, assorbendone il linguaggio, perseguendone la tipologia di offerta, imitandone l’immagine. Come per l’Idea Stores Whitechapel di Londra, strategicamente collocato a nord di Whitechapel Road, lì dove i teloni verdi e blu di nylon delle bancarelle del grande e affollato mercato di strada dell’Albion-Yari, lì dove gravitano una fermata della metropolitana (Whitechapel Station), numerose fermate di autobus, servizi vari -come una vecchia fabbrica di birra, l'ufficio centrale della posta, il complesso ospedaliero del Royal London Hospital e un supermercato- alcune di esse si inseriscono urbanisticamente in nodi strategici, altre si mimetizzano in centri commerciali (come l’Idea Stores Canary Wharf o per la Biblioteka Uniwersytetu Warszawskiego), altre ancora inseriscono nel proprio organigramma funzionale spazi per la vendita di novità editoriali. Alla città delle reti invisibili che connettono parti di città, conurbazioni lontane tra loro, città di diversi continenti, le Biblioteche delle reti intervengono nel tessuto urbano con strategie che definiscono sistemi di cooperazione territoriale di livello locale (come quella introdotta nel 1999 nell’antico sobborgo londinese di Tower Hamlets), urbano (come nel caso delle biblioteche berlinesi e di Barcellona), ma anche metropolitano (come nelle reti del Plaine Commune e del sistema bibliotecario milanese): connessioni di scambio di materiali e dati e prestito a distanza connettono tra loro le biblioteche della rete, legate da standard e da codici di condotta comune, riconoscibili da un logo e da un nome. Un particolare modo di tessere reti che coinvolgono l’intero spazio urbano sono i bibliobus, desunti dal linguaggio di un’architettura movibile e transitoria, sono in grado di raggiungere anche le parti urbane più periferiche. Alle Biblioteche dei miti come l’Alessandrina o la michelangiolesca opera vaticana, come la Exeter di Lous I. Kahn o quella della Facoltà di Storia di James Stirling tra quelle universitarie, si affiancano le signature biblioteche, spazi in cui l’innovazione tecnologica o i materiali o una facciata attraggono più di eventi, attività e promozioni editoriali. Come il Luna Park evasivo di Coney Island che sfida in un gioco fascinoso ed esuberante le impossibilità dettate dalla tradizione, sperimentando soluzioni al limite del ridicolo (si pensi a tal fine alla Bibliosphere per la University Duisburg- Essen), la biblioteca/ mediateca è l’insieme di figure che ri-semantizzano gli elementi tramandati dalla storia. L’instabilità e il mutamento delle immagini, specchio di una crisi, sono indice dell'affermazione di nuovi valori ad essa attribuiti, basati sul concetto del vario e del diverso. Caos informe e degenerativo nella logica cartesiana di Le Corbusier (che non riesce a coglierne una dimensione poetica), spirito (come quello presente in Delirious in New York) che vive di interpretazioni, di proiezioni inconsce e di molteplicità nel divenire, è la dimensione esistenziale della città quanto della biblioteca/ mediateca del XXI secolo, con tutte le sue valenze e contraddizioni. A differenza dei casi internazionali (da cui se ne differenzia per normativa e legislazione), collocandosi tra conservazione e innovazione, da un lato, e tra tradizione culturale nazionale e apertura verso l’esterno, dall’altro, l’Italia assume una posizione del tutto particolare. Sussistano sostanziali differenze in termini di tipologia di intervento (si predilige il recupero), dimensionali, localizzativi, gestionali e di finanziamenti: in Italia, infatti, sono pochi i casi di biblioteche costruite ex-novo mentre sono nettamente preponderanti le scelte di ristrutturazione di edifici storici. Se l’Italia ha delle specificità, come possono essere di ausilio le esperienze internazionali? L’uso dei casi studio consente di delineare una tipologia di analisi comparativa che contribuisce a definire dei modelli, utili riferimenti per sperimentare da trasporre ad un caso italiano (romano, nello specifico), punto di arrivo ma anche di partenza. Quale modello potrebbe meglio inserirsi nel difficile e particolare panorama bibliotecario italiano? Quale potrebbe costituire sperimentazione, innovazione, e ricerca nel contesto romano? La dissertazione risponde a questi quesiti definendo un sistema di relazioni (fisiche e immateriali) che propongono un modello (innovativo) programmatico che possa costituire una prospettiva di rilancio e di rafforzamento di questa istituzione nelle politiche di ridefinizione territoriale e urbana. Per fare questo, ci si è posti nella prospettiva che anche una biblioteca/ mediateca italiana (romana) può sopperire alle esigenze di studio, ricerca e lettura, ma può anche essere «luogo sociale di promozione di politiche e consumi culturali, puntando da un lato sull’implementazione dei servizi di informazione e di quelli tradizionali di supporto allo studio, alla conoscenza e alla formazione; dall’altro cercando di trovare spazio nel settore dell’intrattenimento culturale, del tempo libero e della formazione permanente». Per seguire il sentiero delle idee «occorre trovarlo e, dopo averlo separato dagli altri, imprimergli il sigillo di una sola idea contrassegnando le altre diramazioni con un’unica altra forma»: così introduce Platone Il Politico. Seguendo tale principio, è stato scelto un metodo di indagine diairetico che guida alla definizione dell’oggetto della ricerca attraverso una classificazione preliminare e selettiva di casi studio che accorpino realtà diverse in categorie dal cui confronto (per dimensioni, caratteristiche e obiettivi) emergono somiglianze e differenze. Considerata la vastità e la complessità del tema e la pluralità delle sue possibili declinazioni, si vuole evitare una trattazione generale giacché superficiale, optando, come scriveva (e prediligeva) Peter Burke, «per studi brevi su argomenti di grande respiro, che cercano di stabilire collegamenti tra luoghi, temi, periodi o individui diversi» per poter essere ricomposti in «piccoli frammenti [di] un grande quadro». Questa prospettiva, se da un lato auspica l’apertura di orizzonti e la crescita della ricerca scientifica, spingendola all’analisi e la scoperta di nuovi legami, punti di contatto e interpretazioni, dall’altro lato impone di circoscrivere l’ambito di ricerca ad un preciso contesto temporale e geografico. Se, infatti, è possibile individuare delle costanti, è il generale (il sistema di relazioni, di gestione e di strategia) che domina sui particolarismi locali, sulle singolarità specifiche urbane. Dopo aver raccolto informazioni su un cospicuo numero di casi studio, si è deciso di restringere il campo d’indagine solo ad alcuni di essi, concentrando la ricerca su realizzazioni recenti, a partire dagli anni ’90 ad oggi, ed evidenziando, all’occorrenza, rimandi a riferimenti culturali forniti dalle esperienze progettuali passate, scelte tra progetti dell’Europa continentale e del mondo anglo- americano, due realtà dagli ambiti geografici e dagli aspetti culturali avvicinabili e quindi confrontabili tra loro. L’analisi di tali casi (inseriti nei contesti urbani più diversificati, oggetto di progetti di riqualificazione e rigenerazione urbana), costituiscono le tessere di mosaici urbani che ramificano sull’intera estensione promozione territoriale. La trattazione, dal tema di grande interesse sia per architetti e urbanisti quanto bibliotecari e sociologi, se da un lato mostra la quantità e la qualità dei servizi offerti sia di carattere culturale che sociale, dall’altro fa emergere uno spazio che costituisce una possibile alternativa alla proliferazione dei centri di consumo di massa (shopping malls), un utile strumento di riqualificazione ed elemento decisivo nelle politiche di sviluppo della città diffusa e policentrica. Nel tempo, il termine biblion thèca (dal greco βιβλίον -biblíon- e θήκη -théke) ha assunto una pluralità di significati: in alcuni mosaici del V secolo a.C. come in Sant’Agostino (1480) di Botticelli o in San Gerolamo nello studio di Antonello da Messina (1474), il termine designa «una serie di libri che formavano una collana, uno scaffale, un armadiolo, una nicchia, [talvolta considerato] anche solo un ripiano o una mensola dove riposano i libri»; ha quindi assunto il significato di spazio finalizzato alla conservazione, alla lettura, alla consultazione, ovvero «ambiente specifico concepito per la custodia, l’ordinamento e la schedatura». La sfida che la biblioteca/mediateca del XXI secolo si pone è di non limitarsi ad essere un contenitore di libri concepito per la custodia, l’ordinamento e la schedatura come Gaio Svetonio Tranquillo lo ha tradotto letteralmente, in De viris illustribus. De bibliothecis, (di cui ne mantiene comunque il ruolo) ma elevarsi a spazio nuovo, centro propulsore delle molteplici e variegate dinamiche urbane, ovvero, in sintesi, come in un quadro di J. Lawrence, uno spazio pubblico che funziona da condensatore socio- culturale urbano. Il progetto cinematografico MACINE, il Festival del Cinema Chiuso e osservatorio di spazi culturali in dismissione (focus sul cinema) inaugurato a Roma nel 2011, sembra essere un ottimo terreno di partenza per implementare una strategia bibliotecaria. Roma è già fornita di un sistema di 26 biblioteche pubbliche, accanto alle quali, disseminate in ciascuna delle quattro aree in cui è idealmente divisa la città, si affiancano alcuni centri polifunzionali e biblioteche specializzate per un totale di undici (la Biblioteca Centrale per Ragazzi, Il BiblioCaffè letterario, la Biblioteca Europea e quella Romana "A. Sarti", la Casa dei Bimbi, quella dei Teatri, della Memoria e della Storia, delle Traduzioni e del Parco -Pineta Sacchetti- la Mediateca Centrale e il Teatro Biblioteca Quarticciolo) che si caratterizzano per la specificità delle raccolte e/o perché rivolte a particolari fasce d'utenza. All’interno di questa variegata e multiforme offerta, integrando la riqualificazione urbana con il recupero edilizio, si ipotizza l’inserimento di una biblioteca in uno tra i cinema chiusi, dismessi, autogestiti o a rischio chiusura in balia di proprietà e gestioni non sempre presenti di Roma, ovvero una Cine- Biblioteca. Consapevole che i modelli rappresentano proposte e auspici elaborati secondo una riflessione creativa e interpretativa del contesto attuale di riferimento, nonché consapevole dei rischi che si incorrono nel proporre modelli, la ricerca potrà comunque indurre ad una riflessione critica sulla biblioteca/mediateca italiana del XXI secolo suggerendo percorsi alternativi di ricerca.

Biblioteche e mediateche del XXI secolo / Fiorini, Elisa. - (2015 Dec 10).

Biblioteche e mediateche del XXI secolo

FIORINI, Elisa
10/12/2015

Abstract

Parlare di biblioteca/ mediateca nel XXI secolo, era del web 2.0, della banda larga e delle fibre ottiche, della rivoluzione dell’editoria (ancora in fieri) e della diffusione di e-book e testi print-on-demand, potrebbe apparire a molti un tema scontato e ridondante, una realtà percepita lontana dalla nostra quotidianità proprio perché associata all’immagine (tutta ottocentesca) di una biblioteca-spazio angusto e vetusto. Nella contemporaneità, l’introduzione delle informazioni su web e la smaterializzazione di molte di esse (e parimenti l’insorgere di quelle virtuali ed elettroniche) ha mutato profondamente la funzione di mediatore culturale sempre assolto dalla biblioteca dando adito a dibattiti e interrogativi sul futuro di questa istituzione. L’«aver confuso mezzi e finalità ha spesso condotto all’equivoco di considerare Internet, cioè un aggregazione caotica e incontrollata di documenti elettronici della massima eterogeneità, la realizzazione compiuta di una biblioteca elettronica [e] per il medesimo equivoco la natura immateriale dei documenti elettronici ha fatto pronosticare a più d’uno, la progressiva scomparsa delle biblioteche reali a beneficio delle così dette biblioteche virtuali». Sembra infatti un luogo comune allinearsi al verdetto catastrofista di Marshall Mcluhan che parla di fine del libro (e di conseguenza della biblioteca come luogo preposto alla sua conservazione) in termini di fine della Galassia Gutenberg, ovvero la fine della cultura legata alla parola scritta soppiantata da quella società dell’immagine e del villaggio globale, lì dove i processi percettivi e cognitivi vengono modificati dalle immagini televisive e dagli strumenti elettronici. Sebbene sul perdurare dell’istituzione viaggino a sfavore anche altri fattori (si pensi alla drastica diminuzione di fondi pubblici destinati alle biblioteche e il conseguente sviluppo di politiche di fund raising presso i privati, ai crescenti fenomeni di esternalizzazione e di outsourcing di servizi bibliotecari, all’avvento di manager e direttori esterni al mondo delle biblioteche e all’equiparazione, ormai invalsa, tra qualità e customer satisfaction; la tendenza verso una biblioteca polivalente), sia che si parli in termini biblioteconomici (la fine del libro) che in quelli urbano-architettonici (l’estinzione delle biblioteche), sussistono degli elementi che fanno pensare al permanere di questa istituzione millenaria. Risulta, infatti, difficile pensare che in poco tempo potrà essere digitalizzato tutto il patrimonio mondiale (anche per quel che attiene i diritti di copyright, come fa notare R. Darton), soprattutto se si tiene in considerazione la quantità di materiale cartaceo che viene ancora prodotto. Lo dimostrano anche le numerose biblioteche/mediateche realizzate negli ultimi quindici anni. Spazi sempre più ampi di molte riviste (anche italiane) sono dedicati alle nuove sedi, spesso affidate a firme di grandi architetti come Toyo Ito per la Mediateca di Sendai (2000), Moshe Safdie per la Vancouver Library Square (1995) o Snøhetta per la Bibliotheca Alessandrina (2002), e agli ampliamenti di collezioni (come per il Black Diamond di Copenhagen, progetto di ampliamento della Royal Danish Library di Schmidt Hammer Lassen o quello di King Rosselli Biblioteca Lateranense di Roma), alle loro innovazioni biblioteconomiche, ai loro successi in termini di pubblico, alla bellezza delle loro linee architettoniche, alla gradevolezza degli interni. Inoltre, da un punto di vista di più larga scala, le biblioteche nel XXI secolo sono spesso parte di progetti urbani (spesso risultato di una felice coincidenza/ convergenza tra politiche nazionali e locali, tra politiche sociali e urbane, tra scelte più propriamente culturali e bibliotecarie), di politiche di rigenerazione (come quelle finanziate e promosse dalla Comunità europea, come le iniziative Urban I e Urban I finanziate dalle politiche della Comunità Europea) e di quelle di riqualificazione urbana (come quelle inserite in contesti difficili, a volte degradati, come margini frammentati e discontinui, dove città compatta e città diffusa si integrano e si combattono, oppure in vuoti urbani e aree dismesse) e strumento per ridare vitalità agli spazi pubblici (una volta attrattivi e di interesse collettivo, super-luoghi e quelli dalla presenza poco significativa), riconquistando quella quota parte di cittadini indeboliti dall’incalzare dai ritmi di vita frenetici e individualistici, avidi di tutto e subito e inevitabilmente attratti dalle private city e dagli outlet village. In base a tali considerazioni preliminari, la ricerca sottopone a verifica quello che sembra essere la tendenza di molte realtà urbane contemporanee (e delle loro amministrazioni) di realizzare un terreno di scambio tra modelli e funzioni che, esulando dalle tipologie tradizionali, siano in grado di connettere studio, cultura e svago coagulati in una Nuova struttura edilizia, la Biblioteca Contemporanea. Già in passato nuovi modelli di biblioteche si sono adeguati alle necessità degli utenti e a quelle di contesto. Erano gli anni Settanta quando H.Heinz dirigeva la Biblioteca Civica di Munster e propose la riorganizzazione degli spazi della biblioteca in tre settori (livelli) valutati in base alla vicinanza dell’utente alle varie attività: Nahbereich, Mittelbereich e Fernbereich per indicare rispettivamente il settore di ingresso (zona vicina agli interessi dell’utente), il settore centrale a scaffale aperto (spazio di mezzo) e il settore deposito (settore lontano). È accaduto qualcosa anche in Francia, quando negli anni ’80, la mediatèque, struttura innovativa dal punto di vista del servizio, dell’offerta e dell’immagine comunicativa, ha risvegliato il sonnolento panorama bibliotecario francese; così pure in Spagna e in Inghilterra, dove, negli anni ’90, una serie di documenti- guida alla progettazione e finanziamenti di natura pubblica e privata hanno rivitalizzato gli standard di funzionamento ed efficienza delle biblioteche pubbliche nazionali. Attingendo dalle discipline specifiche dell’architettura, ma anche dalla biblioteconomia e dalla sociologia urbana, la dissertazione si pone l’obiettivo di analizzare il fenomeno da un punto di vista multidisciplinare: dall’analisi condotta emerge una biblioteca configurata come spazio alternativo dalle molte sfaccettature, infrastruttura di flussi e catalizzatore di scambi e interazioni, caratteristiche che mettono in evidenza la sua molteplice natura di spazio culturale, pubblico e, soprattutto, urbano. È spazio culturale in quanto, come in passato, riconoscibile nell’ideale di «struttura che raccoglie e conserva un insieme organizzato di libri, materiali e informazioni, al fine di promuovere la lettura e lo studio» (art.101 Codice dei Beni Culturali), di strumento di accesso all’informazione, di luogo di incontro tra cultura e utenza. Ambito di pertinenza maggiormente biblioteconomica, lo spazio culturale è architettura quando, negli anni Ottanta, con l’introduzione dell’audiovisivo vengono realizzate le prime Mediathéques francesi; è architettura negli spazi del conservare e consultare, quegli stessi spazi che, oltre a definire la tipologia di biblioteca (se di conservazione o di libero accesso), definiscono relazioni distributivo- funzionali e formali tra le parti che compongono l’intero. Biblioteca è anche spazio pubblico e spazio sociale ovvero veicolo di comunicazione socio-culturale, luogo di scambio e confronto, un’alternativa fisica alla necessità di spazi di relazioni, accessibili e visibili. È spazio in quanto luogo progettato per l’uomo, e pubblico nel richiamare «nell’immaginario collettivo qualcosa che riguarda indistintamente tutti, sollecita l’interesse generale evocando la naturalità dei diritti all’accesso, alla fruizione, il beneficio di luoghi, risorse e servizi». La biblioteca/ mediateca del XXI secolo è anche spazio sociale, e nel presentarsi come spazio neutrale(1), egualitario (2), in cui si può conversare (3), accessibile (4), modesto (5), piacevole, confortevole e ludico (6), oltre che infondere comfort psicologico e sicurezza (7), si qualifica come un possibile third place (come lo definirebbe Ray Oldenburg), uno spazio antropologico-esistenziale in grado di spezzare la routine del home- to-work- and- back- again dai connotati spaziali e sociali paragonabili a una piazza urbana, ma oggettivata dall’essere coperta. Risultato di linguaggi desunti o sviluppati dall’esperienza e spazio universale di conoscenza così come tramandato dalla storia, la biblioteca contemporanea si inserisce nel camaleontico e variegato contesto della città postmoderna come spazio urbano inteso come luogo in cui «l’esperienza umana si forma, si accumula e viene condivisa [luogo in cui] i desideri si sviluppano e prendono forma», come affermerebbe Zygmunt Bauman. Indagare le modificazioni indotte nel ruolo, nelle funzioni e nell’organizzazione territoriale e urbana (ovvero indagarne il ruolo di spazio urbano), significa necessariamente partire dalla città, rintracciando il rinnovato rapporto che la biblioteca instaura con essa. La città contemporanea non è più quella che da Louis Borges a Saul Bellow, da Baudelaire a Honoré de Balzac, prima nella letteratura poi nel cinema, è stata descritta, sognata, immaginata, non è più la mitologica città-labirinto di Ulisse alla Uruk di Gilgamesh, nè quella infernale di Teseo e Orfeo, né la narrata Coketown, nera e fuligginosa, gli slums in David Chipperfield né tantomeno quelle incontrate sulla via delle Indie da Marco Polo. All’interpretazione poetica e simbolica si contrappone, nella contemporaneità, un’esperienza urbana delle singole azioni quotidiane che come tessere generano un mosaico dalle immagini multiformi. È su questo stesso terreno che la biblioteca/ mediateca del XXI secolo si inserisce, imitando, fondendo, assimilando e variando, adeguandosi alle dinamiche socio-culturali e alle logiche urbane della città- patchwork. In questo gioco di corrispondenze, la biblioteca è, come la città di Kevin Lynch, «prodotto di innumerevoli operatori che per motivi specifici ne mutano costantemente la struttura». Definire la biblioteca/ mediateca del XXI secolo come spazio urbano vuol dire leggere la diversa e più complessa cartografia dei paesaggi urbani contemporanei, ovvero associare alla cityscape generata dai rapporti tra spazio, morfologia, modelli culturali e forme di potere economico e politico (di cui parla K. Lynch) agli elementi di un nuovo mindscape, fortemente inter-connesso ai meccanismi e alle dinamiche che coinvolgono le sfere sociali e quelle economiche. Ne consegue che alla realtà omogenea e razionalizzata dei mattoncini faccia a vista di C. Dickens così come alla silenziosa e labirintica biblioteca del monastero medioevale di Umberto Eco si sostituiscono una moltitudine di immagini pubbliche, sovrapposizioni di molte individuali (come le chiamerebbe K. Lynch) che si completano nel gioco degli opposti. Alla paura, ai terrain-vogues, alle bidonville sud-americane e agli slums senza fine di Dhaka, Il Cairo o Caracas si contrappone la città globale, in cui il cittadino metropolitano, alla ricerca di senso etico e collettivo, è compratore e (allo stesso tempo) venditore di sé stesso. La città è un insieme di spezzoni culturali con le quali il cittadino convive e si integra con il diverso. La città è senza confini, come le conurbazioni di Los Angeles, del Ranstad, della Rhür o quella di Pechino. «La guerra all’insicurezza, ai rischi, ai pericoli, è in corso dentro la città; dentro la città, i campi di battaglia sono nettamente delimitati e le prime linee sono segnate- scrive Z. Bauman- le trincee fortificate e i bunker destinati a separare e tenere lontani gli estranei, sbarrando loro l’accesso, stanno diventando rapidamente uno dei tratti più visibili delle città contemporanee»: è questa la città che contrappone agli insediamenti continui i recinti, enclaves territoriali e isole che delimitano gli spazi che come barriere sociali sfidano la paura per il diverso. Come la scena di un’opera di Giuseppe Verdi, la città del XXI secolo è tutta rivolta all’interno: è la città nicchia in cui ciascun Ulisse metropolitano può intraprendere un’esperienza personale che lo relega in una dimensione individualistica. È una città di flussi e di servizi, dove Crystal Palace digitali comunicano con simboli, scritte, insegne e loghi proponendo un’offerta plurima di servizi; è la città delle reti, invisibili connessioni che si diramano ad abbracciare l’estensione urbana. Nuove Disneyland esprimono culture e mode ponendosi come città dei sogni e della meraviglia; nuove Disneyfield, come quella di Larry Ford, riproducono ennesime versioni di città in stile Walt Disney: sono le città del consumo, memori dei grandi magazzini e dei paissage parigini. Dalla bellezza e lo splendore di San Pietroburgo, alla deludente Parigi di Jean Jacques Rousseau delle piccole e sporche case abitate da gente curiosa, alla città dei miti si affiancano le città dei signature building, dove l’edonismo è di moda. Alle quinte urbane e al ritmo dei portoni d’ingresso si sostituiscono luci e insegne della città degli eventi: come una Ville Lumière o nuove Las Vegas, le città si illuminano e si colorano, si riempiono di simboli, codici e linguaggi. Come in un rinascimento urbano, la città scena stupisce come fosse il palcoscenico di una Piazza di Spagna a Roma o di una Piazza Italia a New Orleans, mentre le città della simulazione, da mera citazione storica, come nei Maestri Cantori di Norimberga di W. R. Wagner, organizza festival che ricordano gli eventi parigini sulla Rive Gauche o del Village newyorkese, ricrea individui dalle immagini, o ne riproduce alcune famose, come il New York New York Hotel, che con strade- corridoi, statue della libertà e insegne di Times Square, riproduce le immagini del cinema. Come nella delirante e frenetica New York di Rem Koolhaas, la metropoli contemporanea è lo spirito della contraddizione nell'interminabile moto della trasformazione la cui temporalità non ha durata. A queste immagini urbane corrispondono altrettante immagini della biblioteca/ mediateca del XXI secolo: essa è locale nel suo essere spazio fisico, associato al nome di un quartiere, di una città o memoria nel portare il nome di uno scrittore o un poeta, ma è anche globale, attraverso i sistemi di scambio dati via internet. Tramanda le trazioni e ne è la culla (per questo si pensi ad esempio agli archivi o ancor meglio alle biblioteche nazionali), ma è allo stesso tempo multiculturale e aperta al diverso: iniziative intraprese a Bologna, Modena e Perugia rappresentano occasioni di incontro pluri-generazionale e multi-razziale e contribuiscono (nel loro piccolo) a veicolare la formazione e la divulgazione di conoscenze e di competenze ai cittadini di un mondo globalizzato, multiculturale e multirazziale. La biblioteca è spazio in cui ciascuno può avere una propria nicchia di studio, come per i pod di lettura della Pechkam Library di Londra (2000) o i 5 pods della Biblioteca di Seikei (2006)., spazi effimeri, colorati e stravaganti nell’estetica, ma anche luoghi di ritrovo e concentrazione. Biblioteca è anche enclave socio-culturale in cui l’accessibilità è un requisito dalle vedute ristrette. La biblioteca contemporanea ha dovuto necessariamente adeguarsi alla città di flussi e dei servizi: come una Biblio in Crystal Palace si completa affiancandosi ad un’ampia offerta di tipologie di essi (dai programmi e dalle attività culturali ai servizi di counseling per l’assistenza sanitaria, come gli One-Stop Shop (tipo URP londinesi), a quelli per il lavoro, come gli Healty Living & Employability), nonché alle Cattedrali del consumo, assorbendone il linguaggio, perseguendone la tipologia di offerta, imitandone l’immagine. Come per l’Idea Stores Whitechapel di Londra, strategicamente collocato a nord di Whitechapel Road, lì dove i teloni verdi e blu di nylon delle bancarelle del grande e affollato mercato di strada dell’Albion-Yari, lì dove gravitano una fermata della metropolitana (Whitechapel Station), numerose fermate di autobus, servizi vari -come una vecchia fabbrica di birra, l'ufficio centrale della posta, il complesso ospedaliero del Royal London Hospital e un supermercato- alcune di esse si inseriscono urbanisticamente in nodi strategici, altre si mimetizzano in centri commerciali (come l’Idea Stores Canary Wharf o per la Biblioteka Uniwersytetu Warszawskiego), altre ancora inseriscono nel proprio organigramma funzionale spazi per la vendita di novità editoriali. Alla città delle reti invisibili che connettono parti di città, conurbazioni lontane tra loro, città di diversi continenti, le Biblioteche delle reti intervengono nel tessuto urbano con strategie che definiscono sistemi di cooperazione territoriale di livello locale (come quella introdotta nel 1999 nell’antico sobborgo londinese di Tower Hamlets), urbano (come nel caso delle biblioteche berlinesi e di Barcellona), ma anche metropolitano (come nelle reti del Plaine Commune e del sistema bibliotecario milanese): connessioni di scambio di materiali e dati e prestito a distanza connettono tra loro le biblioteche della rete, legate da standard e da codici di condotta comune, riconoscibili da un logo e da un nome. Un particolare modo di tessere reti che coinvolgono l’intero spazio urbano sono i bibliobus, desunti dal linguaggio di un’architettura movibile e transitoria, sono in grado di raggiungere anche le parti urbane più periferiche. Alle Biblioteche dei miti come l’Alessandrina o la michelangiolesca opera vaticana, come la Exeter di Lous I. Kahn o quella della Facoltà di Storia di James Stirling tra quelle universitarie, si affiancano le signature biblioteche, spazi in cui l’innovazione tecnologica o i materiali o una facciata attraggono più di eventi, attività e promozioni editoriali. Come il Luna Park evasivo di Coney Island che sfida in un gioco fascinoso ed esuberante le impossibilità dettate dalla tradizione, sperimentando soluzioni al limite del ridicolo (si pensi a tal fine alla Bibliosphere per la University Duisburg- Essen), la biblioteca/ mediateca è l’insieme di figure che ri-semantizzano gli elementi tramandati dalla storia. L’instabilità e il mutamento delle immagini, specchio di una crisi, sono indice dell'affermazione di nuovi valori ad essa attribuiti, basati sul concetto del vario e del diverso. Caos informe e degenerativo nella logica cartesiana di Le Corbusier (che non riesce a coglierne una dimensione poetica), spirito (come quello presente in Delirious in New York) che vive di interpretazioni, di proiezioni inconsce e di molteplicità nel divenire, è la dimensione esistenziale della città quanto della biblioteca/ mediateca del XXI secolo, con tutte le sue valenze e contraddizioni. A differenza dei casi internazionali (da cui se ne differenzia per normativa e legislazione), collocandosi tra conservazione e innovazione, da un lato, e tra tradizione culturale nazionale e apertura verso l’esterno, dall’altro, l’Italia assume una posizione del tutto particolare. Sussistano sostanziali differenze in termini di tipologia di intervento (si predilige il recupero), dimensionali, localizzativi, gestionali e di finanziamenti: in Italia, infatti, sono pochi i casi di biblioteche costruite ex-novo mentre sono nettamente preponderanti le scelte di ristrutturazione di edifici storici. Se l’Italia ha delle specificità, come possono essere di ausilio le esperienze internazionali? L’uso dei casi studio consente di delineare una tipologia di analisi comparativa che contribuisce a definire dei modelli, utili riferimenti per sperimentare da trasporre ad un caso italiano (romano, nello specifico), punto di arrivo ma anche di partenza. Quale modello potrebbe meglio inserirsi nel difficile e particolare panorama bibliotecario italiano? Quale potrebbe costituire sperimentazione, innovazione, e ricerca nel contesto romano? La dissertazione risponde a questi quesiti definendo un sistema di relazioni (fisiche e immateriali) che propongono un modello (innovativo) programmatico che possa costituire una prospettiva di rilancio e di rafforzamento di questa istituzione nelle politiche di ridefinizione territoriale e urbana. Per fare questo, ci si è posti nella prospettiva che anche una biblioteca/ mediateca italiana (romana) può sopperire alle esigenze di studio, ricerca e lettura, ma può anche essere «luogo sociale di promozione di politiche e consumi culturali, puntando da un lato sull’implementazione dei servizi di informazione e di quelli tradizionali di supporto allo studio, alla conoscenza e alla formazione; dall’altro cercando di trovare spazio nel settore dell’intrattenimento culturale, del tempo libero e della formazione permanente». Per seguire il sentiero delle idee «occorre trovarlo e, dopo averlo separato dagli altri, imprimergli il sigillo di una sola idea contrassegnando le altre diramazioni con un’unica altra forma»: così introduce Platone Il Politico. Seguendo tale principio, è stato scelto un metodo di indagine diairetico che guida alla definizione dell’oggetto della ricerca attraverso una classificazione preliminare e selettiva di casi studio che accorpino realtà diverse in categorie dal cui confronto (per dimensioni, caratteristiche e obiettivi) emergono somiglianze e differenze. Considerata la vastità e la complessità del tema e la pluralità delle sue possibili declinazioni, si vuole evitare una trattazione generale giacché superficiale, optando, come scriveva (e prediligeva) Peter Burke, «per studi brevi su argomenti di grande respiro, che cercano di stabilire collegamenti tra luoghi, temi, periodi o individui diversi» per poter essere ricomposti in «piccoli frammenti [di] un grande quadro». Questa prospettiva, se da un lato auspica l’apertura di orizzonti e la crescita della ricerca scientifica, spingendola all’analisi e la scoperta di nuovi legami, punti di contatto e interpretazioni, dall’altro lato impone di circoscrivere l’ambito di ricerca ad un preciso contesto temporale e geografico. Se, infatti, è possibile individuare delle costanti, è il generale (il sistema di relazioni, di gestione e di strategia) che domina sui particolarismi locali, sulle singolarità specifiche urbane. Dopo aver raccolto informazioni su un cospicuo numero di casi studio, si è deciso di restringere il campo d’indagine solo ad alcuni di essi, concentrando la ricerca su realizzazioni recenti, a partire dagli anni ’90 ad oggi, ed evidenziando, all’occorrenza, rimandi a riferimenti culturali forniti dalle esperienze progettuali passate, scelte tra progetti dell’Europa continentale e del mondo anglo- americano, due realtà dagli ambiti geografici e dagli aspetti culturali avvicinabili e quindi confrontabili tra loro. L’analisi di tali casi (inseriti nei contesti urbani più diversificati, oggetto di progetti di riqualificazione e rigenerazione urbana), costituiscono le tessere di mosaici urbani che ramificano sull’intera estensione promozione territoriale. La trattazione, dal tema di grande interesse sia per architetti e urbanisti quanto bibliotecari e sociologi, se da un lato mostra la quantità e la qualità dei servizi offerti sia di carattere culturale che sociale, dall’altro fa emergere uno spazio che costituisce una possibile alternativa alla proliferazione dei centri di consumo di massa (shopping malls), un utile strumento di riqualificazione ed elemento decisivo nelle politiche di sviluppo della città diffusa e policentrica. Nel tempo, il termine biblion thèca (dal greco βιβλίον -biblíon- e θήκη -théke) ha assunto una pluralità di significati: in alcuni mosaici del V secolo a.C. come in Sant’Agostino (1480) di Botticelli o in San Gerolamo nello studio di Antonello da Messina (1474), il termine designa «una serie di libri che formavano una collana, uno scaffale, un armadiolo, una nicchia, [talvolta considerato] anche solo un ripiano o una mensola dove riposano i libri»; ha quindi assunto il significato di spazio finalizzato alla conservazione, alla lettura, alla consultazione, ovvero «ambiente specifico concepito per la custodia, l’ordinamento e la schedatura». La sfida che la biblioteca/mediateca del XXI secolo si pone è di non limitarsi ad essere un contenitore di libri concepito per la custodia, l’ordinamento e la schedatura come Gaio Svetonio Tranquillo lo ha tradotto letteralmente, in De viris illustribus. De bibliothecis, (di cui ne mantiene comunque il ruolo) ma elevarsi a spazio nuovo, centro propulsore delle molteplici e variegate dinamiche urbane, ovvero, in sintesi, come in un quadro di J. Lawrence, uno spazio pubblico che funziona da condensatore socio- culturale urbano. Il progetto cinematografico MACINE, il Festival del Cinema Chiuso e osservatorio di spazi culturali in dismissione (focus sul cinema) inaugurato a Roma nel 2011, sembra essere un ottimo terreno di partenza per implementare una strategia bibliotecaria. Roma è già fornita di un sistema di 26 biblioteche pubbliche, accanto alle quali, disseminate in ciascuna delle quattro aree in cui è idealmente divisa la città, si affiancano alcuni centri polifunzionali e biblioteche specializzate per un totale di undici (la Biblioteca Centrale per Ragazzi, Il BiblioCaffè letterario, la Biblioteca Europea e quella Romana "A. Sarti", la Casa dei Bimbi, quella dei Teatri, della Memoria e della Storia, delle Traduzioni e del Parco -Pineta Sacchetti- la Mediateca Centrale e il Teatro Biblioteca Quarticciolo) che si caratterizzano per la specificità delle raccolte e/o perché rivolte a particolari fasce d'utenza. All’interno di questa variegata e multiforme offerta, integrando la riqualificazione urbana con il recupero edilizio, si ipotizza l’inserimento di una biblioteca in uno tra i cinema chiusi, dismessi, autogestiti o a rischio chiusura in balia di proprietà e gestioni non sempre presenti di Roma, ovvero una Cine- Biblioteca. Consapevole che i modelli rappresentano proposte e auspici elaborati secondo una riflessione creativa e interpretativa del contesto attuale di riferimento, nonché consapevole dei rischi che si incorrono nel proporre modelli, la ricerca potrà comunque indurre ad una riflessione critica sulla biblioteca/mediateca italiana del XXI secolo suggerendo percorsi alternativi di ricerca.
10-dic-2015
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Note: TESI METAPROGETTUALE
Tipologia: Tesi di dottorato
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