5 INTRODUZIONE Un bambino di cinque anni vede una automobile parcheggiata e indicandone la marca dice: «Questa è una Fiat». Un bambino di sei anni disegna un gatto, scrive GO e legge, facendo corrispondere una sillaba ad ogni lettera, /gat/to/. Un bambino di quattro anni disegna un treno, scrive OIRFFETORTFIE e dice: «Ho fatto una scritta lunga perché il treno è molto lungo». Un bambino di tre anni passa davanti ad un cartellone pubblicitario e, indicandone la scritta, dice: «Coca Cola». Un bambino di quattro anni corregge la mamma che gli sta iniziando a raccontare una storia, dicendo: «No, prima devi dire /c’era una volta/ perché tutte le storie iniziano con /c’era una volta/!». Normalmente si crede che il primo contatto «ufficiale» tra il bambino e la lingua scritta coincida con l’inizio della scuola elementare: prima i bambini non possono e non devono sapere nulla e sono tutti indistintamente e ugualmente tabulae rasae rispetto alla lingua scritta fino al giorno in cui ha luogo il rito di iniziazione: l’insegnante fa apparire le lettere! I comportamenti di lettura e scrittura mostrati negli esempi (così come i dati raccolti in questo libro) dimostrano al contrario che esiste, prima di ogni insegnamento istituzionale, una notevolissima competenza sulla lingua scritta, che il bambino si costruisce ascoltando le storie lette dai genitori prima di andare a dormire, giocando a riconoscere le automobili per la strada, guardando la pubblicità in televisione, scrivendo il nome delle cose che disegna, bevendo la Coca Cola, che è tanto buona, comportandosi cioè come un attivo apprendista in un mondo sostanzialmente «segnato» dalla presenza dell’artefatto culturale lingua scritta. II libro è nato dalla convinzione che sia necessario indagare in profondità i tempi e i modi di questo apprendistato cognitivo e linguistico, e che sia contemporaneamente essenziale definire e costruire contesti educativi che rispettino e considerino il contributo che il bambino stesso può dare al suo apprendimento e che permettano una sua significativa socializzazione alle pratiche culturali della lingua scritta. 6 Proprio per questa sua specifica collocazione nell’ambito di una psicologia cognitiva dell’istruzione, il libro è quindi rivolto, oltreché a tutte le persone curiose di bambini e lingua scritta, a studenti e ricercatori di psicologia cognitiva e evolutiva, di psicolinguistica, di pedagogia e di psicologia dell’educazione e a quegli insegnanti che non credono che il bambino sia solo un contenitore vuoto da riempire di conoscenze. Il libro si articola in nove capitoli. Nel primo capitolo vengono presentati i confini teorici e metodologici di una psicologia cognitiva dell’istruzione, come prospettiva che permette sia di studiare i processi di sviluppo/apprendimento del bambino, sia di migliorare «cognitivamente» i contesti in cui ha luogo la sua socializzazione culturale. Nel secondo capitolo viene esposta la rappresentazione del processo di alfabetizzazione in base alla quale ci si è posti le domande a cui il lavoro vuole dare una risposta. Nel capitolo terzo e quarto si descrivono le suggestioni teoriche e le scelte operative che hanno guidato la costruzione e la realizzazione del contesto educativo in cui il lavoro si è svolto. Nel capitolo quinto, sesto, settimo e ottavo si descrivono i processi individuali e sociali di costruzione delle conoscenze sul mondo della lingua scritta, sia prima che dopo l’apprendimento del codice alfabetico: percorsi longitudinali di costruzione di una lingua scritta alfabetica, rapporto tra lettura e scrittura, regole di costruzione della scrittura, l’apparire delle convenzionalità ortografiche. Infine, nel capitolo nono, si sintetizzano i risultati ottenuti e si indicano i problemi ancora aperti per arrivare a conoscere tutto il percorso che il bambino deve compiere per diventare un membro alfabetizzato della società in cui vive. La struttura finale del libro, delle cui manchevolezze rimango naturalmente unica responsabile, risente di molte «sollecitazioni» teoriche e soprattutto personali: essenziale è stato il rapporto con Clotilde Pontecorvo che desidero ringraziare per i suggerimenti indispensabili all’elaborazione, organizzazione e realizzazione della ricerca alla base di questo libro. Un particolare ringraziamento va a Emilia Ferreiro, alla quale la distanza e le difficoltà di comunicazione non hanno tuttavia impedito di darmi costantemente idee e suggerimenti per interpretare i dati raccolti tenendo sempre presente «il punto di vista» del bambino. Inoltre sono debitrice a Lucia Lumbelli per il prezioso sostegno e incoraggiamento alla realizzazione del lavoro e a pubblicare questo libro. Altrettanto essenziale è stato il rapporto con i bambini e le insegnanti con cui ho lavorato. Le insegnanti mi hanno aiutato a rendere più «pratiche» le 7 mie idee e più «teoriche» le mie conoscenze. I bambini - nella loro diversità - mi hanno aiutato a capire i problemi che devono affrontare nell’imparare a dare un senso al mondo della lingua scritta, obbligandomi a «decentrarmi» per riconsiderare la sua natura arbitraria e convenzionale: i loro scherzi, le loro ipotesi e le loro idee hanno reso inoltre molto divertente e affascinante lo svolgimento di questo lavoro.
Gli apprendisti della lingua scritta / Zucchermaglio, Cristina. - STAMPA. - (1991).
Gli apprendisti della lingua scritta
ZUCCHERMAGLIO, Cristina
1991
Abstract
5 INTRODUZIONE Un bambino di cinque anni vede una automobile parcheggiata e indicandone la marca dice: «Questa è una Fiat». Un bambino di sei anni disegna un gatto, scrive GO e legge, facendo corrispondere una sillaba ad ogni lettera, /gat/to/. Un bambino di quattro anni disegna un treno, scrive OIRFFETORTFIE e dice: «Ho fatto una scritta lunga perché il treno è molto lungo». Un bambino di tre anni passa davanti ad un cartellone pubblicitario e, indicandone la scritta, dice: «Coca Cola». Un bambino di quattro anni corregge la mamma che gli sta iniziando a raccontare una storia, dicendo: «No, prima devi dire /c’era una volta/ perché tutte le storie iniziano con /c’era una volta/!». Normalmente si crede che il primo contatto «ufficiale» tra il bambino e la lingua scritta coincida con l’inizio della scuola elementare: prima i bambini non possono e non devono sapere nulla e sono tutti indistintamente e ugualmente tabulae rasae rispetto alla lingua scritta fino al giorno in cui ha luogo il rito di iniziazione: l’insegnante fa apparire le lettere! I comportamenti di lettura e scrittura mostrati negli esempi (così come i dati raccolti in questo libro) dimostrano al contrario che esiste, prima di ogni insegnamento istituzionale, una notevolissima competenza sulla lingua scritta, che il bambino si costruisce ascoltando le storie lette dai genitori prima di andare a dormire, giocando a riconoscere le automobili per la strada, guardando la pubblicità in televisione, scrivendo il nome delle cose che disegna, bevendo la Coca Cola, che è tanto buona, comportandosi cioè come un attivo apprendista in un mondo sostanzialmente «segnato» dalla presenza dell’artefatto culturale lingua scritta. II libro è nato dalla convinzione che sia necessario indagare in profondità i tempi e i modi di questo apprendistato cognitivo e linguistico, e che sia contemporaneamente essenziale definire e costruire contesti educativi che rispettino e considerino il contributo che il bambino stesso può dare al suo apprendimento e che permettano una sua significativa socializzazione alle pratiche culturali della lingua scritta. 6 Proprio per questa sua specifica collocazione nell’ambito di una psicologia cognitiva dell’istruzione, il libro è quindi rivolto, oltreché a tutte le persone curiose di bambini e lingua scritta, a studenti e ricercatori di psicologia cognitiva e evolutiva, di psicolinguistica, di pedagogia e di psicologia dell’educazione e a quegli insegnanti che non credono che il bambino sia solo un contenitore vuoto da riempire di conoscenze. Il libro si articola in nove capitoli. Nel primo capitolo vengono presentati i confini teorici e metodologici di una psicologia cognitiva dell’istruzione, come prospettiva che permette sia di studiare i processi di sviluppo/apprendimento del bambino, sia di migliorare «cognitivamente» i contesti in cui ha luogo la sua socializzazione culturale. Nel secondo capitolo viene esposta la rappresentazione del processo di alfabetizzazione in base alla quale ci si è posti le domande a cui il lavoro vuole dare una risposta. Nel capitolo terzo e quarto si descrivono le suggestioni teoriche e le scelte operative che hanno guidato la costruzione e la realizzazione del contesto educativo in cui il lavoro si è svolto. Nel capitolo quinto, sesto, settimo e ottavo si descrivono i processi individuali e sociali di costruzione delle conoscenze sul mondo della lingua scritta, sia prima che dopo l’apprendimento del codice alfabetico: percorsi longitudinali di costruzione di una lingua scritta alfabetica, rapporto tra lettura e scrittura, regole di costruzione della scrittura, l’apparire delle convenzionalità ortografiche. Infine, nel capitolo nono, si sintetizzano i risultati ottenuti e si indicano i problemi ancora aperti per arrivare a conoscere tutto il percorso che il bambino deve compiere per diventare un membro alfabetizzato della società in cui vive. La struttura finale del libro, delle cui manchevolezze rimango naturalmente unica responsabile, risente di molte «sollecitazioni» teoriche e soprattutto personali: essenziale è stato il rapporto con Clotilde Pontecorvo che desidero ringraziare per i suggerimenti indispensabili all’elaborazione, organizzazione e realizzazione della ricerca alla base di questo libro. Un particolare ringraziamento va a Emilia Ferreiro, alla quale la distanza e le difficoltà di comunicazione non hanno tuttavia impedito di darmi costantemente idee e suggerimenti per interpretare i dati raccolti tenendo sempre presente «il punto di vista» del bambino. Inoltre sono debitrice a Lucia Lumbelli per il prezioso sostegno e incoraggiamento alla realizzazione del lavoro e a pubblicare questo libro. Altrettanto essenziale è stato il rapporto con i bambini e le insegnanti con cui ho lavorato. Le insegnanti mi hanno aiutato a rendere più «pratiche» le 7 mie idee e più «teoriche» le mie conoscenze. I bambini - nella loro diversità - mi hanno aiutato a capire i problemi che devono affrontare nell’imparare a dare un senso al mondo della lingua scritta, obbligandomi a «decentrarmi» per riconsiderare la sua natura arbitraria e convenzionale: i loro scherzi, le loro ipotesi e le loro idee hanno reso inoltre molto divertente e affascinante lo svolgimento di questo lavoro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.