The criminal justice system has undergone so many and such corrective actions, integrative and manipulative ones by the work of the legislature and of the Constitutional Court, not without the pressure of supranational courts, so that it’s hard not to speak of reformed code. Still and always weighs the lack of courage among politicians and among the experts, while it’s no longer deferrable the moment to make courageous decisions. Always in the name of a fair trial!

Sono oramai vent’anni che il codice attuale – quello che con un pizzico di civetteria ci ostiniamo ancora a chiamare “nuovo” – disciplina i processi penali e ripercorrendolo a ritroso, in una sorta di rewind, notiamo che è sempre stato connotato dalla legislazione dell’emergenza. Prima è stata la volta della mafia. Gli attentati di Capaci e via D’Amelio hanno impresso una forte caratterizzazione inquisitoria ad un processo che era nato ripudiando tale indole. Ed ecco, quindi, il principio di non dispersione delle prove (sentt. n. 24, n. 254 e n. 255 del 1992 della Corte costituzionale), la legge sui collaboratori di giustizia, il regime carcerario differenziato. Alle soglie del XXI secolo – passando per “Tangentopoli” – l’avvento del giusto processo pareva aver normalizzato (recte ripristinato) i parametri di base, ma contemporaneamente ecco il c.d. “Pacchetto sicurezza” e la legge di contrasto al terrorismo transnazionale di fronte alla prova di forza dello jihadismo con l’attentato alle Twin Towers, successivamente integrata con il d.l. n. 144/2005. Breve. Se per emergenza deve intendersi una situazione del tutto eccezionale, per la quale sono richieste delle soluzioni eccezionali – ed eccezionale è tutto ciò che non è ricorrente – occorre prendere coscienza che evidentemente nel nostro assetto codicistico qualcosa di inadeguato c’è. Perché se in quasi quattro lustri, per svariate ragioni, il codice di procedura penale è dovuto ricorrere costantemente alla legislazione dell’emergenza, trovandosi quindi “in affanno”, incapace di sostenere con i mezzi ordinari determinate forme di criminalità previste dal legislatore stesso (gli artt. 270-bis e 416-bis c.p., risalgono, rispettivamente al 1979 e al 1982), significa che l’attuale codice, alla prova dei fatti, si è rivelato incapace di fronteggiare determinate manifestazioni di criminalità. E che dire dell’incapacità di adeguarsi al “diritto sovranazionale”?... Ma il vero problema, per concludere, non è tanto quello della necessità di intervenire in un settore piuttosto che in un altro, bensì una questione culturale: la cultura degli “addetti ai lavori” e quella dei destinatari delle norme.

Verso scelte coraggiose senza rinunciare al giusto processo / Gaito, Alfredo. - In: ARCHIVIO PENALE. - ISSN 2384-9479. - STAMPA. - 2/2015(2015), pp. 469-471.

Verso scelte coraggiose senza rinunciare al giusto processo

GAITO, ALFREDO
2015

Abstract

The criminal justice system has undergone so many and such corrective actions, integrative and manipulative ones by the work of the legislature and of the Constitutional Court, not without the pressure of supranational courts, so that it’s hard not to speak of reformed code. Still and always weighs the lack of courage among politicians and among the experts, while it’s no longer deferrable the moment to make courageous decisions. Always in the name of a fair trial!
2015
Sono oramai vent’anni che il codice attuale – quello che con un pizzico di civetteria ci ostiniamo ancora a chiamare “nuovo” – disciplina i processi penali e ripercorrendolo a ritroso, in una sorta di rewind, notiamo che è sempre stato connotato dalla legislazione dell’emergenza. Prima è stata la volta della mafia. Gli attentati di Capaci e via D’Amelio hanno impresso una forte caratterizzazione inquisitoria ad un processo che era nato ripudiando tale indole. Ed ecco, quindi, il principio di non dispersione delle prove (sentt. n. 24, n. 254 e n. 255 del 1992 della Corte costituzionale), la legge sui collaboratori di giustizia, il regime carcerario differenziato. Alle soglie del XXI secolo – passando per “Tangentopoli” – l’avvento del giusto processo pareva aver normalizzato (recte ripristinato) i parametri di base, ma contemporaneamente ecco il c.d. “Pacchetto sicurezza” e la legge di contrasto al terrorismo transnazionale di fronte alla prova di forza dello jihadismo con l’attentato alle Twin Towers, successivamente integrata con il d.l. n. 144/2005. Breve. Se per emergenza deve intendersi una situazione del tutto eccezionale, per la quale sono richieste delle soluzioni eccezionali – ed eccezionale è tutto ciò che non è ricorrente – occorre prendere coscienza che evidentemente nel nostro assetto codicistico qualcosa di inadeguato c’è. Perché se in quasi quattro lustri, per svariate ragioni, il codice di procedura penale è dovuto ricorrere costantemente alla legislazione dell’emergenza, trovandosi quindi “in affanno”, incapace di sostenere con i mezzi ordinari determinate forme di criminalità previste dal legislatore stesso (gli artt. 270-bis e 416-bis c.p., risalgono, rispettivamente al 1979 e al 1982), significa che l’attuale codice, alla prova dei fatti, si è rivelato incapace di fronteggiare determinate manifestazioni di criminalità. E che dire dell’incapacità di adeguarsi al “diritto sovranazionale”?... Ma il vero problema, per concludere, non è tanto quello della necessità di intervenire in un settore piuttosto che in un altro, bensì una questione culturale: la cultura degli “addetti ai lavori” e quella dei destinatari delle norme.
processo penale; codice penale; legislazione dell'emergenza; questione culturale
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Verso scelte coraggiose senza rinunciare al giusto processo / Gaito, Alfredo. - In: ARCHIVIO PENALE. - ISSN 2384-9479. - STAMPA. - 2/2015(2015), pp. 469-471.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/884358
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