La ricerca ha per oggetto le dinamiche evolutive del restauro architettonico nella Regione Marche nella prima metà del ’900, analizzate sotto l’aspetto teorico e pratico attraverso gli interventi condotti dai soprintendenti che si sono succeduti in tale lasso di tempo Una delle principali motivazioni che ha mosso la ricerca è la mancanza di una visione corale della storia del restauro dei monumenti nella Regione: non esiste, infatti, uno studio che prenda in esame in maniera sistematica l’attività di tutela e di restauro dei monumenti nelle Marche, mentre la critica offre oggi un vasto repertorio di studi monografici che interessa soprattutto i monumenti maggiori. La storia del restauro in Italia è intimamente connessa alle vicende amministrative dello Stato postunitario sotto il quale è stato centralizzato e ramificato in tutto il territorio nazionale il servizio di tutela e valorizzazione dei monumenti. Analizzando, dunque, l’opera dei direttori degli Uffici di Tutela ci si è proposti di descrivere e valutare lo sviluppo del concetto di restauro in una regione rimasta sempre un po’ defilata nel panorama italiano, di trovare le connessioni con altri interventi di restauro del periodo analizzato e di inquadrare l’opera dei protagonisti nel clima politico e culturale dell’epoca, anche se questi ultimi erano focalizzati su un ambito culturale di provincia spesso lontano dai fermenti e dalle novità critiche già presenti altrove. La parte centrale della ricerca è introdotta da due capitoli che descrivono la situazione generale, politica e culturale dell’Italia, prima, e delle Marche, poi, d’inizio ‘900. L’istituzione delle Soprintendenze, nel 1904, costituisce il punto di svolta nell’assetto del sistema di salvaguardia dei monumenti; svolta preceduta da una serie di provvedimenti che palesarono la crescente esigenza di tutelare il patrimonio storico-artistico su tutto il territorio nazionale da poco unificato. Si fa cenno, dunque, a quei provvedimenti che furono emanati prima della nascita delle Soprintendenze, ovvero l’istituzione della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, voluta dal Ministro Bonghi nel 1881, con lo scopo di avviare e coordinare la prima embrionale azione di tutela dell’Italia unita, e dei dieci Uffici Regionali per la Conservazione dei monumenti istituiti, nel 1891 dal Ministro Villari. Con il R.D. n. 431/1904, che approvava il Regolamento per l’esecuzione della legge sulla conservazione dei Monumenti e degli Oggetti d’Antichità e d’Arte (L. n.185/1902), furono istituite le Soprintendenze per i monumenti, le Soprintendenze per gli scavi, musei e gli oggetti d’antichità, le Soprintendenze per le gallerie e gli oggetti d’arte del medioevo, della rinascenza e dell’età moderna. Tale articolazione fu modificata con il R.D. n.3164/1923 sul Nuovo ordinamento delle Soprintendenze alle opere di antichità e di arte. Le Soprintendenze furono ridotte e distinte in due tipologie: Soprintendenze alle antichità e Soprintendenze all'arte medievale e moderna. In seguito con la L. n.823/1939, Riordinamento delle soprintendenze alle antichità e all’arte, fu ripristinata la precedente articolazione ed aumentato il numero delle sedi. Nella Regione Marche, come nel resto del territorio nazionale, l’azione di tutela centralizzata fu avviata subito dopo il plebiscito del novembre 1860: il 3 novembre fu istituita la Commissione per la Conservazione dei Monumenti Storici, Letterari e degli Oggetti di Antichità e Belle Arti sotto la guida del piemontese Lorenzo Valerio. Con l’istituzione delle Delegazioni Regionali per i Monumenti Nazionali (D.M. 27.11.1884) fu nominato Giuseppe Sacconi come Delegato Regionale per l’Umbria e le Marche; dal 1892 fu aggiunta la provincia di Teramo e dal 1896 l’Ufficio Regionale fu diviso in due sezioni, la sezione di Perugia e la sezione di Ancona. La Soprintendenza ai Monumenti per la Regione vide la luce contemporaneamente alle altre del Regno con il R.D. n. 431/1904, ma i monumenti delle Marche furono compresi insieme a quelli dell’Umbria in un unico ufficio. Nel 1907 l’articolazione territoriale delle Soprintendenze venne modificata: le Soprintendenze ai monumenti dell’Umbria e delle Marche furono divise, venendo così istituita la sede autonoma di Ancona con il primo soprintendente delle Marche, Icilio Bocci, insediatosi nel 1908. Contemporaneamente alla nascita e al consolidamento del sistema periferico di tutela, le teorie del restauro architettonico conobbero un rapido sviluppo: i principi delineati durante il IV Congresso degli ingegneri e architetti, nel 1883, il cui promotore fu Camillo Boito, basati su un maggiore rispetto del monumento in quanto documento storico, costituirono il primo tentativo di neutralizzare la tendenza al restauro stilistico ancora imperante. Nel 1932 fu redatta la Carta del Restauro Italiana, promossa da Gustavo Giovannoni, che sancì l’approccio scientifico al restauro dei monumenti. Questa prima metà di secolo è inoltre caratterizzata dalla promulgazione di numerose leggi intese a tutelare il patrimonio artistico italiano: Legge 778/1922 Tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico, Legge 1089/1939 Tutela delle cose di interesse artistico e storico, Legge 1497/1939 Sulla protezione delle bellezze naturali e panoramiche, Legge 1150/1942 Legge urbanistica. La prassi restaurativa nelle Marche a cavallo tra il XIX e il XX secolo è ancora fortemente legata alla tendenza stilistica. In qualità di Direttore dell’Ufficio Regionale Giuseppe Sacconi (1854-1905) fu il primo ad aver affrontato il restauro del monumenti in maniera sistematica; egli fu un attivissimo restauratore che tentò di allacciarsi alle moderne teorie, contraddette a volte nella prassi da libere interpretazioni personali. L’altra personalità da cui non è possibile prescindere, per tracciare una linea di continuità tra i protagonisti dell’attività di restauro condotta nelle Marche nella prima metà del ‘900, è l’architetto anconetano Guido Cirilli (1871-1954). La sua duplice natura di progettista e di restauratore di monumenti rappresenta l’aspetto fondamentale di tutta la sua opera, nella quale la sua vena artistica e il desiderio di lasciare la propria firma sul monumento emergono in numerosi progetti di ripristino. Tale modus operandi fu causa di diverbi con i soprintendenti, soprattutto con Luigi Serra, col quale Cirilli ebbe a confrontarsi in numerosi interventi: il progetto di ripristino del giardino pensile del Palazzo Ducale di Urbino, la merlatura del Palazzo Ducale di Pesaro, il restauro di ripristino della chiesa di Santa Maria della Piazza r le decorazioni della facciata del Palazzo Benincasa, in Ancona. Descritto il panorama politico-culturale d’inizio ventesimo secolo, si passa al corpo centrale della ricerca, ovvero alla presentazione dei soprintendenti, delle loro concezioni teoriche e della loro prassi operativa. Il primo soprintendente delle Marche fu Icilio Bocci (1849-1927), uno dei protagonisti più attivi nelle vicende del restauro e della tutela del patrimonio architettonico marchigiano, grazie alla sua lunga esperienza come soprintendente (1908-1922). Fondamentale fu la sua formazione: egli fu allievo e collaboratore di Giuseppe Sacconi che considerò sempre il suo unico ed insigne maestro; se ne distaccò, almeno negli intenti, dimostrando maggiore sensibilità verso l’autenticità del manufatto artistico, cercando di evitare in ogni modo il ricorso alla propria immaginazione e basandosi solo su elementi incontestabili. Nonostante tali premesse gli interventi sui monumenti sono guidati per lo più dal concetto di ripristino, al fine di riportare l’edificio alla conformazione originaria, documentata da un’intensa attività di studio, di ricerca storica e d’archivio. Nel Duomo di San Ciriaco ad Ancona Bocci ricostruì la cappella del Crocifisso a perfetta imitazione della cappella della Madonna, restaurata da Sacconi trenta anni prima; scelte aspramente criticate da Gustavo Giovannoni. La facciata principale del Palazzo del Podestà di Fabriano fu ricondotta alle forme gotiche, riaprendo le bifore, demolendo corpi di fabbrica addossati e ricostruendo il coronamento merlato. Numerosi furono gli interventi di ripristino: il Duomo di San Venanzo a Fabriano, la chiesa di Santa Maria delle Moje a Majolati Spontini; la chiesa di San Vincenzo e Anastasio ad Ascoli Piceno; la chiesa di San Lorenzo in Doliolo a San Severino Marche; il Palazzo della Ragione di Fano; il Palazzo Ducale di Pesaro e di Urbino. Luigi Serra (1881-1943), già direttore della Galleria Nazionale di Urbino, succedette ad Icilio Bocci nella direzione della Soprintendenza all’Arte Medievale e Moderna nel 1922. A differenza del suo predecessore, non fu un architetto/ingegnere con una formazione prevalentemente tecnica, ma uno storico dell’arte con una visione molto più ampia del patrimonio artistico marchigiano, della sua condizione e dei metodi per valorizzarlo. Egli infatti si occupò tanto di restauro e valorizzazione dei monumenti, ai quali dedicò studi e ricerche sempre pubblicate, quanto del riordinamento dei musei municipali e provinciali. Le sue approfondite ricerche e la sua intensa campagna saggistica sul patrimonio artistico marchigiano, pubblicate nella rivista Rassegna Marchigiana, da lui stesso fondata nel 1922, confluirono in due preziosi volumi, Arte nelle Marche. Dalle origini cristiane alla fine del Gotico, del 1929, e Arte nelle Marche. Il periodo del Rinascimento, del 1934: questi rappresentarono un caposaldo per la definizione di una prima unitaria visione della storia dell’arte nelle Marche, una ricognizione complessiva sulla storia dell’architettura di questa regione. Anche per Serra il restauro dei monumenti risentì fortemente delle teorie del XIX secolo ed il ripristino della forma originaria fu il fine ultimo di ogni intervento ma, a differenza del suo predecessore, la sua teoria fu contaminata dai principi del restauro storico-filologico. Egli, però, dimostrò sempre diffidenza nei confronti del carattere assoluto del principio della conservazione, del quale sicuramente condivideva il fondamento storico, ma che riteneva non potesse prescindere dal giudizio critico del progettista restauratore. Coadiuvato dall’architetto Arnolfo Bizzarri, Serra condusse numerosi interventi di ripristino, tra i quali si annoverano la chiesa di Santa Maria della Piazza ad Ancona, all’interno della quale eliminò l’apparato barocco per conferirle un presunto aspetto romanico, desunto per analogia con chiese simili. Egli consolidò e restituì al meritato decoro l’abbazia di San Vittore alla Chiuse, nei pressi di Genga (An), la chiesa di Sant’Urbano ad Apiro (Mc), entrambe utilizzate come granai. Su molte altre chiese eseguì radicali restauri in stile, condotti senza testimonianze storiche: la chiesa di San Vincenzo e Anastasio e quella di San Vittore, ad Ascoli Piceno, la chiesa di San Claudio al Chienti, a Corridonia (Mc), la chiesa di Santa Maria a piè di Chienti, a Montecosaro (Mc). Intervenne anche su molti palazzi comunali sui quali l’apposizione o meno del coronamento merlato alimentò sempre la controversia con la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti; si tratta del Palazzo della Signoria di Jesi, del Palazzo Comunale di Offida, del Palazzo Ducale di Pesaro. Fra il termine del mandato del soprintendente Serra e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale la Soprintendenza ai monumenti delle Marche fu diretta da una sequenza di personalità che per l’esiguo periodo di carica non hanno lasciato una forte impronta sul patrimonio regionale. Si tratta di Carlo Aru, soprintendente dal 1931 al 1933, Guglielmo Pacchioni, dal 1933 al 1939, e Vittorio Invernizzi, dal 1939 al 1941. La parte conclusiva della trattazione è dedicata all’architetto Riccardo Pacini (1908-1991). Tale figura è stata contestualizzata nel periodo storico e nella città in cui si trovò ad operare. Egli fu nominato soprintendente nel 1942, l’anno precedente l’inizio dei bombardamenti alleati sulla città di Ancona. I tecnici, come lui, destinati a difendere il patrimonio storico-artistico, si trovarono ad affrontare una condizione non immaginata da nessuna teoria del restauro: le devastazioni belliche misero il personale tecnico-scientifico di fronte ad uno scenario apocalittico. Tutto ciò che era stato enunciato in precedenza dalle norme fu stravolto dalla vastità del disastro, poiché la scelta tra il fare e il non fare non dipendeva più soltanto dagli elementi intrinseci al monumento; la scelta di intervenire, allora, diveniva un obbligo morale, una sentita necessità di ricomporre l’edificio, il suo valore ambientale e la sua funzione sociale. I fondamenti teorici del 1932 vacillarono di fronte agli eventi bellici e alle impressionanti proporzioni del disastro, poiché nasceva l'esigenza di riflettere ed agire con diverso spirito sui concetti in precedenza sanciti. Tutto ciò generò un inevitabile dibattito intorno alle modalità d'intervento sul patrimonio monumentale danneggiato dalle azioni belliche e portò all’emergere di pareri molteplici. Il soprintendente Riccardo Pacini appartiene alla prima generazione di soprintendenti formatosi in una Facoltà di Architettura, nel caso specifico quella di Roma, dove conseguì la laurea nel 1931. La sua formazione teoretica lo rende assolutamente superiore e più saldamente formato rispetto ai suoi predecessori e perfettamente in linea con gli sviluppi dottrinali più avanzati del tempo. Il giovane architetto si trovò a dirigere la Soprintendenza ai monumenti delle Marche in un periodo drammatico e chi con lui collaborò nell’arduo compito di salvare il salvabile lo descrive come una figura eroica che, a rischio della propria incolumità, si sacrificò per la salvaguardia del patrimonio artistico marchigiano. Pacini non abbandonò mai la sede di Ancona e con un ridottissimo numero di collaboratori provvide alla protezione delle opere più importanti, eseguì sopralluoghi nei monumenti colpiti dai bombardamenti (la città subì oltre 130 attacchi aerei), recuperò tra le macerie anche i più piccoli frammenti d’interesse storico e artistico, rendendo così più facile il successivo ripristino o restauro o, se possibile, una fedele ricomposizione. Tra gli edifici sui quali si trovò ad intervenire e sui quali sperimentò nuove tecniche di consolidamento e di ricostruzione si annoverano: la cattedrale di San Ciriaco di Ancona, con la riedificazione del braccio destro del transetto; la chiesa di Santa Maria della Piazza, ad Ancona, con la saldatura dell’angolata destra e del paramento marmoreo alla facciata; il Palazzo degli Anziani, ad Ancona, con l’ancoraggio di porzioni dell’edificio, a imminente rischio di crollo, a strutture realizzate ex-novo; la facciata del Palazzo del Senato, ad Ancona, sostenuta da uno sperone; ed ancora l’Ospedale di Santa Maria del Buon Gesù a Fabriano, la chiesa di San Francesco ad Ascoli, il Palazzo della Ragione ed il Duomo a Fano. Tutti i monumenti che hanno subito interventi da parte dei soprintendenti oggetto della ricerca sono descritti in maniera più dettagliata nella sezione Schede tecniche. Si tratta di un capitolo composto unicamente da tali schede che hanno lo scopo di rendere più facile la lettura. In molti casi i monumenti sono stati oggetto di attenzione da parte di più soprintendenti, dunque riassumere tali restauri ha lo scopo di riordinare le informazioni dei capitoli precedenti. Ogni scheda è composta da brevi cenni sulla storia del singolo monumento, dalla sua descrizione architettonica e dalla serie di interventi di restauro subiti nella prima metà del XX secolo. La dissertazione sui restauri condotti dai soprintendenti ai monumenti delle Marche nella prima metà del Novecento si conclude con una serie di valutazioni. I restauri curati da Icilio Bocci risentono profondamente dell’influenza di Giuseppe Sacconi; la differenza più notevole con il suo predecessore consiste nella fase preliminare ad ogni intervento, in cui Bocci approfondiva l’analisi del monumento da restaurare non solo con studi storici ma conducendo saggi; nella pratica si lasciò trasportare dal desiderio di dare al monumento un’unità stilistica, non considerando i risultati raggiunti nella ricerca preliminare o utilizzandoli come argomenti per demolire le aggiunte barocche. Nell’operare di Luigi Serra si riscontra lo stesso atteggiamento del suo predecessore, mentre la vera differenza consiste nella fase precedente all’intervento: egli esegue raramente saggi molto invasivi, lo studio dell’edificio è riservato alle carte di archivio, ai documenti ed alla relativa letteratura. Questo diverso modo di procedere risiede nella differente formazione: Bocci, architetto/ingegnere, è una figura di cantiere, egli stesso progetta ed esegue rilievi; Serra, storico dell’arte, carente nella formazione pratica, è coadiuvato dall’architetto Bizzarri, suo tecnico di fiducia e abile mano nel rilevare lo stato di fatto. Tuttavia, per quanto diversi per origini, formazione, modo di ragionare ed operare, i primi due soprintendenti hanno numerosi aspetti comuni che li hanno portati molto spesso ad intervenire sui monumenti nella stessa maniera: entrambi, inoltre, operarono per salvare i monumenti dagli stessi nemici, l’incuria del tempo, il degrado, l’utilizzo non congruente. Con il soprintendente Riccardo Pacini lo scenario cambia radicalmente: egli è innanzi tutto un architetto; inoltre il nemico contro il quale si trova a combattere non è la lenta azione del tempo sui monumenti, ma la furia devastatrice della guerra. I suoi interventi non sono decisi nelle stanze di un ufficio, studiati con la giusta calma e confrontati con il Ministero e gli altri organi di competenza. Nella sua prassi non si sceglie tra restauro stilistico o storico-filologico. I suoi interventi sono dettati solo dall’esigenza di salvare nel modo più veloce, efficace ed economico possibile quelle opere menomate dai bombardamenti aerei.

Il restauro nelle Marche e gli uffici di tutela nella prima metà del novecento / Ruggeri, Angela. - (2016 Nov 22).

Il restauro nelle Marche e gli uffici di tutela nella prima metà del novecento

RUGGERI, ANGELA
22/11/2016

Abstract

La ricerca ha per oggetto le dinamiche evolutive del restauro architettonico nella Regione Marche nella prima metà del ’900, analizzate sotto l’aspetto teorico e pratico attraverso gli interventi condotti dai soprintendenti che si sono succeduti in tale lasso di tempo Una delle principali motivazioni che ha mosso la ricerca è la mancanza di una visione corale della storia del restauro dei monumenti nella Regione: non esiste, infatti, uno studio che prenda in esame in maniera sistematica l’attività di tutela e di restauro dei monumenti nelle Marche, mentre la critica offre oggi un vasto repertorio di studi monografici che interessa soprattutto i monumenti maggiori. La storia del restauro in Italia è intimamente connessa alle vicende amministrative dello Stato postunitario sotto il quale è stato centralizzato e ramificato in tutto il territorio nazionale il servizio di tutela e valorizzazione dei monumenti. Analizzando, dunque, l’opera dei direttori degli Uffici di Tutela ci si è proposti di descrivere e valutare lo sviluppo del concetto di restauro in una regione rimasta sempre un po’ defilata nel panorama italiano, di trovare le connessioni con altri interventi di restauro del periodo analizzato e di inquadrare l’opera dei protagonisti nel clima politico e culturale dell’epoca, anche se questi ultimi erano focalizzati su un ambito culturale di provincia spesso lontano dai fermenti e dalle novità critiche già presenti altrove. La parte centrale della ricerca è introdotta da due capitoli che descrivono la situazione generale, politica e culturale dell’Italia, prima, e delle Marche, poi, d’inizio ‘900. L’istituzione delle Soprintendenze, nel 1904, costituisce il punto di svolta nell’assetto del sistema di salvaguardia dei monumenti; svolta preceduta da una serie di provvedimenti che palesarono la crescente esigenza di tutelare il patrimonio storico-artistico su tutto il territorio nazionale da poco unificato. Si fa cenno, dunque, a quei provvedimenti che furono emanati prima della nascita delle Soprintendenze, ovvero l’istituzione della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, voluta dal Ministro Bonghi nel 1881, con lo scopo di avviare e coordinare la prima embrionale azione di tutela dell’Italia unita, e dei dieci Uffici Regionali per la Conservazione dei monumenti istituiti, nel 1891 dal Ministro Villari. Con il R.D. n. 431/1904, che approvava il Regolamento per l’esecuzione della legge sulla conservazione dei Monumenti e degli Oggetti d’Antichità e d’Arte (L. n.185/1902), furono istituite le Soprintendenze per i monumenti, le Soprintendenze per gli scavi, musei e gli oggetti d’antichità, le Soprintendenze per le gallerie e gli oggetti d’arte del medioevo, della rinascenza e dell’età moderna. Tale articolazione fu modificata con il R.D. n.3164/1923 sul Nuovo ordinamento delle Soprintendenze alle opere di antichità e di arte. Le Soprintendenze furono ridotte e distinte in due tipologie: Soprintendenze alle antichità e Soprintendenze all'arte medievale e moderna. In seguito con la L. n.823/1939, Riordinamento delle soprintendenze alle antichità e all’arte, fu ripristinata la precedente articolazione ed aumentato il numero delle sedi. Nella Regione Marche, come nel resto del territorio nazionale, l’azione di tutela centralizzata fu avviata subito dopo il plebiscito del novembre 1860: il 3 novembre fu istituita la Commissione per la Conservazione dei Monumenti Storici, Letterari e degli Oggetti di Antichità e Belle Arti sotto la guida del piemontese Lorenzo Valerio. Con l’istituzione delle Delegazioni Regionali per i Monumenti Nazionali (D.M. 27.11.1884) fu nominato Giuseppe Sacconi come Delegato Regionale per l’Umbria e le Marche; dal 1892 fu aggiunta la provincia di Teramo e dal 1896 l’Ufficio Regionale fu diviso in due sezioni, la sezione di Perugia e la sezione di Ancona. La Soprintendenza ai Monumenti per la Regione vide la luce contemporaneamente alle altre del Regno con il R.D. n. 431/1904, ma i monumenti delle Marche furono compresi insieme a quelli dell’Umbria in un unico ufficio. Nel 1907 l’articolazione territoriale delle Soprintendenze venne modificata: le Soprintendenze ai monumenti dell’Umbria e delle Marche furono divise, venendo così istituita la sede autonoma di Ancona con il primo soprintendente delle Marche, Icilio Bocci, insediatosi nel 1908. Contemporaneamente alla nascita e al consolidamento del sistema periferico di tutela, le teorie del restauro architettonico conobbero un rapido sviluppo: i principi delineati durante il IV Congresso degli ingegneri e architetti, nel 1883, il cui promotore fu Camillo Boito, basati su un maggiore rispetto del monumento in quanto documento storico, costituirono il primo tentativo di neutralizzare la tendenza al restauro stilistico ancora imperante. Nel 1932 fu redatta la Carta del Restauro Italiana, promossa da Gustavo Giovannoni, che sancì l’approccio scientifico al restauro dei monumenti. Questa prima metà di secolo è inoltre caratterizzata dalla promulgazione di numerose leggi intese a tutelare il patrimonio artistico italiano: Legge 778/1922 Tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico, Legge 1089/1939 Tutela delle cose di interesse artistico e storico, Legge 1497/1939 Sulla protezione delle bellezze naturali e panoramiche, Legge 1150/1942 Legge urbanistica. La prassi restaurativa nelle Marche a cavallo tra il XIX e il XX secolo è ancora fortemente legata alla tendenza stilistica. In qualità di Direttore dell’Ufficio Regionale Giuseppe Sacconi (1854-1905) fu il primo ad aver affrontato il restauro del monumenti in maniera sistematica; egli fu un attivissimo restauratore che tentò di allacciarsi alle moderne teorie, contraddette a volte nella prassi da libere interpretazioni personali. L’altra personalità da cui non è possibile prescindere, per tracciare una linea di continuità tra i protagonisti dell’attività di restauro condotta nelle Marche nella prima metà del ‘900, è l’architetto anconetano Guido Cirilli (1871-1954). La sua duplice natura di progettista e di restauratore di monumenti rappresenta l’aspetto fondamentale di tutta la sua opera, nella quale la sua vena artistica e il desiderio di lasciare la propria firma sul monumento emergono in numerosi progetti di ripristino. Tale modus operandi fu causa di diverbi con i soprintendenti, soprattutto con Luigi Serra, col quale Cirilli ebbe a confrontarsi in numerosi interventi: il progetto di ripristino del giardino pensile del Palazzo Ducale di Urbino, la merlatura del Palazzo Ducale di Pesaro, il restauro di ripristino della chiesa di Santa Maria della Piazza r le decorazioni della facciata del Palazzo Benincasa, in Ancona. Descritto il panorama politico-culturale d’inizio ventesimo secolo, si passa al corpo centrale della ricerca, ovvero alla presentazione dei soprintendenti, delle loro concezioni teoriche e della loro prassi operativa. Il primo soprintendente delle Marche fu Icilio Bocci (1849-1927), uno dei protagonisti più attivi nelle vicende del restauro e della tutela del patrimonio architettonico marchigiano, grazie alla sua lunga esperienza come soprintendente (1908-1922). Fondamentale fu la sua formazione: egli fu allievo e collaboratore di Giuseppe Sacconi che considerò sempre il suo unico ed insigne maestro; se ne distaccò, almeno negli intenti, dimostrando maggiore sensibilità verso l’autenticità del manufatto artistico, cercando di evitare in ogni modo il ricorso alla propria immaginazione e basandosi solo su elementi incontestabili. Nonostante tali premesse gli interventi sui monumenti sono guidati per lo più dal concetto di ripristino, al fine di riportare l’edificio alla conformazione originaria, documentata da un’intensa attività di studio, di ricerca storica e d’archivio. Nel Duomo di San Ciriaco ad Ancona Bocci ricostruì la cappella del Crocifisso a perfetta imitazione della cappella della Madonna, restaurata da Sacconi trenta anni prima; scelte aspramente criticate da Gustavo Giovannoni. La facciata principale del Palazzo del Podestà di Fabriano fu ricondotta alle forme gotiche, riaprendo le bifore, demolendo corpi di fabbrica addossati e ricostruendo il coronamento merlato. Numerosi furono gli interventi di ripristino: il Duomo di San Venanzo a Fabriano, la chiesa di Santa Maria delle Moje a Majolati Spontini; la chiesa di San Vincenzo e Anastasio ad Ascoli Piceno; la chiesa di San Lorenzo in Doliolo a San Severino Marche; il Palazzo della Ragione di Fano; il Palazzo Ducale di Pesaro e di Urbino. Luigi Serra (1881-1943), già direttore della Galleria Nazionale di Urbino, succedette ad Icilio Bocci nella direzione della Soprintendenza all’Arte Medievale e Moderna nel 1922. A differenza del suo predecessore, non fu un architetto/ingegnere con una formazione prevalentemente tecnica, ma uno storico dell’arte con una visione molto più ampia del patrimonio artistico marchigiano, della sua condizione e dei metodi per valorizzarlo. Egli infatti si occupò tanto di restauro e valorizzazione dei monumenti, ai quali dedicò studi e ricerche sempre pubblicate, quanto del riordinamento dei musei municipali e provinciali. Le sue approfondite ricerche e la sua intensa campagna saggistica sul patrimonio artistico marchigiano, pubblicate nella rivista Rassegna Marchigiana, da lui stesso fondata nel 1922, confluirono in due preziosi volumi, Arte nelle Marche. Dalle origini cristiane alla fine del Gotico, del 1929, e Arte nelle Marche. Il periodo del Rinascimento, del 1934: questi rappresentarono un caposaldo per la definizione di una prima unitaria visione della storia dell’arte nelle Marche, una ricognizione complessiva sulla storia dell’architettura di questa regione. Anche per Serra il restauro dei monumenti risentì fortemente delle teorie del XIX secolo ed il ripristino della forma originaria fu il fine ultimo di ogni intervento ma, a differenza del suo predecessore, la sua teoria fu contaminata dai principi del restauro storico-filologico. Egli, però, dimostrò sempre diffidenza nei confronti del carattere assoluto del principio della conservazione, del quale sicuramente condivideva il fondamento storico, ma che riteneva non potesse prescindere dal giudizio critico del progettista restauratore. Coadiuvato dall’architetto Arnolfo Bizzarri, Serra condusse numerosi interventi di ripristino, tra i quali si annoverano la chiesa di Santa Maria della Piazza ad Ancona, all’interno della quale eliminò l’apparato barocco per conferirle un presunto aspetto romanico, desunto per analogia con chiese simili. Egli consolidò e restituì al meritato decoro l’abbazia di San Vittore alla Chiuse, nei pressi di Genga (An), la chiesa di Sant’Urbano ad Apiro (Mc), entrambe utilizzate come granai. Su molte altre chiese eseguì radicali restauri in stile, condotti senza testimonianze storiche: la chiesa di San Vincenzo e Anastasio e quella di San Vittore, ad Ascoli Piceno, la chiesa di San Claudio al Chienti, a Corridonia (Mc), la chiesa di Santa Maria a piè di Chienti, a Montecosaro (Mc). Intervenne anche su molti palazzi comunali sui quali l’apposizione o meno del coronamento merlato alimentò sempre la controversia con la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti; si tratta del Palazzo della Signoria di Jesi, del Palazzo Comunale di Offida, del Palazzo Ducale di Pesaro. Fra il termine del mandato del soprintendente Serra e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale la Soprintendenza ai monumenti delle Marche fu diretta da una sequenza di personalità che per l’esiguo periodo di carica non hanno lasciato una forte impronta sul patrimonio regionale. Si tratta di Carlo Aru, soprintendente dal 1931 al 1933, Guglielmo Pacchioni, dal 1933 al 1939, e Vittorio Invernizzi, dal 1939 al 1941. La parte conclusiva della trattazione è dedicata all’architetto Riccardo Pacini (1908-1991). Tale figura è stata contestualizzata nel periodo storico e nella città in cui si trovò ad operare. Egli fu nominato soprintendente nel 1942, l’anno precedente l’inizio dei bombardamenti alleati sulla città di Ancona. I tecnici, come lui, destinati a difendere il patrimonio storico-artistico, si trovarono ad affrontare una condizione non immaginata da nessuna teoria del restauro: le devastazioni belliche misero il personale tecnico-scientifico di fronte ad uno scenario apocalittico. Tutto ciò che era stato enunciato in precedenza dalle norme fu stravolto dalla vastità del disastro, poiché la scelta tra il fare e il non fare non dipendeva più soltanto dagli elementi intrinseci al monumento; la scelta di intervenire, allora, diveniva un obbligo morale, una sentita necessità di ricomporre l’edificio, il suo valore ambientale e la sua funzione sociale. I fondamenti teorici del 1932 vacillarono di fronte agli eventi bellici e alle impressionanti proporzioni del disastro, poiché nasceva l'esigenza di riflettere ed agire con diverso spirito sui concetti in precedenza sanciti. Tutto ciò generò un inevitabile dibattito intorno alle modalità d'intervento sul patrimonio monumentale danneggiato dalle azioni belliche e portò all’emergere di pareri molteplici. Il soprintendente Riccardo Pacini appartiene alla prima generazione di soprintendenti formatosi in una Facoltà di Architettura, nel caso specifico quella di Roma, dove conseguì la laurea nel 1931. La sua formazione teoretica lo rende assolutamente superiore e più saldamente formato rispetto ai suoi predecessori e perfettamente in linea con gli sviluppi dottrinali più avanzati del tempo. Il giovane architetto si trovò a dirigere la Soprintendenza ai monumenti delle Marche in un periodo drammatico e chi con lui collaborò nell’arduo compito di salvare il salvabile lo descrive come una figura eroica che, a rischio della propria incolumità, si sacrificò per la salvaguardia del patrimonio artistico marchigiano. Pacini non abbandonò mai la sede di Ancona e con un ridottissimo numero di collaboratori provvide alla protezione delle opere più importanti, eseguì sopralluoghi nei monumenti colpiti dai bombardamenti (la città subì oltre 130 attacchi aerei), recuperò tra le macerie anche i più piccoli frammenti d’interesse storico e artistico, rendendo così più facile il successivo ripristino o restauro o, se possibile, una fedele ricomposizione. Tra gli edifici sui quali si trovò ad intervenire e sui quali sperimentò nuove tecniche di consolidamento e di ricostruzione si annoverano: la cattedrale di San Ciriaco di Ancona, con la riedificazione del braccio destro del transetto; la chiesa di Santa Maria della Piazza, ad Ancona, con la saldatura dell’angolata destra e del paramento marmoreo alla facciata; il Palazzo degli Anziani, ad Ancona, con l’ancoraggio di porzioni dell’edificio, a imminente rischio di crollo, a strutture realizzate ex-novo; la facciata del Palazzo del Senato, ad Ancona, sostenuta da uno sperone; ed ancora l’Ospedale di Santa Maria del Buon Gesù a Fabriano, la chiesa di San Francesco ad Ascoli, il Palazzo della Ragione ed il Duomo a Fano. Tutti i monumenti che hanno subito interventi da parte dei soprintendenti oggetto della ricerca sono descritti in maniera più dettagliata nella sezione Schede tecniche. Si tratta di un capitolo composto unicamente da tali schede che hanno lo scopo di rendere più facile la lettura. In molti casi i monumenti sono stati oggetto di attenzione da parte di più soprintendenti, dunque riassumere tali restauri ha lo scopo di riordinare le informazioni dei capitoli precedenti. Ogni scheda è composta da brevi cenni sulla storia del singolo monumento, dalla sua descrizione architettonica e dalla serie di interventi di restauro subiti nella prima metà del XX secolo. La dissertazione sui restauri condotti dai soprintendenti ai monumenti delle Marche nella prima metà del Novecento si conclude con una serie di valutazioni. I restauri curati da Icilio Bocci risentono profondamente dell’influenza di Giuseppe Sacconi; la differenza più notevole con il suo predecessore consiste nella fase preliminare ad ogni intervento, in cui Bocci approfondiva l’analisi del monumento da restaurare non solo con studi storici ma conducendo saggi; nella pratica si lasciò trasportare dal desiderio di dare al monumento un’unità stilistica, non considerando i risultati raggiunti nella ricerca preliminare o utilizzandoli come argomenti per demolire le aggiunte barocche. Nell’operare di Luigi Serra si riscontra lo stesso atteggiamento del suo predecessore, mentre la vera differenza consiste nella fase precedente all’intervento: egli esegue raramente saggi molto invasivi, lo studio dell’edificio è riservato alle carte di archivio, ai documenti ed alla relativa letteratura. Questo diverso modo di procedere risiede nella differente formazione: Bocci, architetto/ingegnere, è una figura di cantiere, egli stesso progetta ed esegue rilievi; Serra, storico dell’arte, carente nella formazione pratica, è coadiuvato dall’architetto Bizzarri, suo tecnico di fiducia e abile mano nel rilevare lo stato di fatto. Tuttavia, per quanto diversi per origini, formazione, modo di ragionare ed operare, i primi due soprintendenti hanno numerosi aspetti comuni che li hanno portati molto spesso ad intervenire sui monumenti nella stessa maniera: entrambi, inoltre, operarono per salvare i monumenti dagli stessi nemici, l’incuria del tempo, il degrado, l’utilizzo non congruente. Con il soprintendente Riccardo Pacini lo scenario cambia radicalmente: egli è innanzi tutto un architetto; inoltre il nemico contro il quale si trova a combattere non è la lenta azione del tempo sui monumenti, ma la furia devastatrice della guerra. I suoi interventi non sono decisi nelle stanze di un ufficio, studiati con la giusta calma e confrontati con il Ministero e gli altri organi di competenza. Nella sua prassi non si sceglie tra restauro stilistico o storico-filologico. I suoi interventi sono dettati solo dall’esigenza di salvare nel modo più veloce, efficace ed economico possibile quelle opere menomate dai bombardamenti aerei.
22-nov-2016
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Tesi dottorato Ruggeri

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Tipologia: Tesi di dottorato
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