Lo studio del tropismo di HIV-1 è uno degli aspetti emergenti della ricerca su questo virus legato all’interesse che esso ricopre dal punto di vista patogenetico e diagnostico. Al momento dell’infezione della cellula ospite, HIV sfrutta la propria proteina di superficie gp120 per legarsi a un recettore cellulare, il CD4; tale interazione risulta essere necessaria, ma non sufficiente, per consentire l’entrata del patogeno nella cellula. Il legame della gp120 con una seconda molecola, ovvero un corecettore cellulare, è infatti essenziale per l’infezione e per la prosecuzione del ciclo replicativo. L’affinità del ceppo virale ai corecettori cellulari CCR5 e/o CXCR4 viene definita « tropismo ». Una delle armi attualmente a disposizione per impedire al virus di entrare nella cellula è rappresentata dal Maraviroc, nuovo farmaco approvato recentemente per l’uso clinico. Tale composto è in grado di agire in maniera competitiva con il corecettore, impedendo in tal modo l’infezione. Tuttavia, date le sue caratteristiche strutturali, il farmaco è in grado di legarsi esclusivamente al corecettore CCR5, rendendo inutile la somministrazione ai pazienti infetti con ceppi virali CXCR4 e DM (Dual/Mixed o R5/X4)-tropici e favorendone potenzialmente la selezione. Per tali ragioni, la corretta individuazione del tropismo virale è di cruciale importanza per l’identificazione dei pazienti candidati all’utilizzo degli inibitori del CCR5. I test fenotipici e genotipici rappresentano due approcci diversi per la determinazione del tropismo di HIV-1. Il test fenotipico è a tutt’oggi considerato il metodo gold standard, in quanto l’intero gene codificante le proteine dell’envelope virale contribuisce al risultato del saggio. D’altra parte, il test fenotipico presenta notevoli svantaggi legati a costi, tempi di esecuzione e difficoltà tecniche che ne limitano l’applicazione nella pratica diagnostica. Diversamente, il test genotipico si basa sul sequenziamento di una specifica regione di gp120 che prende il nome di V3 loop, un peptide di 35 amminoacidi essenziale nell’interazione con il corecettore. Tuttavia, l’analisi della sequenza, limitata a una sola regione della proteina, riduce la possibilità di ottenere informazioni, che si ipotizza risiedano nelle altre regioni geniche di Env, utili a una più accurata predizione. Il lavoro della tesi si è collocato inizialmente nell’ambito dei due progetti nazionali OSCAR e DIVA, svolti rispettivamente nel 2009 e nel 2010 , con lo scopo di sviluppare e validare un saggio diagnostico in grado di predire il tropismo di HIV-1 a partire dalla sequenza genetica di V3. Tali progetti hanno coinvolto tutti i principali Centri Virologici italiani e, visto il successo del progetto OSCAR nello sviluppare un saggio genotipico per la predizione del tropismo a partire da RNA virale, lo studio DIVA ha voluto implementare questo metodo applicandolo anche al DNA virale integrato. Le sequenze del V3 loop ottenute nel nostro laboratorio sono state quindi analizzate per cercare un’associazione fra alcune caratteristiche del peptide (quali carica netta e mutazioni amminoacidiche) e la predizione ottenuta mediante strumenti bioinformatici. Questa prima parte del lavoro è stata condotta su 144 sequenze di V3 ottenute da pazienti a diversi stadi di infezione e con differente trattamento farmacologico. Per aumentare la variabilità del campionamento sono state analizzate fonti virali diverse, ovvero plasma, cellule mononucleate di sangue periferico (PBMCs), linfociti T CD4+, monociti e biopsie gastriche. I risultati ottenuti hanno confermato la già nota associazione fra la presenza di amminoacidi carichi positivamente nelle posizioni 11 e 25 di V3, ma anche l’associazione tra la carica netta (NC) del peptide e il tropismo ottenuto tramite il software Geno2pheno (G2P) coreceptor. E’ stata inoltre evidenziata l’associazione fra il risultato di G2P e la presenza di residui positivi nella posizione 32. Parte dei campioni in esame (rappresentativi della popolazione totale) sono stati in seguito sottoposti a test fenotipico, messo a punto nel Laboratorio di Immunopatologia dello CHUV di Losanna (Svizzera), coordinato dal Prof. G. Pantaleo, dove ho svolto parte di questo progetto nel periodo Gennaio-Settembre 2012 . Lo studio del fenotipo in vitro, seppur molto elaborato da un punto di vista tecnico, con lunghe tempistiche e costi sostenuti, si proponeva di verificare l’ipotesi che il gruppo di sequenze con valori di NC in V3 border line (compresa tra 4 e 5), fossero effettivamente in grado di utilizzare entrambi i corecettori cellulari. Tale verifica richiedeva l’utilizzo del saggio fenotipico quale metodo di riferimento per la determinazione del tropismo virale. Pertanto, l’intero gene Env è stato amplificato dai campioni selezionati ed utilizzato per la produzione di pseudovirus in grado di infettare cellule reporter esprimenti specificamente i corecettori CCR5 o CXCR4. In base alla loro capacità di infettare le diverse linee cellulari, gli pseudovirus sono stati classificati come R5, X4 o R5X4-tropici. Una volta stabilito il fenotipo delle varianti virali, esso è stato messo in relazione alla sequenza di Env. Il sequenziamento dell’intero gene ha consentito di aumentare la sensibilità e l’accuratezza della predizione al fine di verificare l’associazione tra il tropismo di G2P e le mutazioni in gp120 che sono state descritte in letteratura. È stato quindi possibile elaborare un nuovo e sintetico modello di predizione assegnando un diverso punteggio ai marcatori associati al tropismo e lo score finale è stato confrontato con il saggio fenotipico quale test di riferimento. In questo modo è emerso che se l’identificazione dei ceppi X4 può essere supportata dalla presenza di chiari marcatori genotipici presenti nella sequenza, la discriminazione tra ceppi R5 puri e dual-tropici, in base al modello elaborato, risulta essere meno netta. In particolare, dai risultati si è evidenziato che nel 50% dei campioni con punteggio superiore alla soglia degli X4, ovvero in circa la metà dei campioni con carica netta di V3 compresa tra 4 e 5, le varianti virali erano in grado di utilizzare entrambi i corecettori, seppure con minore efficienza il CXCR4. Dal momento che i ceppi dual-tropici sono prevalenti durante la fase di switch corecettoriale da R5 a X4, l’identificazione di queste varianti costituirebbe un marcatore diagnostico aggiuntivo per il monitoraggio dell’infezione e la progressione della malattia HIV-associata.

Markers genotipici del tropismo di HIV-1 / Montagna, Claudia. - (2013 Feb 12).

Markers genotipici del tropismo di HIV-1

MONTAGNA, CLAUDIA
12/02/2013

Abstract

Lo studio del tropismo di HIV-1 è uno degli aspetti emergenti della ricerca su questo virus legato all’interesse che esso ricopre dal punto di vista patogenetico e diagnostico. Al momento dell’infezione della cellula ospite, HIV sfrutta la propria proteina di superficie gp120 per legarsi a un recettore cellulare, il CD4; tale interazione risulta essere necessaria, ma non sufficiente, per consentire l’entrata del patogeno nella cellula. Il legame della gp120 con una seconda molecola, ovvero un corecettore cellulare, è infatti essenziale per l’infezione e per la prosecuzione del ciclo replicativo. L’affinità del ceppo virale ai corecettori cellulari CCR5 e/o CXCR4 viene definita « tropismo ». Una delle armi attualmente a disposizione per impedire al virus di entrare nella cellula è rappresentata dal Maraviroc, nuovo farmaco approvato recentemente per l’uso clinico. Tale composto è in grado di agire in maniera competitiva con il corecettore, impedendo in tal modo l’infezione. Tuttavia, date le sue caratteristiche strutturali, il farmaco è in grado di legarsi esclusivamente al corecettore CCR5, rendendo inutile la somministrazione ai pazienti infetti con ceppi virali CXCR4 e DM (Dual/Mixed o R5/X4)-tropici e favorendone potenzialmente la selezione. Per tali ragioni, la corretta individuazione del tropismo virale è di cruciale importanza per l’identificazione dei pazienti candidati all’utilizzo degli inibitori del CCR5. I test fenotipici e genotipici rappresentano due approcci diversi per la determinazione del tropismo di HIV-1. Il test fenotipico è a tutt’oggi considerato il metodo gold standard, in quanto l’intero gene codificante le proteine dell’envelope virale contribuisce al risultato del saggio. D’altra parte, il test fenotipico presenta notevoli svantaggi legati a costi, tempi di esecuzione e difficoltà tecniche che ne limitano l’applicazione nella pratica diagnostica. Diversamente, il test genotipico si basa sul sequenziamento di una specifica regione di gp120 che prende il nome di V3 loop, un peptide di 35 amminoacidi essenziale nell’interazione con il corecettore. Tuttavia, l’analisi della sequenza, limitata a una sola regione della proteina, riduce la possibilità di ottenere informazioni, che si ipotizza risiedano nelle altre regioni geniche di Env, utili a una più accurata predizione. Il lavoro della tesi si è collocato inizialmente nell’ambito dei due progetti nazionali OSCAR e DIVA, svolti rispettivamente nel 2009 e nel 2010 , con lo scopo di sviluppare e validare un saggio diagnostico in grado di predire il tropismo di HIV-1 a partire dalla sequenza genetica di V3. Tali progetti hanno coinvolto tutti i principali Centri Virologici italiani e, visto il successo del progetto OSCAR nello sviluppare un saggio genotipico per la predizione del tropismo a partire da RNA virale, lo studio DIVA ha voluto implementare questo metodo applicandolo anche al DNA virale integrato. Le sequenze del V3 loop ottenute nel nostro laboratorio sono state quindi analizzate per cercare un’associazione fra alcune caratteristiche del peptide (quali carica netta e mutazioni amminoacidiche) e la predizione ottenuta mediante strumenti bioinformatici. Questa prima parte del lavoro è stata condotta su 144 sequenze di V3 ottenute da pazienti a diversi stadi di infezione e con differente trattamento farmacologico. Per aumentare la variabilità del campionamento sono state analizzate fonti virali diverse, ovvero plasma, cellule mononucleate di sangue periferico (PBMCs), linfociti T CD4+, monociti e biopsie gastriche. I risultati ottenuti hanno confermato la già nota associazione fra la presenza di amminoacidi carichi positivamente nelle posizioni 11 e 25 di V3, ma anche l’associazione tra la carica netta (NC) del peptide e il tropismo ottenuto tramite il software Geno2pheno (G2P) coreceptor. E’ stata inoltre evidenziata l’associazione fra il risultato di G2P e la presenza di residui positivi nella posizione 32. Parte dei campioni in esame (rappresentativi della popolazione totale) sono stati in seguito sottoposti a test fenotipico, messo a punto nel Laboratorio di Immunopatologia dello CHUV di Losanna (Svizzera), coordinato dal Prof. G. Pantaleo, dove ho svolto parte di questo progetto nel periodo Gennaio-Settembre 2012 . Lo studio del fenotipo in vitro, seppur molto elaborato da un punto di vista tecnico, con lunghe tempistiche e costi sostenuti, si proponeva di verificare l’ipotesi che il gruppo di sequenze con valori di NC in V3 border line (compresa tra 4 e 5), fossero effettivamente in grado di utilizzare entrambi i corecettori cellulari. Tale verifica richiedeva l’utilizzo del saggio fenotipico quale metodo di riferimento per la determinazione del tropismo virale. Pertanto, l’intero gene Env è stato amplificato dai campioni selezionati ed utilizzato per la produzione di pseudovirus in grado di infettare cellule reporter esprimenti specificamente i corecettori CCR5 o CXCR4. In base alla loro capacità di infettare le diverse linee cellulari, gli pseudovirus sono stati classificati come R5, X4 o R5X4-tropici. Una volta stabilito il fenotipo delle varianti virali, esso è stato messo in relazione alla sequenza di Env. Il sequenziamento dell’intero gene ha consentito di aumentare la sensibilità e l’accuratezza della predizione al fine di verificare l’associazione tra il tropismo di G2P e le mutazioni in gp120 che sono state descritte in letteratura. È stato quindi possibile elaborare un nuovo e sintetico modello di predizione assegnando un diverso punteggio ai marcatori associati al tropismo e lo score finale è stato confrontato con il saggio fenotipico quale test di riferimento. In questo modo è emerso che se l’identificazione dei ceppi X4 può essere supportata dalla presenza di chiari marcatori genotipici presenti nella sequenza, la discriminazione tra ceppi R5 puri e dual-tropici, in base al modello elaborato, risulta essere meno netta. In particolare, dai risultati si è evidenziato che nel 50% dei campioni con punteggio superiore alla soglia degli X4, ovvero in circa la metà dei campioni con carica netta di V3 compresa tra 4 e 5, le varianti virali erano in grado di utilizzare entrambi i corecettori, seppure con minore efficienza il CXCR4. Dal momento che i ceppi dual-tropici sono prevalenti durante la fase di switch corecettoriale da R5 a X4, l’identificazione di queste varianti costituirebbe un marcatore diagnostico aggiuntivo per il monitoraggio dell’infezione e la progressione della malattia HIV-associata.
12-feb-2013
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Note: TESI DI DOTTORATO
Tipologia: Tesi di dottorato
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