La ricerca si propone di portare un (piccolo) contributo alla riflessione attorno ad una possibile e diversa interpretazione dello spazio, a partire da quelle forme insediative “informali” prodotte da quote numericamente importanti e in crescita di migrazione, guerriglie e guerre, tali da provocare un’accelerazione della frammentazione del territorio e della città. Come, quindi, da condizioni e configurazioni urbane e territoriali emergenti di grande criticità, definite prevalentemente dalla scarsità di risorse si possano aprire scenari possibili di un nuovo abitare, in direzione della formazione di nuovi paradigmi urbani che, come uno spillone, si conficcano nello spazio privo di ombre di un modo di fare e leggere la città secondo categorie “classiche” del pensiero. La convinzione, espressa nel sottotitolo della ricerca, che la progettazione negli ambiti informali, rappresenti, ad oggi, un terreno importante di sperimentazione e ricerca, pone in primo piano alcuni temi: 1_La ricerca e la comprensione rispetto ad una diversa e ipotizzabile nozione critica di spazio. Tale da restituire ai concetti di territorio e città, prima ancora della forma, quella rottura fondamentale alla base di tutte le imperfezioni e instabilità. Che dalle parole di Michel Foucault trova una sua materializzazione suggestiva nelle immagini dei Terrain instabili disegnati da Lebbeus Woods. Restituzione assimilabile quasi alle pietre ancora smontate della città. Nelle “forme” che qui si intendono della Dis_persione rispetto alle quali, diventa necessario abbandonare l’idea di un fare armonico legato allo spazio e tempo della Misura, Ordine e Permanenza, per esplorare quella condizione di indeterminazione, per accumulo di informazioni (e accumulo storico di atti territorializzanti) e decentramento dello spazio che trova in alcune dissertazioni, della fine del Cinquecento (nel pieno della prima rivoluzione scientifica), di Giordano Bruno il proprio fondamento. È lì che cambiano i riferimenti di tempo e spazio. Una quantità enorme di informazioni si danno simultaneamente, intrecciandosi e disperdendosi nello spazio ora infinito (opposto allo spazio concluso “prospettico”). L’universo infinito, per Bruno capace di intendere, retto da equilibri instabili della materia, suscettibile di vincolo: cioè della possibilità di costruire relazioni sempre “rinegoziabili” e in mutamento continuo. Un percorso questo che forse solo oggi può riemergere, in tutta la sua importanza, nel momento in cui si assiste al crollo di tutte le definizioni assertive, dei sistemi chiusi (a cominciare dallo Stato/ Territorio), che hanno escluso molteplicità, collettivi, differenze. Si apre, allora, nel nostro caso e in questa direzione, un immaginario dell’incompletezza della città: materia in mutamento e quindi instabile che ne porta alla ribalta quelli che sono i gradi di apertura espressi in una forma sostanzialmente incompiuta, quella che ha permesso (sia per Saskia Sassen come per Michel Serres) a molte città antiche di sopravvivere (agli stravolgimenti della storia, alla successione di imperi e stati, e guerre e shock economici) perché non si sono mai fermate, nel loro continuo rifondarsi e riconfigurarsi, anche solo per piccoli e veloci cambiamenti. 2) Il tema dello spazio pubblico, nella definizione di Hannah Arendt come luogo dell’agire (opposto al “fare”) e della nozione di infrastruttura invece declinata sia come spazio per il movimento che (e soprattutto) come infrastruttura sociale, in grado di vincolare cioè di costruire relazioni sempre rinegozabili. Mixitè è la parola chiave quella che individua le nuove strategie (non più programmi) per la definizione e la messa in atto della trasformazione (nei termini di densificazione e sovrapposizione di attività) e il conflitto come pratica informale tra amministrazioni e comunità che si fanno soggetti attivi ne è lo strumento operativo. E di cui gli architetti si fanno interpreti. Sono questi i temi fondativi di una diversa città e territorio a partire da tutti quegli ambiti emergenti e in crescita che si misurano e identificano nella scarsità di risorse materiali e culturali. Dai territori e dagli esempi proposti dell’informale, a una grande scala di lettura, quella della geopolitica come suggerito da Eyal Weizman emerge, come dal sottosuolo un abitare come relazione complessa, a cui gli architetti contemporanei, recuperando quella capacità tutta Albertiana, di connettere, attraverso la loro opera, i popoli della terra, stanno provvedendo, nel segno delle sostenibilità sociali prima ancora che ambientali e trasformandosi essi stessi in nuovi attivatori-catalizzatori della costruzione di una nuova città. Insieme e in sinergia alla capacità alla trasformazione propria di chi, per scelta, necessità o imposizione politica, è costretto a spostarsi se non a migrare. Ma non solo, poiché questo attraversamento dalla migrazione non necessariamente si muove dalla periferia al centro ma si intreccia e coesiste insieme a uno slittamento, opposto dal centro alle periferie secondo uno slittamento (a partire dal crollo del muro di Berlino) della trama composta dai confini territoriali degli stati e sul quale Teddy Cruz ha impostato un’importante lavoro di ricerca che rimette in discussione tutta la cartografia. Il movimento singolo o doppio è la manifestazione della perdita di significato della centralità in direzione di una diversa interpretazione che dal luogo procede in direzione dell’Aver luogo. E questa nozione arriva dalle dissertazioni sull’universo infinito e gli infiniti mondi di Giordano Bruno. L’obiettivo è fornire, anche attraverso i progetti esaminati un quadro, pur parziale, di riferimento, tale da esplicitare la nozione di complessità all’interno delle definizioni contemporanee di paesaggio interpretate nel corso della tesi come mantello di arlecchino: spazi di sconfinamento delle parti (pezze) e instabilità della città. E di dis_persione. La filosofia è fondamentale in questa fase. L’architettura non può privarsi della filosofia. Una filosofia che oggi, per Michel Serres, deve individuare dei concetti nuovi, relativi al nuovo posto dell'uomo nel mondo. Interrogandosi sul modo in cui gli individui si costituiranno in nuove comunità, e chiedendosi se ci sono nuove comunità da inventare.

Architetture Dis_Perse. Accelerazione e moltiplicazione del frammento. Luoghi del conflitto: aree urbane di nuove migrazioni e territori di guerra, generatori complessi della trasformazione e della ricerca di nuovi rapporti architettonici e urbani / Cutri', Maria Teresa. - (2014 Dec 11).

Architetture Dis_Perse. Accelerazione e moltiplicazione del frammento. Luoghi del conflitto: aree urbane di nuove migrazioni e territori di guerra, generatori complessi della trasformazione e della ricerca di nuovi rapporti architettonici e urbani.

CUTRI', Maria Teresa
11/12/2014

Abstract

La ricerca si propone di portare un (piccolo) contributo alla riflessione attorno ad una possibile e diversa interpretazione dello spazio, a partire da quelle forme insediative “informali” prodotte da quote numericamente importanti e in crescita di migrazione, guerriglie e guerre, tali da provocare un’accelerazione della frammentazione del territorio e della città. Come, quindi, da condizioni e configurazioni urbane e territoriali emergenti di grande criticità, definite prevalentemente dalla scarsità di risorse si possano aprire scenari possibili di un nuovo abitare, in direzione della formazione di nuovi paradigmi urbani che, come uno spillone, si conficcano nello spazio privo di ombre di un modo di fare e leggere la città secondo categorie “classiche” del pensiero. La convinzione, espressa nel sottotitolo della ricerca, che la progettazione negli ambiti informali, rappresenti, ad oggi, un terreno importante di sperimentazione e ricerca, pone in primo piano alcuni temi: 1_La ricerca e la comprensione rispetto ad una diversa e ipotizzabile nozione critica di spazio. Tale da restituire ai concetti di territorio e città, prima ancora della forma, quella rottura fondamentale alla base di tutte le imperfezioni e instabilità. Che dalle parole di Michel Foucault trova una sua materializzazione suggestiva nelle immagini dei Terrain instabili disegnati da Lebbeus Woods. Restituzione assimilabile quasi alle pietre ancora smontate della città. Nelle “forme” che qui si intendono della Dis_persione rispetto alle quali, diventa necessario abbandonare l’idea di un fare armonico legato allo spazio e tempo della Misura, Ordine e Permanenza, per esplorare quella condizione di indeterminazione, per accumulo di informazioni (e accumulo storico di atti territorializzanti) e decentramento dello spazio che trova in alcune dissertazioni, della fine del Cinquecento (nel pieno della prima rivoluzione scientifica), di Giordano Bruno il proprio fondamento. È lì che cambiano i riferimenti di tempo e spazio. Una quantità enorme di informazioni si danno simultaneamente, intrecciandosi e disperdendosi nello spazio ora infinito (opposto allo spazio concluso “prospettico”). L’universo infinito, per Bruno capace di intendere, retto da equilibri instabili della materia, suscettibile di vincolo: cioè della possibilità di costruire relazioni sempre “rinegoziabili” e in mutamento continuo. Un percorso questo che forse solo oggi può riemergere, in tutta la sua importanza, nel momento in cui si assiste al crollo di tutte le definizioni assertive, dei sistemi chiusi (a cominciare dallo Stato/ Territorio), che hanno escluso molteplicità, collettivi, differenze. Si apre, allora, nel nostro caso e in questa direzione, un immaginario dell’incompletezza della città: materia in mutamento e quindi instabile che ne porta alla ribalta quelli che sono i gradi di apertura espressi in una forma sostanzialmente incompiuta, quella che ha permesso (sia per Saskia Sassen come per Michel Serres) a molte città antiche di sopravvivere (agli stravolgimenti della storia, alla successione di imperi e stati, e guerre e shock economici) perché non si sono mai fermate, nel loro continuo rifondarsi e riconfigurarsi, anche solo per piccoli e veloci cambiamenti. 2) Il tema dello spazio pubblico, nella definizione di Hannah Arendt come luogo dell’agire (opposto al “fare”) e della nozione di infrastruttura invece declinata sia come spazio per il movimento che (e soprattutto) come infrastruttura sociale, in grado di vincolare cioè di costruire relazioni sempre rinegozabili. Mixitè è la parola chiave quella che individua le nuove strategie (non più programmi) per la definizione e la messa in atto della trasformazione (nei termini di densificazione e sovrapposizione di attività) e il conflitto come pratica informale tra amministrazioni e comunità che si fanno soggetti attivi ne è lo strumento operativo. E di cui gli architetti si fanno interpreti. Sono questi i temi fondativi di una diversa città e territorio a partire da tutti quegli ambiti emergenti e in crescita che si misurano e identificano nella scarsità di risorse materiali e culturali. Dai territori e dagli esempi proposti dell’informale, a una grande scala di lettura, quella della geopolitica come suggerito da Eyal Weizman emerge, come dal sottosuolo un abitare come relazione complessa, a cui gli architetti contemporanei, recuperando quella capacità tutta Albertiana, di connettere, attraverso la loro opera, i popoli della terra, stanno provvedendo, nel segno delle sostenibilità sociali prima ancora che ambientali e trasformandosi essi stessi in nuovi attivatori-catalizzatori della costruzione di una nuova città. Insieme e in sinergia alla capacità alla trasformazione propria di chi, per scelta, necessità o imposizione politica, è costretto a spostarsi se non a migrare. Ma non solo, poiché questo attraversamento dalla migrazione non necessariamente si muove dalla periferia al centro ma si intreccia e coesiste insieme a uno slittamento, opposto dal centro alle periferie secondo uno slittamento (a partire dal crollo del muro di Berlino) della trama composta dai confini territoriali degli stati e sul quale Teddy Cruz ha impostato un’importante lavoro di ricerca che rimette in discussione tutta la cartografia. Il movimento singolo o doppio è la manifestazione della perdita di significato della centralità in direzione di una diversa interpretazione che dal luogo procede in direzione dell’Aver luogo. E questa nozione arriva dalle dissertazioni sull’universo infinito e gli infiniti mondi di Giordano Bruno. L’obiettivo è fornire, anche attraverso i progetti esaminati un quadro, pur parziale, di riferimento, tale da esplicitare la nozione di complessità all’interno delle definizioni contemporanee di paesaggio interpretate nel corso della tesi come mantello di arlecchino: spazi di sconfinamento delle parti (pezze) e instabilità della città. E di dis_persione. La filosofia è fondamentale in questa fase. L’architettura non può privarsi della filosofia. Una filosofia che oggi, per Michel Serres, deve individuare dei concetti nuovi, relativi al nuovo posto dell'uomo nel mondo. Interrogandosi sul modo in cui gli individui si costituiranno in nuove comunità, e chiedendosi se ci sono nuove comunità da inventare.
11-dic-2014
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/916762
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