Introduzione- Manuela Ricci Una cosa a parte? Questo dossier raccoglie la rielaborazione degli interventi che sono stati presentati al convegno di Urbanpromo 2006 dal titolo “Urbanistica e immigrati”. Abbiamo voluto dare al dossier una denominazione diversa, “Habitat e immigrati”, perché di fatto i temi affrontati hanno travalicato il ristretto riferimento all’Urbanistica per coinvolgere l’habitat in senso più generale. Il dossier mostra come gli immigrati all’interno di una città, per molti versi, non costituiscano “una cosa a parte” come ancora molti tendono a pensare. Questo per vari ordini di motivi: - perché ormai anche nella popolazione autoctona esistono fasce di reddito paragonabili a quelli percepiti dalla maggior parte degli immigrati che tendono a circoscrive segmenti deboli della comunità; questa debolezza, che si manifesta a tutti i livelli, assume figurazioni articolate all’interno della città (soprattutto per quanto riguarda la questione residenziale), in cui immigrati e popolazione autoctona si posizionano in maniera diversa ma con caratteristiche di base comuni; - perché gli immigrati stanno costituendo una forza rilevante negli ambiti urbani1, per la loro presenza, spesso organizzata a isole; per la loro capacità produttiva (nell’industria, nell’agricoltura e nel commercio) che li mette in grado, in alcuni casi, di affrancarsi da posizioni subalterne per assumere quelle imprenditoriali; per la loro capacità di spesa, di consumo e di investimento, in particolare sul mercato immobiliare con l’acquisto della prima casa. La terza indagine nazionale sulla domanda abitativa degli immigrati residenti in Italia, condotta dall’Istituto di studi e ricerche Scenari Immobiliari, stima che, a dicembre 2006, le compravendite di abitazioni concluse dagli immigrati sono state pari a circa il 16,2 % del totale, con un incremento di quasi due punti percentuali, rispetto all’anno precedente; - perché proprio in relazione alla loro forza crescente, ai ricongiungimenti dei nuclei famigliari e ai tassi di natalità, gli immigrati costituiscono un segmento importante della domanda di servizi urbani (basti pensare agli asili nido e alla scuola), in cui spesso la mixité assume proporzioni significative, fino al punto da essere vista come una minaccia dalla stessa popolazione autoctona. La peculiarità del modo di inserirsi nella città è accanto al “nuovo” – edilizia destinata ad hoc, pubblica e di terzo settore, e privata “dedicata” da parte di imprenditori che impiegano l’immigrato nella propria azienda - quella dell’insediamento nelle aree degradate: periferie, anche consolidate; aree centrali; centri storici di ridotta dimensione che non sono stati oggetto negli anni di adeguata manutenzione. Quest’ultimo caso rende problematico il processo di riqualificazione/valorizzazione di non pochi centri storici nel nostro Paese. Accanto a forme di vitalizzazione interessante di questi centri – ma non solo, d’interesse sono anche piccolissimi borghi agricoli sparsi nella campagna – che altrimenti vedrebbero forme di abbandono vistoso, il degrado si incista su parte del patrimonio anche di notevole valore storico, che il proprietario non ha interesse a riqualificare data la pochezza della forbice registrabile tra le spese d’investimento da effettuare (e relativi rendimenti futuri) e il rendimento attualmente percepito attraverso l’affitto consolidato negli anni. Questa situazione nata dall’abbandono dei centri storici da parte dei proprietari per acquistare la villetta in aree esterne, più funzionale e con un evidente ruolo di “status symbol”, rischia però di far “perdere” alla comunità una parte di patrimonio storico, che se pur privato, è parte della memoria storica dei cittadini. A ciò si aggiunga che spesso all’interno di questo patrimonio si verifica un forte turnover di diverse etnie che vi si alternano a cicli, in rapporto alle condizioni di lavoro in loco e ai programmi di rientro nei paesi di origine. Inoltre questa mobilità di persone sicuramente va a modificare l’uso degli spazi privati e pubblici, modifiche che comunque potrebbe costituire un fattore di interesse per eventuali progetti di riqualificazione. Per quanto riguarda l’edilizia delle periferie consolidate, va evidenziato che il suo degrado progressivo evidenzia sempre più il restringimento della forbice tra convenienza a recuperare e convenienza a demolire. Quando poi la proprietà di questi alloggi è trasferita agli immigrati, la forbice diventa ancor più stretta a causa della mancanza di risorse per la riqualificazione. E’ il processo classico che ha portato in Francia al programma di massicce demolizioni delle grandi periferie fatto proprio dalla legge Borloo nel 2003, con l’obiettivo di attivare, attraverso la valorizzazione fondiaria di parte delle aree dei quartieri oggetto di demolizione, la formazione di mixité sociali, anche con forme mirate di accompagnamento. Operazione quest’ultima piuttosto complessa che sembra lasciare il posto, di fatto, a una forma certamente meno ambiziosa, quella del “ controllo delle diversità” (Amendola). Note 1. La Caritas ha stimato recentemente in 3.700.000 gli immigrati presenti in Italia, con una percentuale rispetto alla popolazione del 6,2%, la più alta in Europa.

Dossier "Habitat e immgrati" / Ricci, Manuela; A., CURA DI. - In: URBANISTICA INFORMAZIONI. - ISSN 0392-5005. - STAMPA. - 214:(2007), pp. 2-21.

Dossier "Habitat e immgrati"

RICCI, Manuela;
2007

Abstract

Introduzione- Manuela Ricci Una cosa a parte? Questo dossier raccoglie la rielaborazione degli interventi che sono stati presentati al convegno di Urbanpromo 2006 dal titolo “Urbanistica e immigrati”. Abbiamo voluto dare al dossier una denominazione diversa, “Habitat e immigrati”, perché di fatto i temi affrontati hanno travalicato il ristretto riferimento all’Urbanistica per coinvolgere l’habitat in senso più generale. Il dossier mostra come gli immigrati all’interno di una città, per molti versi, non costituiscano “una cosa a parte” come ancora molti tendono a pensare. Questo per vari ordini di motivi: - perché ormai anche nella popolazione autoctona esistono fasce di reddito paragonabili a quelli percepiti dalla maggior parte degli immigrati che tendono a circoscrive segmenti deboli della comunità; questa debolezza, che si manifesta a tutti i livelli, assume figurazioni articolate all’interno della città (soprattutto per quanto riguarda la questione residenziale), in cui immigrati e popolazione autoctona si posizionano in maniera diversa ma con caratteristiche di base comuni; - perché gli immigrati stanno costituendo una forza rilevante negli ambiti urbani1, per la loro presenza, spesso organizzata a isole; per la loro capacità produttiva (nell’industria, nell’agricoltura e nel commercio) che li mette in grado, in alcuni casi, di affrancarsi da posizioni subalterne per assumere quelle imprenditoriali; per la loro capacità di spesa, di consumo e di investimento, in particolare sul mercato immobiliare con l’acquisto della prima casa. La terza indagine nazionale sulla domanda abitativa degli immigrati residenti in Italia, condotta dall’Istituto di studi e ricerche Scenari Immobiliari, stima che, a dicembre 2006, le compravendite di abitazioni concluse dagli immigrati sono state pari a circa il 16,2 % del totale, con un incremento di quasi due punti percentuali, rispetto all’anno precedente; - perché proprio in relazione alla loro forza crescente, ai ricongiungimenti dei nuclei famigliari e ai tassi di natalità, gli immigrati costituiscono un segmento importante della domanda di servizi urbani (basti pensare agli asili nido e alla scuola), in cui spesso la mixité assume proporzioni significative, fino al punto da essere vista come una minaccia dalla stessa popolazione autoctona. La peculiarità del modo di inserirsi nella città è accanto al “nuovo” – edilizia destinata ad hoc, pubblica e di terzo settore, e privata “dedicata” da parte di imprenditori che impiegano l’immigrato nella propria azienda - quella dell’insediamento nelle aree degradate: periferie, anche consolidate; aree centrali; centri storici di ridotta dimensione che non sono stati oggetto negli anni di adeguata manutenzione. Quest’ultimo caso rende problematico il processo di riqualificazione/valorizzazione di non pochi centri storici nel nostro Paese. Accanto a forme di vitalizzazione interessante di questi centri – ma non solo, d’interesse sono anche piccolissimi borghi agricoli sparsi nella campagna – che altrimenti vedrebbero forme di abbandono vistoso, il degrado si incista su parte del patrimonio anche di notevole valore storico, che il proprietario non ha interesse a riqualificare data la pochezza della forbice registrabile tra le spese d’investimento da effettuare (e relativi rendimenti futuri) e il rendimento attualmente percepito attraverso l’affitto consolidato negli anni. Questa situazione nata dall’abbandono dei centri storici da parte dei proprietari per acquistare la villetta in aree esterne, più funzionale e con un evidente ruolo di “status symbol”, rischia però di far “perdere” alla comunità una parte di patrimonio storico, che se pur privato, è parte della memoria storica dei cittadini. A ciò si aggiunga che spesso all’interno di questo patrimonio si verifica un forte turnover di diverse etnie che vi si alternano a cicli, in rapporto alle condizioni di lavoro in loco e ai programmi di rientro nei paesi di origine. Inoltre questa mobilità di persone sicuramente va a modificare l’uso degli spazi privati e pubblici, modifiche che comunque potrebbe costituire un fattore di interesse per eventuali progetti di riqualificazione. Per quanto riguarda l’edilizia delle periferie consolidate, va evidenziato che il suo degrado progressivo evidenzia sempre più il restringimento della forbice tra convenienza a recuperare e convenienza a demolire. Quando poi la proprietà di questi alloggi è trasferita agli immigrati, la forbice diventa ancor più stretta a causa della mancanza di risorse per la riqualificazione. E’ il processo classico che ha portato in Francia al programma di massicce demolizioni delle grandi periferie fatto proprio dalla legge Borloo nel 2003, con l’obiettivo di attivare, attraverso la valorizzazione fondiaria di parte delle aree dei quartieri oggetto di demolizione, la formazione di mixité sociali, anche con forme mirate di accompagnamento. Operazione quest’ultima piuttosto complessa che sembra lasciare il posto, di fatto, a una forma certamente meno ambiziosa, quella del “ controllo delle diversità” (Amendola). Note 1. La Caritas ha stimato recentemente in 3.700.000 gli immigrati presenti in Italia, con una percentuale rispetto alla popolazione del 6,2%, la più alta in Europa.
2007
Migranti; alloggi; risorse finanziarie
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Dossier "Habitat e immgrati" / Ricci, Manuela; A., CURA DI. - In: URBANISTICA INFORMAZIONI. - ISSN 0392-5005. - STAMPA. - 214:(2007), pp. 2-21.
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