Il bisogno di una casa e di una comunità sociale in cui riconoscersi affligge la vita di milioni di persone e priva di valori e di senso la città contemporanea. Ai progettisti impone l’urgenza di ideare e codificare nuove strategie abitative capaci di dare una risposta alle necessità di alloggio e di condivisione delle fasce sociali più fragili, rese sempre più deboli dalla condizione di emarginazione, spesso esclusione, dalla società. Le numerose e ripetute situazioni di occupazione di edifici dismessi nati per usi non abitativi (depositi, cinema, scuole, …) offrono lo spunto per riflettere sull’opportunità di affrontare il problema dell’abitare con una logica forse insolita ma non nuova: ciò che serve non è costruire altre residenze, ma cercare di capire come abitare uno spazio che “casa non è”. Accade a volte che il problema stesso sviluppa una situazione che può avviare ad una possibile soluzione. Sembrano essere queste le premesse che hanno portato, nel 2008, il Dipartimento Promozione, Sviluppo e Riqualificazione delle Periferie del Comune di Roma, ad individuare undici edifici dismessi da “rigenerare” con il fine di sopperire all’emergenza abitativa. Il progetto, che prendeva il nome di Autocostruzione e autorecupero a fini residenziali, mirava a ripristinare ambiti di legalità in stabili occupati, coinvolgendo la stessa popolazione svantaggiata. Il contributo che queste esperienze ci consegnano sta nel riconoscimento di tre principi sostanziali dell’architettura, spesso ignorati nell’edilizia residenziale convenzionale: il potenziale sociale dell’abitare che, attraverso la costruzione dell’habitat, favorisce lo sviluppo di dinamiche d’integrazione e interazione fra gli abitanti; l’irrinunciabilità alla sperimentazione, necessaria per attuare una progettazione attenta ai bisogni contemporanei della società; l’identificazione del costruito dismesso come patrimonio sia immobiliare, sia urbano per rigenerare porzioni degradate di città, sia sociale per dare avvio nuovi processi d’inclusione sociale. Partendo da queste considerazioni il rapporto di ricerca proposto intende illustrare - a più di dieci anni dalla Legge della Regione Lazio n. 55/1998 sull’ Autorecupero del patrimonio immobiliare - la situazione attuale dei casi più significativi a Roma conclusi e comprendere come lo spazio architettonico esistente, ora trasformato, abbia assorbito i nuovi usi residenziali. Il saggio invita ad una riflessione su come le abitazioni che hanno ereditato le ampie metrature disponibili le abbiano trasformate in spazi comunitari e se questo processo spontaneo possa divenire il motore per la definizione di inedite forme di abitare condiviso.
Imparando dalle occupazioni informali. Progetti pilota di autocostruzione e autorecupero a fini residenziali a Roma / Rosmini, Emilia; Percoco, Maura; Argenti, Maria. - STAMPA. - (2016), pp. 514-521. (Intervento presentato al convegno II Congreso Internacional de Habitação Coletiva Sustentável tenutosi a São Paulo nel aprile 2016).
Imparando dalle occupazioni informali. Progetti pilota di autocostruzione e autorecupero a fini residenziali a Roma
ROSMINI, EMILIA;PERCOCO, Maura;ARGENTI, Maria
2016
Abstract
Il bisogno di una casa e di una comunità sociale in cui riconoscersi affligge la vita di milioni di persone e priva di valori e di senso la città contemporanea. Ai progettisti impone l’urgenza di ideare e codificare nuove strategie abitative capaci di dare una risposta alle necessità di alloggio e di condivisione delle fasce sociali più fragili, rese sempre più deboli dalla condizione di emarginazione, spesso esclusione, dalla società. Le numerose e ripetute situazioni di occupazione di edifici dismessi nati per usi non abitativi (depositi, cinema, scuole, …) offrono lo spunto per riflettere sull’opportunità di affrontare il problema dell’abitare con una logica forse insolita ma non nuova: ciò che serve non è costruire altre residenze, ma cercare di capire come abitare uno spazio che “casa non è”. Accade a volte che il problema stesso sviluppa una situazione che può avviare ad una possibile soluzione. Sembrano essere queste le premesse che hanno portato, nel 2008, il Dipartimento Promozione, Sviluppo e Riqualificazione delle Periferie del Comune di Roma, ad individuare undici edifici dismessi da “rigenerare” con il fine di sopperire all’emergenza abitativa. Il progetto, che prendeva il nome di Autocostruzione e autorecupero a fini residenziali, mirava a ripristinare ambiti di legalità in stabili occupati, coinvolgendo la stessa popolazione svantaggiata. Il contributo che queste esperienze ci consegnano sta nel riconoscimento di tre principi sostanziali dell’architettura, spesso ignorati nell’edilizia residenziale convenzionale: il potenziale sociale dell’abitare che, attraverso la costruzione dell’habitat, favorisce lo sviluppo di dinamiche d’integrazione e interazione fra gli abitanti; l’irrinunciabilità alla sperimentazione, necessaria per attuare una progettazione attenta ai bisogni contemporanei della società; l’identificazione del costruito dismesso come patrimonio sia immobiliare, sia urbano per rigenerare porzioni degradate di città, sia sociale per dare avvio nuovi processi d’inclusione sociale. Partendo da queste considerazioni il rapporto di ricerca proposto intende illustrare - a più di dieci anni dalla Legge della Regione Lazio n. 55/1998 sull’ Autorecupero del patrimonio immobiliare - la situazione attuale dei casi più significativi a Roma conclusi e comprendere come lo spazio architettonico esistente, ora trasformato, abbia assorbito i nuovi usi residenziali. Il saggio invita ad una riflessione su come le abitazioni che hanno ereditato le ampie metrature disponibili le abbiano trasformate in spazi comunitari e se questo processo spontaneo possa divenire il motore per la definizione di inedite forme di abitare condiviso.File | Dimensione | Formato | |
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