Sono ormai sempre maggiori le evidenze statistiche che associano la qualità della vita (sotto il profilo della salute) e la speranza di vita alla posizione sociale in una determinata struttura sociale: la cosiddetta teoria delle determinanti sociali della salute e della sopravvivenza. Sia importanti organizzazioni internazionali come l’OMS e la Commissione Europea, sia numerosi e autorevoli studi in campo socio-demografico hanno infatti individuato nelle determinanti sociali della salute e della sopravvivenza la causa delle crescenti diseguaglianze nella salute delle nazioni più avanzate del nostro secolo. In un contesto ancora poco esplorato dalla ricerca demografica in Italia, lo studio che sarà presentato nelle prossime pagine si propone l’obiettivo di valutare e misurare la consistenza e l’ampiezza delle disuguaglianze nella salute dei pensionati italiani, verificare la validità della teoria delle determinanti sociali anche in questa fase della vita ed esaminare infine l’impatto che queste diseguaglianze hanno sull’equità del sistema previdenziale, specialmente alla luce delle recenti riforme che basano le formule attuariali sulla speranza di vita media italiana.Riguardo al primo punto, sia l’analisi condotta sul dataset AD-SILC (periodo 2005-2009) per i pensionati ex-dipendenti privati ed ex-lavoratori autonomi/professionisti, sia l’analisi condotta sul dataset amministrativo della Gestione Dipendenti Pubblici INPS (ex-INPDAP, periodo 2009-2012) per i pensionati ex-dipendenti pubblici, hanno evidenziato ampie e consistenti diseguaglianze nella speranza di vita a 60 anni. Nelle simulazioni elaborate a partire dalle stime del modello di Cox sul dataset AD-SILC, mantenendo ferme variabili come il genere e l’istruzione, la forbice nella speranza di vita a 60 anni tra la combinazione di variabili demo-sociali con il più basso profilo di sopravvivenza (Fondo pensione lavoratori dipendenti, situazione economica ‘povera’) e la combinazione opposta (Fondo Commercianti, situazione economica ‘ricca’) è di oltre 7 anni. La prima combinazione restituisce una speranza di vita a 60 anni di circa 18.7 anni, mentre la seconda restituisce una speranza di vita di circa 26 anni. Sul versante “pubblico”, la differenza tra la speranza di vita a 60 anni più bassa e quella più alta, stimata a partire dalle tavole di mortalità calcolate incrociando cassa/compartimento e classe di reddito, è di circa 5,6 anni per gli uomini (classe di reddito 0-1000 euro VS classe di reddito 5000+, casse CPDEL) e 7 per le donne (classe di reddito 0-1000 euro, cassa Ministeri VS classe di reddito 5000+, cassa CPDEL). L’incrocio tra cassa/compartimento e classe di reddito è stato individuato come una buona proxy della classe sociale così come individuata da Erikson e Goldthorpe, il pubblico impiego segue infatti una rigida corrispondenza tra scatti di carriera e scatti di salario, che si ripercuotono direttamente sul reddito pensionistico. Per i maschi, la speranza di vita più bassa, poco meno di 20 anni, è stata calcolata per i pensionati della cassa degli Enti Locali (CPDEL), con classe di reddito sotto i mille euro al mese. La speranza di vita più alta, poco meno di 26 anni, è stata calcolata per la stessa cassa, ma con classe di reddito pari a 5000 euro e più. Per le donne, la speranza di vita più bassa, circa 25,7 anni, è stata calcolata per i pensionati del compartimento Ministeri, con classe di reddito sotto i mille euro al mese. La speranza di vita più alta, poco meno di 32,5 anni, è stata calcolata per la cassa degli Enti Locali, ma con classe di reddito pari a 5000 euro e più. Da questo si evince che trattare il “pubblico impiego” come un mondo privilegiato a sé stante rispetto al “privato” non trova fondamento nelle analisi delle disuguaglianze di sopravvivenza. Sia il pubblico che il privato sono attraversati da diseguaglianze di notevole entità. Riguardo al secondo obiettivo, lo schema di classe elaborato da Erikson e Goldthorpe basato sul tipo di lavoro, si è rivelato in grado di interpretare sia i risultati derivanti dalle stime AD-SILC che quelle derivanti dalle tavole di mortalità calcolate sui dati amministrativi dell’ex-INPDAP. La descrizione delle classi sociali riportata dai due autori rispecchia sostanzialmente anche le disuguaglianze nella speranza di vita stimate da questo studio. A parità di altre variabili demo-sociali, le classi sociali più basse, cioè quelle con più eterodirezione del lavoro, minor controllo del proprio operato e peggior rapporto tra sforzo e ricompensa sono quelle che presentano un minore profilo di sopravvivenza. Si conferma quindi indirettamente anche la validità alle età anziane della teoria delle determinanti sociali della salute e della sopravvivenza, oltre al paradigma teorico della catena degli svantaggi. Infine, considerando la stratificazione sociale delle speranze di vita, risulta evidente come la riforma previdenziale Dini e tutte quelle che sono seguite e che ne hanno sostanzialmente seguito l’impostazione, abbia introdotto un grave elemento di iniquità nel sistema. La riforma assicura infatti un rispetto puramente tecnico e formale dell’equilibrio attuariale: la formula utilizzata pone al centro del calcolo delle soglie anagrafiche di accesso alla rendita previdenziale la speranza di vita media italiana, assumendo scostamenti casuali da questo valore. Dal momento che questi scostamenti non sono affatto casuali, ma determinati dalla classe sociale di appartenenza, il sistema previdenziale infrange i concetti di equità previdenziale classica. Prendendo in prestito alcuni concetti dell’equità tributaria, il sistema previdenziale italiano si configura quindi come un sistema “regressivo”, in cui gli individui con più “disponibilità” di speranza di vita ottengono un beneficio temporale di rendita maggiore degli individui con minore disponibilità. L’innalzamento delle soglie di anzianità contributiva e dei requisiti anagrafici legati all’incremento della speranza di vita media italiana impongono un sacrificio maggiore per i gruppi più poveri (economicamente e salutisticamente) rispetto a quelli più ricchi. La situazione si tinge di più fosche tinte se consideriamo il fatto che la speranza di vita in buona salute è anche inferiore a quella totale. Volendo semplicemente garantire almeno una proporzionalità nei benefici temporali di rendita si dovrebbero modificare le soglie anagrafiche base rispetto ai diversi gruppi sociali onde assicurare a tutti lo stesso rapporto tra gli anni passati in pensione e la speranza di vita alla nascita. Ne conseguirebbe che volendo fissare in 65 la soglia anagrafica per l’accesso alla pensione della classe più avvantaggiata, bisognerebbe abbassare a 60 la soglia per la classe più svantaggiata, per garantire ad entrambe la medesima proporzione di tempo in pensione (in questo caso il 24% della vita totale). Tuttavia, è opinione dello scrivente che, considerando il paradigma dell’accumulazione degli svantaggi e le recenti raccomandazioni dell’OMS, un sistema previdenziale pubblico ed universale moderno dovrebbe diventare di tipo “progressivo”, dovrebbe cioè integrare esplicitamente un obiettivo di tipo redistributivo tra le classi sociali che tenda a correggere le storture prodotte dalla catena degli svantaggi e riporti tutti su un piano di uguaglianza nelle opportunità di salute, restituendo a tutti gli anziani italiani un medesimo orizzonte salutistico. Modificando in senso progressivo le proporzioni dei rapporti tra tempo in pensione e tempo di vita totale, assegnando ad esempio una quota del 24% agli individui delle classi più avvantaggiate e del 26% a quelli più poveri, le soglie anagrafiche dei primi resterebbero ferme a 65 anni, mentre i secondi passerebbero da 65 (sistema regressivo) a 58.3 (sistema progressivo). Anche le disparate aliquote contributive dovrebbero infine essere riunificate in una unica aliquota, progressiva a scaglioni, imitando il meccanismo del sistema delle imposte dirette sul reddito delle persone fisiche.
Le disuguaglianze di classe sociale nella speranza di vita dopo il pensionamento in Italia, stime ed effetti sull'equità previdenziale / Lallo, Carlo. - (2014 Nov 27).
Le disuguaglianze di classe sociale nella speranza di vita dopo il pensionamento in Italia, stime ed effetti sull'equità previdenziale
LALLO, CARLO
27/11/2014
Abstract
Sono ormai sempre maggiori le evidenze statistiche che associano la qualità della vita (sotto il profilo della salute) e la speranza di vita alla posizione sociale in una determinata struttura sociale: la cosiddetta teoria delle determinanti sociali della salute e della sopravvivenza. Sia importanti organizzazioni internazionali come l’OMS e la Commissione Europea, sia numerosi e autorevoli studi in campo socio-demografico hanno infatti individuato nelle determinanti sociali della salute e della sopravvivenza la causa delle crescenti diseguaglianze nella salute delle nazioni più avanzate del nostro secolo. In un contesto ancora poco esplorato dalla ricerca demografica in Italia, lo studio che sarà presentato nelle prossime pagine si propone l’obiettivo di valutare e misurare la consistenza e l’ampiezza delle disuguaglianze nella salute dei pensionati italiani, verificare la validità della teoria delle determinanti sociali anche in questa fase della vita ed esaminare infine l’impatto che queste diseguaglianze hanno sull’equità del sistema previdenziale, specialmente alla luce delle recenti riforme che basano le formule attuariali sulla speranza di vita media italiana.Riguardo al primo punto, sia l’analisi condotta sul dataset AD-SILC (periodo 2005-2009) per i pensionati ex-dipendenti privati ed ex-lavoratori autonomi/professionisti, sia l’analisi condotta sul dataset amministrativo della Gestione Dipendenti Pubblici INPS (ex-INPDAP, periodo 2009-2012) per i pensionati ex-dipendenti pubblici, hanno evidenziato ampie e consistenti diseguaglianze nella speranza di vita a 60 anni. Nelle simulazioni elaborate a partire dalle stime del modello di Cox sul dataset AD-SILC, mantenendo ferme variabili come il genere e l’istruzione, la forbice nella speranza di vita a 60 anni tra la combinazione di variabili demo-sociali con il più basso profilo di sopravvivenza (Fondo pensione lavoratori dipendenti, situazione economica ‘povera’) e la combinazione opposta (Fondo Commercianti, situazione economica ‘ricca’) è di oltre 7 anni. La prima combinazione restituisce una speranza di vita a 60 anni di circa 18.7 anni, mentre la seconda restituisce una speranza di vita di circa 26 anni. Sul versante “pubblico”, la differenza tra la speranza di vita a 60 anni più bassa e quella più alta, stimata a partire dalle tavole di mortalità calcolate incrociando cassa/compartimento e classe di reddito, è di circa 5,6 anni per gli uomini (classe di reddito 0-1000 euro VS classe di reddito 5000+, casse CPDEL) e 7 per le donne (classe di reddito 0-1000 euro, cassa Ministeri VS classe di reddito 5000+, cassa CPDEL). L’incrocio tra cassa/compartimento e classe di reddito è stato individuato come una buona proxy della classe sociale così come individuata da Erikson e Goldthorpe, il pubblico impiego segue infatti una rigida corrispondenza tra scatti di carriera e scatti di salario, che si ripercuotono direttamente sul reddito pensionistico. Per i maschi, la speranza di vita più bassa, poco meno di 20 anni, è stata calcolata per i pensionati della cassa degli Enti Locali (CPDEL), con classe di reddito sotto i mille euro al mese. La speranza di vita più alta, poco meno di 26 anni, è stata calcolata per la stessa cassa, ma con classe di reddito pari a 5000 euro e più. Per le donne, la speranza di vita più bassa, circa 25,7 anni, è stata calcolata per i pensionati del compartimento Ministeri, con classe di reddito sotto i mille euro al mese. La speranza di vita più alta, poco meno di 32,5 anni, è stata calcolata per la cassa degli Enti Locali, ma con classe di reddito pari a 5000 euro e più. Da questo si evince che trattare il “pubblico impiego” come un mondo privilegiato a sé stante rispetto al “privato” non trova fondamento nelle analisi delle disuguaglianze di sopravvivenza. Sia il pubblico che il privato sono attraversati da diseguaglianze di notevole entità. Riguardo al secondo obiettivo, lo schema di classe elaborato da Erikson e Goldthorpe basato sul tipo di lavoro, si è rivelato in grado di interpretare sia i risultati derivanti dalle stime AD-SILC che quelle derivanti dalle tavole di mortalità calcolate sui dati amministrativi dell’ex-INPDAP. La descrizione delle classi sociali riportata dai due autori rispecchia sostanzialmente anche le disuguaglianze nella speranza di vita stimate da questo studio. A parità di altre variabili demo-sociali, le classi sociali più basse, cioè quelle con più eterodirezione del lavoro, minor controllo del proprio operato e peggior rapporto tra sforzo e ricompensa sono quelle che presentano un minore profilo di sopravvivenza. Si conferma quindi indirettamente anche la validità alle età anziane della teoria delle determinanti sociali della salute e della sopravvivenza, oltre al paradigma teorico della catena degli svantaggi. Infine, considerando la stratificazione sociale delle speranze di vita, risulta evidente come la riforma previdenziale Dini e tutte quelle che sono seguite e che ne hanno sostanzialmente seguito l’impostazione, abbia introdotto un grave elemento di iniquità nel sistema. La riforma assicura infatti un rispetto puramente tecnico e formale dell’equilibrio attuariale: la formula utilizzata pone al centro del calcolo delle soglie anagrafiche di accesso alla rendita previdenziale la speranza di vita media italiana, assumendo scostamenti casuali da questo valore. Dal momento che questi scostamenti non sono affatto casuali, ma determinati dalla classe sociale di appartenenza, il sistema previdenziale infrange i concetti di equità previdenziale classica. Prendendo in prestito alcuni concetti dell’equità tributaria, il sistema previdenziale italiano si configura quindi come un sistema “regressivo”, in cui gli individui con più “disponibilità” di speranza di vita ottengono un beneficio temporale di rendita maggiore degli individui con minore disponibilità. L’innalzamento delle soglie di anzianità contributiva e dei requisiti anagrafici legati all’incremento della speranza di vita media italiana impongono un sacrificio maggiore per i gruppi più poveri (economicamente e salutisticamente) rispetto a quelli più ricchi. La situazione si tinge di più fosche tinte se consideriamo il fatto che la speranza di vita in buona salute è anche inferiore a quella totale. Volendo semplicemente garantire almeno una proporzionalità nei benefici temporali di rendita si dovrebbero modificare le soglie anagrafiche base rispetto ai diversi gruppi sociali onde assicurare a tutti lo stesso rapporto tra gli anni passati in pensione e la speranza di vita alla nascita. Ne conseguirebbe che volendo fissare in 65 la soglia anagrafica per l’accesso alla pensione della classe più avvantaggiata, bisognerebbe abbassare a 60 la soglia per la classe più svantaggiata, per garantire ad entrambe la medesima proporzione di tempo in pensione (in questo caso il 24% della vita totale). Tuttavia, è opinione dello scrivente che, considerando il paradigma dell’accumulazione degli svantaggi e le recenti raccomandazioni dell’OMS, un sistema previdenziale pubblico ed universale moderno dovrebbe diventare di tipo “progressivo”, dovrebbe cioè integrare esplicitamente un obiettivo di tipo redistributivo tra le classi sociali che tenda a correggere le storture prodotte dalla catena degli svantaggi e riporti tutti su un piano di uguaglianza nelle opportunità di salute, restituendo a tutti gli anziani italiani un medesimo orizzonte salutistico. Modificando in senso progressivo le proporzioni dei rapporti tra tempo in pensione e tempo di vita totale, assegnando ad esempio una quota del 24% agli individui delle classi più avvantaggiate e del 26% a quelli più poveri, le soglie anagrafiche dei primi resterebbero ferme a 65 anni, mentre i secondi passerebbero da 65 (sistema regressivo) a 58.3 (sistema progressivo). Anche le disparate aliquote contributive dovrebbero infine essere riunificate in una unica aliquota, progressiva a scaglioni, imitando il meccanismo del sistema delle imposte dirette sul reddito delle persone fisiche.File | Dimensione | Formato | |
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