La trattazione ha come fine ultimo quello di evidenziare l’importanza che i due "modelli" del partenariato pubblico privato e dell’in house providing rivestono nell’attuale sistema della gestione dei servizi pubblici. L’intento è, pertanto, quello di fornire un quadro quanto più esaustivo del panorama normativo e giurisprudenziale della complessa opera di codificazione in relazione a un tema particolarmente articolato quale quello delle società pubbliche. A tal fine si ha cura di evidenziare, in primo luogo, come il successo delle diverse configurazioni di PPP sia da rinvenirsi nella necessità di un contenimento della spesa pubblica a livello locale e nazionale (obbligato dai vincoli all'indebitamento, dai vincoli di bilancio e dalle disposizioni delle recenti leggi finanziarie). Ciò ha spinto molti enti a ricorrere a fonti e strumenti di finanziamento, gestione e fornitura di servizi pubblici, alternativi a quelli che nella storia hanno caratterizzato il settore pubblico (ossia trasferimenti dal governo centrale ed indebitamento). É andata, infatti, sempre crescendo l'esigenza di adottare modelli di gestione dei servizi pubblici in grado di coinvolgere risorse non pubbliche in un'ottica di sussidiarietà verso una collaborazione più intensa con le imprese private. Ed è proprio in questo scenario che il partenariato pubblico-privato (meglio noto con l’acronimo PPP) rappresenta un valido strumento volto al conseguimento di soluzioni applicative e gestionali in grado di rendere più efficiente l'appesantita macchina dello Stato e di servire alla modernizzazione dell'amministrazione. Per quanto attiene invece all’in house providing – la seconda modalità citata di erogazione dei servizi pubblici – avremo modo di evidenziare come il Legislatore italiano, a parere dello scrivente, guardi tali istituto con una certa diffidenza, ciò ad onta dei differenti dettami europei. Nel primo capitolo, pertanto, si fornisce una lettura di questi due “sistemi” alla luce delle fonti del diritto europeo - tra le quali le c.d. “nuove direttive appalti e concessioni” del 2014 - al fine di evidenziare le profonde differenze che caratterizzano tali modelli gestionali. Più nello specifico, il capitolo I è incentrato sullo studio dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale a livello comunitario del PPP e dell'in house fino alla approvazione della direttiva 2014/25/UE sugli appalti nei cosiddetti “settori speciali” (acqua, energia, trasporti e servizi postali), della direttiva sugli appalti pubblici nei settori ordinari 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 e della direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessioni. Nel Capitolo II e nel Capitolo III i due modelli di PPP e di in house providing vengono osservati attraverso la lente del diritto comparato. Nel dettaglio la disamina si incentra sul raffronto tra il sistema inglese e quello italiano al fine di evidenziarne le differenze e i punti di contatto. Per quanto riguarda, in particolare il sistema di common law inglese si sottolinea, in primo luogo, l'assenza di una nozione astratta di servizio pubblico. Infatti all’espressione public service sono riferibili, secondo i principi dell’ordinamento inglese, tutte le attività attribuite ed esercitate dai pubblici poteri. Vi rientrano, pertanto, non solo le attività economico - imprenditoriali ma altresì quelle a carattere sociale e persino amministrativo. Al riguardo, la dottrina si è da sempre concentrata sugli elementi idonei a qualificare un determinato servizio come “pubblico” in modo tale da poterlo distinguere da quello privato, facendo leva non su un’analisi delle attività oggetto del servizio, dei fini perseguiti o della natura del gestore, ma bensì, sui procedimenti di istituzione e sul livello di allocazione delle decisioni che giustificano e spiegano l’esistenza obiettiva del servizio nella realtà economico sociale. Ciò premesso, si evidenzia che la tradizione dell’affidamento in house, trova la sua genesi non nelle fonti giurisprudenziali europee citate ma proprio nell’ordinamento britannico. A partire dagli anni ’80, infatti, nel sistema di common law inglese si è fatto ampio ricorso al fenomeno della devoluzione al settore privato di attività proprie della pubblica amministrazione. Il fine di tale "esternalizzazione", denominata dalla dottrina britannica contractualisation, era individuato nella necessità di favorire la gestione indiretta delle funzioni e dei servizi liberando, così, l’amministrazione dall’obbligo di esercitare direttamente gli stessi. Le autorità locali britanniche erano, quindi, solite provvedere alla maggior parte dei servizi direttamente attraverso l'in house providing, a mezzo, cioè, di proprie unità funzionali, dette, rispettivamente Direct Labour Organisation (DLO) qualora il servizio consistesse nella realizzazione o manutenzione di un’opera, e Direct Service Organisation (DSO) qualora consistesse nella prestazione di un servizio. Con l’approvazione di diversi Acts, si è passati, tuttavia, da un uso generalizzato dell’in house, ad un sistema in cui le autorità pubbliche, prima di affidare il servizio alla propria unità organizzativa, erano obbligate ad attivare la procedura di Compulsory Competitive Tendering (meglio nota con l’acronimo CCT) al superamento di una determinata soglia di valore. In base a tale procedura introdotta dal partito conservatore le autonomie locali per molti servizi pubblici gestiti, ricorrevano ad una gara per sollecitare offerte da parte di soggetti esterni posti in diretta competizione con le strutture interne. Tramite tale meccanismo si otteneva, quindi, l’erogazione del servizio a condizioni più convenienti grazie alle conseguenze delle pressioni competitive. Tale sistema è rimasto in vigore fino alla sua abolizione da parte del partito laburista, che, non appena salito al Governo, ha sostituito il regime del Compulsory Competitive Tendering con le logiche ed i principi che vanno sotto il nome di Best Value, preannunciati dapprima con il documento del 1997 Modernising Local Governement: Improving Local Services through Best Value – e poi con gli esperimenti sul campo condotti su alcune amministrazioni locali specificatamente esentate dall’applicazione del Competitive Tendering. Il BV è stato di seguito tradotto in diritto positivo dal Local Governement Act 1999, che ha sancito la cessazione del precedente sistema con effetto dal gennaio 2000, dopo due anni di sperimentazione. Da questo primo nucleo di semplici istruzioni contenute in apposite guide lines si svilupparono le forme recenti del c.d. collaborative procurement consistenti in un appalto integrato con vari stadi di confronto collaborativo pre e post contrattuale tra l’impresa aggiudicataria e la PA committente. Si sono sviluppate poi forme di partnerariati strutturati fondati su programmi di lungo periodo operanti tramite la selezione ab origine di un certo numero di imprese (da 9 a 12) destinate, negli anni, a candidarsi nelle procedure di affidamenti o accordi-quadro basati su principio del collaborative procurement. Successivamente all’analisi dei due modelli gestionali nel diritto europeo e nel diritto di common law, nel Capitolo III si prosegue con la trattazione del tema alla luce della normativa e della giurisprudenza nazionale. Come noto, il Legislatore italiano si è molto occupato dell’argomento nel corso degli ultimi anni intervenendo al riguardo con molteplici riforme. In dettaglio, nella parte della ricerca dedicata al sistema di diritto interno, si procede con l’analisi della c.d. “società a partecipazione pubblica” che rappresenta la linea evolutiva di una marcata tradizione storica e costituisce una parte consistente del sistema economico nazionale. Per meglio comprendere le ragioni di tutte le novelle intervenute si ritiene opportuno operare una ricostruzione evolutiva partendo dagli albori sino alle ultimissime riforme normative e prassi giurisprudenziali. Fatte le opportune premesse storiche nonché terminologiche si procede con l’analisi della disciplina legislativa nazionale delle varie configurazioni di PPP ponendole in comparazione con l’opposto istituto dell’organismo in house. Dopo aver inquadrato i due modelli societari nei diversi sistemi, nel Capitolo IV si forniscono delle delucidazioni in relazione alla soggezione alle procedure fallimentari di una società pubblica. Infine, il Capitolo V è dedicato alle Energy Services Companies, meglio conosciute con l’acronimo inglese ESCo le quali rappresentano una figura nata negli Stati Uniti a metà degli anni ’70 del secolo scorso. Più in particolare, le società di servizi energetici, costituite a seguito della guerra del Kippur dell’ottobre del 1973, hanno come compito principale quello di garantire ai propri clienti un uso più efficiente dell’energia. A livello comparatistico si confrontano, in primis i due recenti schemi operativi americani coinvolti nel finanziamento dell'efficienza energetica degli edifici della pubblica amministrazione e dei privati. Trattasi in particolare del SEF (Sustainable Energy Financing) dello Stato del Delaware e del PACE (Property Assessed Clean Energy) dello Stato della California (Berkeley) disponibili in 31 Stati americani. L'analisi termina con una disamina dell’esperienza europea nel settore dei servizi energetici ed una esegesi sul recepimento della normativa comunitaria da parte del legislatore italiano soprattutto in relazione allo studio dei casi in cui i servizi prodotti da una ESCo vengano offerti ad una Pubblica Amministrazione sia sotto forma di consulenza che di interventi volti alla realizzazione di elevati standard di efficienza energetica. Un ulteriore profilo di analisi riguarda la legittimità della costituzione di una ESCO partecipata da un ente pubblico locale alla luce della nota sentenza del Tar Lombardia n. 2911/2012 (la quale ha statuito come l’efficientamento energetico abbia natura di attività strumentale e non di servizio pubblico) e della evoluzione della normativa di settore.
IL PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO E L’IN HOUSE PROVIDING. ESPERIENZE A CONFRONTO / Meringolo, Domenico. - ELETTRONICO. - (2015).
IL PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO E L’IN HOUSE PROVIDING. ESPERIENZE A CONFRONTO
MERINGOLO, DOMENICO
01/01/2015
Abstract
La trattazione ha come fine ultimo quello di evidenziare l’importanza che i due "modelli" del partenariato pubblico privato e dell’in house providing rivestono nell’attuale sistema della gestione dei servizi pubblici. L’intento è, pertanto, quello di fornire un quadro quanto più esaustivo del panorama normativo e giurisprudenziale della complessa opera di codificazione in relazione a un tema particolarmente articolato quale quello delle società pubbliche. A tal fine si ha cura di evidenziare, in primo luogo, come il successo delle diverse configurazioni di PPP sia da rinvenirsi nella necessità di un contenimento della spesa pubblica a livello locale e nazionale (obbligato dai vincoli all'indebitamento, dai vincoli di bilancio e dalle disposizioni delle recenti leggi finanziarie). Ciò ha spinto molti enti a ricorrere a fonti e strumenti di finanziamento, gestione e fornitura di servizi pubblici, alternativi a quelli che nella storia hanno caratterizzato il settore pubblico (ossia trasferimenti dal governo centrale ed indebitamento). É andata, infatti, sempre crescendo l'esigenza di adottare modelli di gestione dei servizi pubblici in grado di coinvolgere risorse non pubbliche in un'ottica di sussidiarietà verso una collaborazione più intensa con le imprese private. Ed è proprio in questo scenario che il partenariato pubblico-privato (meglio noto con l’acronimo PPP) rappresenta un valido strumento volto al conseguimento di soluzioni applicative e gestionali in grado di rendere più efficiente l'appesantita macchina dello Stato e di servire alla modernizzazione dell'amministrazione. Per quanto attiene invece all’in house providing – la seconda modalità citata di erogazione dei servizi pubblici – avremo modo di evidenziare come il Legislatore italiano, a parere dello scrivente, guardi tali istituto con una certa diffidenza, ciò ad onta dei differenti dettami europei. Nel primo capitolo, pertanto, si fornisce una lettura di questi due “sistemi” alla luce delle fonti del diritto europeo - tra le quali le c.d. “nuove direttive appalti e concessioni” del 2014 - al fine di evidenziare le profonde differenze che caratterizzano tali modelli gestionali. Più nello specifico, il capitolo I è incentrato sullo studio dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale a livello comunitario del PPP e dell'in house fino alla approvazione della direttiva 2014/25/UE sugli appalti nei cosiddetti “settori speciali” (acqua, energia, trasporti e servizi postali), della direttiva sugli appalti pubblici nei settori ordinari 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 e della direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessioni. Nel Capitolo II e nel Capitolo III i due modelli di PPP e di in house providing vengono osservati attraverso la lente del diritto comparato. Nel dettaglio la disamina si incentra sul raffronto tra il sistema inglese e quello italiano al fine di evidenziarne le differenze e i punti di contatto. Per quanto riguarda, in particolare il sistema di common law inglese si sottolinea, in primo luogo, l'assenza di una nozione astratta di servizio pubblico. Infatti all’espressione public service sono riferibili, secondo i principi dell’ordinamento inglese, tutte le attività attribuite ed esercitate dai pubblici poteri. Vi rientrano, pertanto, non solo le attività economico - imprenditoriali ma altresì quelle a carattere sociale e persino amministrativo. Al riguardo, la dottrina si è da sempre concentrata sugli elementi idonei a qualificare un determinato servizio come “pubblico” in modo tale da poterlo distinguere da quello privato, facendo leva non su un’analisi delle attività oggetto del servizio, dei fini perseguiti o della natura del gestore, ma bensì, sui procedimenti di istituzione e sul livello di allocazione delle decisioni che giustificano e spiegano l’esistenza obiettiva del servizio nella realtà economico sociale. Ciò premesso, si evidenzia che la tradizione dell’affidamento in house, trova la sua genesi non nelle fonti giurisprudenziali europee citate ma proprio nell’ordinamento britannico. A partire dagli anni ’80, infatti, nel sistema di common law inglese si è fatto ampio ricorso al fenomeno della devoluzione al settore privato di attività proprie della pubblica amministrazione. Il fine di tale "esternalizzazione", denominata dalla dottrina britannica contractualisation, era individuato nella necessità di favorire la gestione indiretta delle funzioni e dei servizi liberando, così, l’amministrazione dall’obbligo di esercitare direttamente gli stessi. Le autorità locali britanniche erano, quindi, solite provvedere alla maggior parte dei servizi direttamente attraverso l'in house providing, a mezzo, cioè, di proprie unità funzionali, dette, rispettivamente Direct Labour Organisation (DLO) qualora il servizio consistesse nella realizzazione o manutenzione di un’opera, e Direct Service Organisation (DSO) qualora consistesse nella prestazione di un servizio. Con l’approvazione di diversi Acts, si è passati, tuttavia, da un uso generalizzato dell’in house, ad un sistema in cui le autorità pubbliche, prima di affidare il servizio alla propria unità organizzativa, erano obbligate ad attivare la procedura di Compulsory Competitive Tendering (meglio nota con l’acronimo CCT) al superamento di una determinata soglia di valore. In base a tale procedura introdotta dal partito conservatore le autonomie locali per molti servizi pubblici gestiti, ricorrevano ad una gara per sollecitare offerte da parte di soggetti esterni posti in diretta competizione con le strutture interne. Tramite tale meccanismo si otteneva, quindi, l’erogazione del servizio a condizioni più convenienti grazie alle conseguenze delle pressioni competitive. Tale sistema è rimasto in vigore fino alla sua abolizione da parte del partito laburista, che, non appena salito al Governo, ha sostituito il regime del Compulsory Competitive Tendering con le logiche ed i principi che vanno sotto il nome di Best Value, preannunciati dapprima con il documento del 1997 Modernising Local Governement: Improving Local Services through Best Value – e poi con gli esperimenti sul campo condotti su alcune amministrazioni locali specificatamente esentate dall’applicazione del Competitive Tendering. Il BV è stato di seguito tradotto in diritto positivo dal Local Governement Act 1999, che ha sancito la cessazione del precedente sistema con effetto dal gennaio 2000, dopo due anni di sperimentazione. Da questo primo nucleo di semplici istruzioni contenute in apposite guide lines si svilupparono le forme recenti del c.d. collaborative procurement consistenti in un appalto integrato con vari stadi di confronto collaborativo pre e post contrattuale tra l’impresa aggiudicataria e la PA committente. Si sono sviluppate poi forme di partnerariati strutturati fondati su programmi di lungo periodo operanti tramite la selezione ab origine di un certo numero di imprese (da 9 a 12) destinate, negli anni, a candidarsi nelle procedure di affidamenti o accordi-quadro basati su principio del collaborative procurement. Successivamente all’analisi dei due modelli gestionali nel diritto europeo e nel diritto di common law, nel Capitolo III si prosegue con la trattazione del tema alla luce della normativa e della giurisprudenza nazionale. Come noto, il Legislatore italiano si è molto occupato dell’argomento nel corso degli ultimi anni intervenendo al riguardo con molteplici riforme. In dettaglio, nella parte della ricerca dedicata al sistema di diritto interno, si procede con l’analisi della c.d. “società a partecipazione pubblica” che rappresenta la linea evolutiva di una marcata tradizione storica e costituisce una parte consistente del sistema economico nazionale. Per meglio comprendere le ragioni di tutte le novelle intervenute si ritiene opportuno operare una ricostruzione evolutiva partendo dagli albori sino alle ultimissime riforme normative e prassi giurisprudenziali. Fatte le opportune premesse storiche nonché terminologiche si procede con l’analisi della disciplina legislativa nazionale delle varie configurazioni di PPP ponendole in comparazione con l’opposto istituto dell’organismo in house. Dopo aver inquadrato i due modelli societari nei diversi sistemi, nel Capitolo IV si forniscono delle delucidazioni in relazione alla soggezione alle procedure fallimentari di una società pubblica. Infine, il Capitolo V è dedicato alle Energy Services Companies, meglio conosciute con l’acronimo inglese ESCo le quali rappresentano una figura nata negli Stati Uniti a metà degli anni ’70 del secolo scorso. Più in particolare, le società di servizi energetici, costituite a seguito della guerra del Kippur dell’ottobre del 1973, hanno come compito principale quello di garantire ai propri clienti un uso più efficiente dell’energia. A livello comparatistico si confrontano, in primis i due recenti schemi operativi americani coinvolti nel finanziamento dell'efficienza energetica degli edifici della pubblica amministrazione e dei privati. Trattasi in particolare del SEF (Sustainable Energy Financing) dello Stato del Delaware e del PACE (Property Assessed Clean Energy) dello Stato della California (Berkeley) disponibili in 31 Stati americani. L'analisi termina con una disamina dell’esperienza europea nel settore dei servizi energetici ed una esegesi sul recepimento della normativa comunitaria da parte del legislatore italiano soprattutto in relazione allo studio dei casi in cui i servizi prodotti da una ESCo vengano offerti ad una Pubblica Amministrazione sia sotto forma di consulenza che di interventi volti alla realizzazione di elevati standard di efficienza energetica. Un ulteriore profilo di analisi riguarda la legittimità della costituzione di una ESCO partecipata da un ente pubblico locale alla luce della nota sentenza del Tar Lombardia n. 2911/2012 (la quale ha statuito come l’efficientamento energetico abbia natura di attività strumentale e non di servizio pubblico) e della evoluzione della normativa di settore.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


