Il presente studio intende analizzare il rapporto tra la “lezione” di Gustavo Giovannoni (1873-1947) e l’attività professionale dell’ambiente architettonico romano negli anni compresi tra le due guerre. Un’occasione di approfondimento può essere offerta dall’opera di Pietro Aschieri (1889-1952), allievo e collaboratore di Giovannoni, e in particolare dal Piano Regolatore che il primo redige per la città di Sulmona nel 1933. In esso sono presenti soluzioni progettuali che coinvolgono diversi argomenti cari al secondo: dalla conservazione e valorizzazione delle emergenze artistico-architettoniche, al rapporto tra città storica e i suoi possibili sviluppi, sino al ruolo dell’architetto integrale. A ciò si aggiunge il coinvolgimento diretto da parte dello storico-ingegnere in qualità di presidente della Commissione Urbanistica nominata per valutare il progetto e garantirne la qualità degli esiti. Aschieri delinea il suo intervento mediante alcuni punti chiave quali la risoluzione del problema del traffico, il risanamento igienico dell’abitato, il completamento e la disciplina dei nuovi quartieri e la valorizzazione dei principali monumenti; la scelta di “valorizzare” il contesto urbano del palazzo dell’Annunziata e la decisione di procedere con numerose demolizioni incontrano molti oppositori. In particolare, è proprio lo “spostamento” della facciata settecentesca di palazzo Tironi di fronte al grande complesso architettonico che offre uno spunto di riflessione per verificare la teoria del diradamento e le sue interpretazioni. Non sfugge che i due professionisti sono stati collaboratori solo qualche anno prima (1929) in occasione del piano La Burbera per il futuro assetto di Roma, attraverso il disegno di un nuovo tracciato nel tessuto edilizio e attraverso la definizione scenografica degli ambienti più rappresentativi. La visione progettuale di Aschieri per Sulmona, debitrice del progetto romano, viene calata nella dimensione locale di un piccolo centro di provincia dall’alto valore storico-culturale e diventa uno strumento per la politica fascista interessata allo sviluppo dei centri minori. A partire dagli studi di Giannantonio (1) è possibile quindi delineare un profilo critico sull’argomento. Se le visioni progettuali di entrambi convergono nell’immaginare il progetto di Roma come un continuum tra i diversi periodi storici della capitale (Nicoloso, 1999), nel progetto analizzato divergono fino a scontrarsi: da una parte l’idea del diradamento e dall’altra la logica dello sventramento per lo sviluppo della città moderna, nonostante l’assenza delle grandi realtà finanziarie che caratterizzano invece gli interventi di Marcello Piacentini. Il fallimento del progetto, grazie proprio al parere negativo di Giovannoni che ne suggerisce una revisione complessiva, porta ad un piano di compromesso – ormai nel 1937 – che limita le demolizioni e si occupa maggiormente dell’espansione dei nuovi quartieri. Lo stesso anno vede i due protagonisti collaborare nella commissione esaminatrice per il concorso di secondo grado della Casa Littoria a Roma; la premiazione del progetto classicista del gruppo formato da Del Debbio, Morpurgo e Foschini sancisce un loro riavvicinamento, seppure parziale, in nome del valore predominante della romanità per definire lo stile del regime, a dimostrazione di come la “lezione” di Giovannoni, anche a seguito della vicenda sulmonese, fosse ben radicata nell’operato di Aschieri.

Gustavo Giovannoni e Pietro Aschieri. Interventi e riflessioni sul patrimonio storico di Sulmona (1933-1937) / Coppo, Alberto. - (2015). (Intervento presentato al convegno Gustavo Giovannoni e l'architetto integrale tenutosi a Accademia Nazionale di San Luca, Roma nel 25-27 novembre 2015).

Gustavo Giovannoni e Pietro Aschieri. Interventi e riflessioni sul patrimonio storico di Sulmona (1933-1937)

2015

Abstract

Il presente studio intende analizzare il rapporto tra la “lezione” di Gustavo Giovannoni (1873-1947) e l’attività professionale dell’ambiente architettonico romano negli anni compresi tra le due guerre. Un’occasione di approfondimento può essere offerta dall’opera di Pietro Aschieri (1889-1952), allievo e collaboratore di Giovannoni, e in particolare dal Piano Regolatore che il primo redige per la città di Sulmona nel 1933. In esso sono presenti soluzioni progettuali che coinvolgono diversi argomenti cari al secondo: dalla conservazione e valorizzazione delle emergenze artistico-architettoniche, al rapporto tra città storica e i suoi possibili sviluppi, sino al ruolo dell’architetto integrale. A ciò si aggiunge il coinvolgimento diretto da parte dello storico-ingegnere in qualità di presidente della Commissione Urbanistica nominata per valutare il progetto e garantirne la qualità degli esiti. Aschieri delinea il suo intervento mediante alcuni punti chiave quali la risoluzione del problema del traffico, il risanamento igienico dell’abitato, il completamento e la disciplina dei nuovi quartieri e la valorizzazione dei principali monumenti; la scelta di “valorizzare” il contesto urbano del palazzo dell’Annunziata e la decisione di procedere con numerose demolizioni incontrano molti oppositori. In particolare, è proprio lo “spostamento” della facciata settecentesca di palazzo Tironi di fronte al grande complesso architettonico che offre uno spunto di riflessione per verificare la teoria del diradamento e le sue interpretazioni. Non sfugge che i due professionisti sono stati collaboratori solo qualche anno prima (1929) in occasione del piano La Burbera per il futuro assetto di Roma, attraverso il disegno di un nuovo tracciato nel tessuto edilizio e attraverso la definizione scenografica degli ambienti più rappresentativi. La visione progettuale di Aschieri per Sulmona, debitrice del progetto romano, viene calata nella dimensione locale di un piccolo centro di provincia dall’alto valore storico-culturale e diventa uno strumento per la politica fascista interessata allo sviluppo dei centri minori. A partire dagli studi di Giannantonio (1) è possibile quindi delineare un profilo critico sull’argomento. Se le visioni progettuali di entrambi convergono nell’immaginare il progetto di Roma come un continuum tra i diversi periodi storici della capitale (Nicoloso, 1999), nel progetto analizzato divergono fino a scontrarsi: da una parte l’idea del diradamento e dall’altra la logica dello sventramento per lo sviluppo della città moderna, nonostante l’assenza delle grandi realtà finanziarie che caratterizzano invece gli interventi di Marcello Piacentini. Il fallimento del progetto, grazie proprio al parere negativo di Giovannoni che ne suggerisce una revisione complessiva, porta ad un piano di compromesso – ormai nel 1937 – che limita le demolizioni e si occupa maggiormente dell’espansione dei nuovi quartieri. Lo stesso anno vede i due protagonisti collaborare nella commissione esaminatrice per il concorso di secondo grado della Casa Littoria a Roma; la premiazione del progetto classicista del gruppo formato da Del Debbio, Morpurgo e Foschini sancisce un loro riavvicinamento, seppure parziale, in nome del valore predominante della romanità per definire lo stile del regime, a dimostrazione di come la “lezione” di Giovannoni, anche a seguito della vicenda sulmonese, fosse ben radicata nell’operato di Aschieri.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/854402
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