L’attuale processo di riscaldamento globale, guidato dalla costante e crescente emissione di gas serra, come l’anidride carbonica e il metano, è uno dei temi più discussi sia in ambito scientifico, sia a livello governativo. In questi anni, gli studi condotti mediante la cooperazione tra Università, centri di ricerca, servizi geologici e compagnie petrolifere sulla cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS) hanno ottenuto risultati incoraggianti, che mettono in evidenza il fatto che, sebbene il CCS sia un processo complesso, esso rappresenta probabilmente l’unica soluzione rilevante per ridurre le emissioni di gas serra in atmosfera nel breve termine, considerando sia i costi che la tecnologia disponibile. Già nel 2005, l’IPCC identificava lo stoccaggio di CO2 come una delle tecnologie capaci di mitigare il cambiamento climatico (EPA, 2010). La tecnologia CCS consiste nella cattura dell’anidride carbonica da impianti industriali e/o di produzione di energia elettrica e nel conseguente trasporto e stoccaggio in formazioni geologiche profonde. La CO2 rimane intrappolata per un lungo periodo di tempo a causa di processi fisici e geochimici che avvengono all’interno della formazione. Nei principali siti industriali, come Sleipner, ma anche in quelli pilota, l’anidride carbonica viene solitamente iniettata in reservoir costituiti da rocce porose, come arenarie, con un caprock di tipo argilloso. La scelta di questo tipo di roccia-serbatoio è dettata principalmente dalla facilità di selezione del sito e da criteri di capacità di stoccaggio, nonché da criteri economici. D’altra parte, però, esistono anche i reservoir carbonatici fratturati, ben noti in campo petrolifero, ma il cui utilizzo ai fini dello stoccaggio di CO2 è ancora limitato. Infatti, essi sono caratterizzati da una disomogeneità nella distribuzione della porosità e permeabilità, legata alla presenza di faglie e/o fratture. Inoltre, nelle rocce carbonatiche vi è anche la difficoltà di prevedere i processi geochimici legati all’interazione dell’anidride carbonica con la roccia stessa. Nonostante le difficoltà che possono incorrere durante la fase di selezione e caratterizzazione del sito, l’utilizzo di questi reservoir consentirebbe di aumentare la capacità volumetrica di stoccaggio a livello globale. Esempi di questi tipi di reservoir sono riconoscibili anche in Italia, in diversi scenari geologico-strutturali. Infatti, nell’avanfossa adriatica sono state identificate diverse strutture della Piattaforma apula sepolte al di sotto della coltre silico-clastica plio-pleistocenica, spesso sede di reservoir a gas e/o ad olio, ben studiate dall’industria petrolifera e che attualmente potrebbero essere oggetto di un potenziale sito CCS. Oltre alla fascia periadritica, di notevole interesse risulta essere anche il bacino del Sulcis in Sardegna, nel quale la successione paleozoica è sovrastata da quella cenozoica, costituita da calcari e letti di carbone (sfruttati nella miniera di Nuraxi Figus). La posizione strategica e le caratteristiche geologiche del sito lo rendono ideale per lo sviluppo del primo impianto di cattura e stoccaggio di anidride carbonica in Italia. La caratterizzazione di un reservoir carbonatico fratturato passa attraverso un’accurata definizione delle caratteristiche petro-fisiche e geomeccaniche dei carbonati, l’individuazione di lineamenti tettonici sia in profondità, che in affioramento, la valutazione del tipo di copertura del reservoir e valutazione della possibilità di leakage di CO2 dal reservoir attraverso l’individuazione delle vie di migrazione preferenziali dei gas. Poiché la caratterizzazione di un reservoir è un processo complesso, spesso è essenziale utilizzare degli analoghi naturali, ovvero di sistemi che presentano delle caratteristiche geologiche del tutto simili a quelle che ci si aspetta di trovare nel sottosuolo. In questo lavoro, ci si propone di elaborare dei modelli geologici di reservoir carbonatici, mediante l’interpretazione di dati sismici, e di attribuire a ciascuno di essi una densità di fratturazione, in modo da ricreare un Discrete Fracture Network. I modelli verranno poi integrati con i dati derivanti dal rilevamento geologico-strutturale e dalla prospezione geochimica dei gas del suolo, per individuare aree a maggiore circolazione dei fluidi, che potrebbero causare una perdita dal reservoir. I modelli realizzati si riferiscono al Bacino del Sulcis, a quello di Vasto e al cosiddetto “Bacino di Forenza”. In questo lavoro sono stati messi a confronti tre reservoir potenziali per lo stoccaggio di anidride carbonica, ubicati in scenari geologici differenti e aventi caratteristiche litologiche differenti. Nonostante la caratterizzazione di reservoir carbonatici fratturati sia complessa, la misura di numerosi parametri in campagna su analoghi naturali permette di riconoscere delle caratteristiche petro-fisiche e geomeccaniche utili alla valutazione del volume disponibile per lo stoccaggio. Inoltre, la correlazione con i dati geochimici permette di identificare i fattori di rischio legate al potenziale leakage di CO2 dal reservoir attraverso vie di fuga preferenziale. Quindi, l’associazione di un rilevamento geologico-strutturale di dettaglio con una prospezione dei gas del suolo areale risulta essere uno strumento efficace per la valutazione dei rischi connessi alle attività di stoccaggio, e di prevenire eventuali incidenti futuri.
I reservoir carbonatici nello stoccaggio geologico dell'anidride carbonica: modellazione e caratterizzazione / Tartarello, MARIA CHIARA. - ELETTRONICO. - (2015 Sep 11).
I reservoir carbonatici nello stoccaggio geologico dell'anidride carbonica: modellazione e caratterizzazione
TARTARELLO, MARIA CHIARA
11/09/2015
Abstract
L’attuale processo di riscaldamento globale, guidato dalla costante e crescente emissione di gas serra, come l’anidride carbonica e il metano, è uno dei temi più discussi sia in ambito scientifico, sia a livello governativo. In questi anni, gli studi condotti mediante la cooperazione tra Università, centri di ricerca, servizi geologici e compagnie petrolifere sulla cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS) hanno ottenuto risultati incoraggianti, che mettono in evidenza il fatto che, sebbene il CCS sia un processo complesso, esso rappresenta probabilmente l’unica soluzione rilevante per ridurre le emissioni di gas serra in atmosfera nel breve termine, considerando sia i costi che la tecnologia disponibile. Già nel 2005, l’IPCC identificava lo stoccaggio di CO2 come una delle tecnologie capaci di mitigare il cambiamento climatico (EPA, 2010). La tecnologia CCS consiste nella cattura dell’anidride carbonica da impianti industriali e/o di produzione di energia elettrica e nel conseguente trasporto e stoccaggio in formazioni geologiche profonde. La CO2 rimane intrappolata per un lungo periodo di tempo a causa di processi fisici e geochimici che avvengono all’interno della formazione. Nei principali siti industriali, come Sleipner, ma anche in quelli pilota, l’anidride carbonica viene solitamente iniettata in reservoir costituiti da rocce porose, come arenarie, con un caprock di tipo argilloso. La scelta di questo tipo di roccia-serbatoio è dettata principalmente dalla facilità di selezione del sito e da criteri di capacità di stoccaggio, nonché da criteri economici. D’altra parte, però, esistono anche i reservoir carbonatici fratturati, ben noti in campo petrolifero, ma il cui utilizzo ai fini dello stoccaggio di CO2 è ancora limitato. Infatti, essi sono caratterizzati da una disomogeneità nella distribuzione della porosità e permeabilità, legata alla presenza di faglie e/o fratture. Inoltre, nelle rocce carbonatiche vi è anche la difficoltà di prevedere i processi geochimici legati all’interazione dell’anidride carbonica con la roccia stessa. Nonostante le difficoltà che possono incorrere durante la fase di selezione e caratterizzazione del sito, l’utilizzo di questi reservoir consentirebbe di aumentare la capacità volumetrica di stoccaggio a livello globale. Esempi di questi tipi di reservoir sono riconoscibili anche in Italia, in diversi scenari geologico-strutturali. Infatti, nell’avanfossa adriatica sono state identificate diverse strutture della Piattaforma apula sepolte al di sotto della coltre silico-clastica plio-pleistocenica, spesso sede di reservoir a gas e/o ad olio, ben studiate dall’industria petrolifera e che attualmente potrebbero essere oggetto di un potenziale sito CCS. Oltre alla fascia periadritica, di notevole interesse risulta essere anche il bacino del Sulcis in Sardegna, nel quale la successione paleozoica è sovrastata da quella cenozoica, costituita da calcari e letti di carbone (sfruttati nella miniera di Nuraxi Figus). La posizione strategica e le caratteristiche geologiche del sito lo rendono ideale per lo sviluppo del primo impianto di cattura e stoccaggio di anidride carbonica in Italia. La caratterizzazione di un reservoir carbonatico fratturato passa attraverso un’accurata definizione delle caratteristiche petro-fisiche e geomeccaniche dei carbonati, l’individuazione di lineamenti tettonici sia in profondità, che in affioramento, la valutazione del tipo di copertura del reservoir e valutazione della possibilità di leakage di CO2 dal reservoir attraverso l’individuazione delle vie di migrazione preferenziali dei gas. Poiché la caratterizzazione di un reservoir è un processo complesso, spesso è essenziale utilizzare degli analoghi naturali, ovvero di sistemi che presentano delle caratteristiche geologiche del tutto simili a quelle che ci si aspetta di trovare nel sottosuolo. In questo lavoro, ci si propone di elaborare dei modelli geologici di reservoir carbonatici, mediante l’interpretazione di dati sismici, e di attribuire a ciascuno di essi una densità di fratturazione, in modo da ricreare un Discrete Fracture Network. I modelli verranno poi integrati con i dati derivanti dal rilevamento geologico-strutturale e dalla prospezione geochimica dei gas del suolo, per individuare aree a maggiore circolazione dei fluidi, che potrebbero causare una perdita dal reservoir. I modelli realizzati si riferiscono al Bacino del Sulcis, a quello di Vasto e al cosiddetto “Bacino di Forenza”. In questo lavoro sono stati messi a confronti tre reservoir potenziali per lo stoccaggio di anidride carbonica, ubicati in scenari geologici differenti e aventi caratteristiche litologiche differenti. Nonostante la caratterizzazione di reservoir carbonatici fratturati sia complessa, la misura di numerosi parametri in campagna su analoghi naturali permette di riconoscere delle caratteristiche petro-fisiche e geomeccaniche utili alla valutazione del volume disponibile per lo stoccaggio. Inoltre, la correlazione con i dati geochimici permette di identificare i fattori di rischio legate al potenziale leakage di CO2 dal reservoir attraverso vie di fuga preferenziale. Quindi, l’associazione di un rilevamento geologico-strutturale di dettaglio con una prospezione dei gas del suolo areale risulta essere uno strumento efficace per la valutazione dei rischi connessi alle attività di stoccaggio, e di prevenire eventuali incidenti futuri.File | Dimensione | Formato | |
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