I Centri Antiviolenza (CA), che accolgono e supportano donne che hanno subito violenze psicologiche, fisiche o sessuali all’interno del rapporto di coppia o delle relazioni parentali, non rappresentano semplicemente spazi protetti nei quali trovare risposta a bisogni alloggiativi e materiali, secondo una logica di mero assistenzialismo, quanto piuttosto luoghi nei quali le donne, narrando le proprie esperienze traumatiche, si calano fin da subito in un percorso di rielaborazione del vissuto di violenza e di riappropriazione del proprio sé. Il presente contributo mira ad esplorare quanto sia fecondo, dal punto di vista delle operatrici, integrare ricerca biografica e intervento nell’ambito dei CA, nella prospettiva di concepire l’apporto della narrazione guidata come implementazione della qualità dei servizi già offerti. Al fine di vagliare l’ipotesi prospettata di integrazione tra la figura di operatrice e di ricercatrice, si è organizzato un focus group con otto operatrici, con diverso profilo disciplinare, che prestassero sevizio da almeno un anno nel CA Maree (Rm), in modo da privilegiare i quadri di riferimento, gli schemi concettuali e le pratiche di chi, quotidianamente, svolge lavoro a diretto contatto con donne vittime di violenza. Dopo un iniziale brainstorming, volto a sollecitare le partecipanti all’espressione di parole chiave inerenti alle problematiche riscontrate nella conduzione dei colloqui di sostegno e, più in generale, delle pratiche di intervento, si è proceduto attraverso la presentazione e discussione della proposta, mediante l’ausilio della distribuzione di una scheda analitica, in cui erano illustrate le principali caratteristiche della tecnica di rilevazione dei racconti di vita. La discussione si è aperta alla manifestazione di opinioni, anche contrastanti, dando luogo ad un confronto della durata di circa due ore, da cui sono emerse, in un’ottica esplorativa, suggestioni utili ad isolare gli elementi del lavoro nei CA implementabili a partire dalla conoscenza riflessiva promossa dall’approccio biografico. Dall’analisi degli interventi durante il focus group, emerge che nei CA, l’instaurarsi di una relazione dialogica tra utenti e operatrici, fin dai primi colloqui, restituisce centralità al binomio narrazione-ascolto, che costituisce elemento cardine per la ricostruzione progressiva di un materiale biografico denso, in ipotesi capace di orientare il lavoro delle operatrici. I CA prefigurano un peculiare categoria di situazione, all’interno della quale l’autoriflessività biografica può in ipotesi permettere alla donna e alle operatrici di ricomporre frammenti dell’esperienza concreta, e di ricollocarla in un nuovo spazio sociale, in vista della personalizzazione degli interventi. Congiuntamente, la narrazione biografica può divenire risorsa riflessiva anche per le donne vittime di violenza in vista della necessità di rievocazione, ordinamento e risignificazione degli eventi vissuti/narrati. In un’ottica di raccordo tra ricerca e CONVEGNO AIS Il Genere nella Contemporaneità: tra Sfide e Risorse - 69 - intervento, è dunque possibile pensare il CA come uno spazio sociale che preveda, quale cerchia interna, un laboratorio di narrazione biografica, avente la funzione di facilitare il ripensamento della propria esperienza e l’acquisizione della capacità di rovesciare la propria immagine e di (ri)proiettarla sugli altri. Particolare rilievo ha assunto durante il focus il disorientamento delle operatrici di fronte ad una attitudine piuttosto diffusa tra le utenti a mentire o omettere particolari significativi. Rispetto a questo dilemma, il disorientamento delle operatici dovrebbe essere ricollocato e rimodulato entro una cornice situazionista per capire quanto il disvelamento della finzione messa in atto possa consentire di prendere in carico la complessità emotiva delle donne, con specifico riferimento ai sentimenti di colpa o di vergogna che spingono a veicolare esternamente una specifica immagine “falsata” di sé. In aggiunta alla osservazione dei comportamenti non verbali durante le interazioni in situazione implicate dal racconto di vita, il carattere semi-residenziale dei CA offre l’opportunità di triangolare gli universi di senso riportati verbalmente con quelli che possono trasparire osservando la donna vittima di violenza in situazioni quotidiane di (inter)azione. Per questo, la proposta avanzata richiede di essere integrata dall’osservazione delle dinamiche interpersonali interne alla struttura, con specifica attenzione a tutto ciò che sorprende e spiazza, destabilizzando le rappresentazioni iniziali. Complessivamente, è emerso che la direttrice verso la quale orientare la proposta di integrazione del lavoro nei CA con l’approccio biografico è l’accrescimento nella donna della capacità di controllare attivamente la propria vita, piuttosto che l’incentivazione della dipendenza dal giudizio altrui.

La duplice valenza della narrazione nella violenza di genere. L'integrazione tra ricerca biografica e azione nei Centri Antiviolenza / Aureli, Francesca. - ELETTRONICO. - (2015), pp. 68-69. (Intervento presentato al convegno Il Genere nella Contemporaneità: tra Sfide e Risorse tenutosi a Napoli, Università Federico II nel 24-25 settembre 2015).

La duplice valenza della narrazione nella violenza di genere. L'integrazione tra ricerca biografica e azione nei Centri Antiviolenza

AURELI, FRANCESCA
2015

Abstract

I Centri Antiviolenza (CA), che accolgono e supportano donne che hanno subito violenze psicologiche, fisiche o sessuali all’interno del rapporto di coppia o delle relazioni parentali, non rappresentano semplicemente spazi protetti nei quali trovare risposta a bisogni alloggiativi e materiali, secondo una logica di mero assistenzialismo, quanto piuttosto luoghi nei quali le donne, narrando le proprie esperienze traumatiche, si calano fin da subito in un percorso di rielaborazione del vissuto di violenza e di riappropriazione del proprio sé. Il presente contributo mira ad esplorare quanto sia fecondo, dal punto di vista delle operatrici, integrare ricerca biografica e intervento nell’ambito dei CA, nella prospettiva di concepire l’apporto della narrazione guidata come implementazione della qualità dei servizi già offerti. Al fine di vagliare l’ipotesi prospettata di integrazione tra la figura di operatrice e di ricercatrice, si è organizzato un focus group con otto operatrici, con diverso profilo disciplinare, che prestassero sevizio da almeno un anno nel CA Maree (Rm), in modo da privilegiare i quadri di riferimento, gli schemi concettuali e le pratiche di chi, quotidianamente, svolge lavoro a diretto contatto con donne vittime di violenza. Dopo un iniziale brainstorming, volto a sollecitare le partecipanti all’espressione di parole chiave inerenti alle problematiche riscontrate nella conduzione dei colloqui di sostegno e, più in generale, delle pratiche di intervento, si è proceduto attraverso la presentazione e discussione della proposta, mediante l’ausilio della distribuzione di una scheda analitica, in cui erano illustrate le principali caratteristiche della tecnica di rilevazione dei racconti di vita. La discussione si è aperta alla manifestazione di opinioni, anche contrastanti, dando luogo ad un confronto della durata di circa due ore, da cui sono emerse, in un’ottica esplorativa, suggestioni utili ad isolare gli elementi del lavoro nei CA implementabili a partire dalla conoscenza riflessiva promossa dall’approccio biografico. Dall’analisi degli interventi durante il focus group, emerge che nei CA, l’instaurarsi di una relazione dialogica tra utenti e operatrici, fin dai primi colloqui, restituisce centralità al binomio narrazione-ascolto, che costituisce elemento cardine per la ricostruzione progressiva di un materiale biografico denso, in ipotesi capace di orientare il lavoro delle operatrici. I CA prefigurano un peculiare categoria di situazione, all’interno della quale l’autoriflessività biografica può in ipotesi permettere alla donna e alle operatrici di ricomporre frammenti dell’esperienza concreta, e di ricollocarla in un nuovo spazio sociale, in vista della personalizzazione degli interventi. Congiuntamente, la narrazione biografica può divenire risorsa riflessiva anche per le donne vittime di violenza in vista della necessità di rievocazione, ordinamento e risignificazione degli eventi vissuti/narrati. In un’ottica di raccordo tra ricerca e CONVEGNO AIS Il Genere nella Contemporaneità: tra Sfide e Risorse - 69 - intervento, è dunque possibile pensare il CA come uno spazio sociale che preveda, quale cerchia interna, un laboratorio di narrazione biografica, avente la funzione di facilitare il ripensamento della propria esperienza e l’acquisizione della capacità di rovesciare la propria immagine e di (ri)proiettarla sugli altri. Particolare rilievo ha assunto durante il focus il disorientamento delle operatrici di fronte ad una attitudine piuttosto diffusa tra le utenti a mentire o omettere particolari significativi. Rispetto a questo dilemma, il disorientamento delle operatici dovrebbe essere ricollocato e rimodulato entro una cornice situazionista per capire quanto il disvelamento della finzione messa in atto possa consentire di prendere in carico la complessità emotiva delle donne, con specifico riferimento ai sentimenti di colpa o di vergogna che spingono a veicolare esternamente una specifica immagine “falsata” di sé. In aggiunta alla osservazione dei comportamenti non verbali durante le interazioni in situazione implicate dal racconto di vita, il carattere semi-residenziale dei CA offre l’opportunità di triangolare gli universi di senso riportati verbalmente con quelli che possono trasparire osservando la donna vittima di violenza in situazioni quotidiane di (inter)azione. Per questo, la proposta avanzata richiede di essere integrata dall’osservazione delle dinamiche interpersonali interne alla struttura, con specifica attenzione a tutto ciò che sorprende e spiazza, destabilizzando le rappresentazioni iniziali. Complessivamente, è emerso che la direttrice verso la quale orientare la proposta di integrazione del lavoro nei CA con l’approccio biografico è l’accrescimento nella donna della capacità di controllare attivamente la propria vita, piuttosto che l’incentivazione della dipendenza dal giudizio altrui.
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