In this article I analyze from an anthropological perspective some of the reasons that in recent decades have led to promote a "humanization" of therapeutic practices in health-care, as if modern medicine, due to the increasing importance acquired by its "scientific" dimension, had become gradually in-humane. After some initial reflections on the fact that the predisposition to develop and acquire technical knowledge and skills has always been a defining characteristic of our species, I review some of the factors which, while increasing the capacity of preventing, controlling and defeating diseases’ organic aspects, contributed to reducing bio-medicine’s capacity to “take care” in a broader sense of patients and their social milieu. Among these factors, one can list: the tendency to reduce the disease to its biological aspects, and to translate the indicators of health and ailment in purely quantitative and measurable terms, consequently uniforming and standardizing within rigid nosographic categories the subjective experience of patients, which is infinitely variable; the inability to provide space and recognition to the meanings that are always given to illnesses; the tendency of institutions and health care professionals to overlook the fact that both the social impact of disease and its treatment include a much larger circle than the single biological patient; the heavy impairment of patients’ agency that always derives from sickness (often exacerbated by the behaviour of health-care operators); the important consequences that the ability to establish a satisfactory communication and therapeutic relationship has on the very effectiveness of curing.

In questo articolo si analizzano in prospettiva antropologica alcune delle ragioni che negli ultimi decenni hanno portato a promuovere una “umanizzazione” delle pratiche terapeutiche in ambito sanitario, quasi che la moderna medicina, in ragione del peso crescente che in essa ha assunto la dimensione “scientifica”, si fosse venuta progressivamente dis-umanizzando. Dopo una riflessione iniziale sul fatto che la predisposizione a sviluppare e acquisire conoscenze e capacità tecniche ha da sempre costituito una caratteristica distintiva della nostra specie, si passano in rassegna alcuni dei fattori che, pur accrescendo le capacità di prevenzione, controllo e contrasto delle patologie dal punto di vista organico, hanno contribuito a ridurre la capacità della bio-medicina di farsi carico in senso più ampio delle esigenze dei pazienti e del loro entourage sociale: dalla tendenza a ridurre la malattia alle sue sole manifestazioni di ordine biologico, a quella verso la traduzione in termini meramente quantitativi e misurabili degli indicatori di salute e malattia, con la conseguente uniformazione e standardizzazione entro rigide categorie nosologiche dell’infinitamente variabile esperienza soggettiva dei pazienti; dall’incapacità di concedere spazio e riconoscimento ai significati che sempre vengono conferiti agli episodi di malattia, alla tendenza delle istituzioni e del personale sanitario a trascurare il fatto che tanto le ripercussioni sociali della malattia quanto la terapia investono una cerchia assai più ampia che non il singolo paziente biologico; dalla pesante menomazione della capacità di scelta e d’azione che la malattia sempre comporta (e che è spesso aggravata dalle modalità della sua gestione in ambito sanitario), alle importanti conseguenze che la capacità di instaurare una comunicazione e una relazione terapeutica soddisfacenti ha sulla stessa efficacia delle cure.

Antropologia medica e umanizzazione delle cure / Lupo, Alessandro. - In: AM. - ISSN 1593-2737. - STAMPA. - 37:(2014), pp. 105-126.

Antropologia medica e umanizzazione delle cure

LUPO, Alessandro
2014

Abstract

In this article I analyze from an anthropological perspective some of the reasons that in recent decades have led to promote a "humanization" of therapeutic practices in health-care, as if modern medicine, due to the increasing importance acquired by its "scientific" dimension, had become gradually in-humane. After some initial reflections on the fact that the predisposition to develop and acquire technical knowledge and skills has always been a defining characteristic of our species, I review some of the factors which, while increasing the capacity of preventing, controlling and defeating diseases’ organic aspects, contributed to reducing bio-medicine’s capacity to “take care” in a broader sense of patients and their social milieu. Among these factors, one can list: the tendency to reduce the disease to its biological aspects, and to translate the indicators of health and ailment in purely quantitative and measurable terms, consequently uniforming and standardizing within rigid nosographic categories the subjective experience of patients, which is infinitely variable; the inability to provide space and recognition to the meanings that are always given to illnesses; the tendency of institutions and health care professionals to overlook the fact that both the social impact of disease and its treatment include a much larger circle than the single biological patient; the heavy impairment of patients’ agency that always derives from sickness (often exacerbated by the behaviour of health-care operators); the important consequences that the ability to establish a satisfactory communication and therapeutic relationship has on the very effectiveness of curing.
2014
In questo articolo si analizzano in prospettiva antropologica alcune delle ragioni che negli ultimi decenni hanno portato a promuovere una “umanizzazione” delle pratiche terapeutiche in ambito sanitario, quasi che la moderna medicina, in ragione del peso crescente che in essa ha assunto la dimensione “scientifica”, si fosse venuta progressivamente dis-umanizzando. Dopo una riflessione iniziale sul fatto che la predisposizione a sviluppare e acquisire conoscenze e capacità tecniche ha da sempre costituito una caratteristica distintiva della nostra specie, si passano in rassegna alcuni dei fattori che, pur accrescendo le capacità di prevenzione, controllo e contrasto delle patologie dal punto di vista organico, hanno contribuito a ridurre la capacità della bio-medicina di farsi carico in senso più ampio delle esigenze dei pazienti e del loro entourage sociale: dalla tendenza a ridurre la malattia alle sue sole manifestazioni di ordine biologico, a quella verso la traduzione in termini meramente quantitativi e misurabili degli indicatori di salute e malattia, con la conseguente uniformazione e standardizzazione entro rigide categorie nosologiche dell’infinitamente variabile esperienza soggettiva dei pazienti; dall’incapacità di concedere spazio e riconoscimento ai significati che sempre vengono conferiti agli episodi di malattia, alla tendenza delle istituzioni e del personale sanitario a trascurare il fatto che tanto le ripercussioni sociali della malattia quanto la terapia investono una cerchia assai più ampia che non il singolo paziente biologico; dalla pesante menomazione della capacità di scelta e d’azione che la malattia sempre comporta (e che è spesso aggravata dalle modalità della sua gestione in ambito sanitario), alle importanti conseguenze che la capacità di instaurare una comunicazione e una relazione terapeutica soddisfacenti ha sulla stessa efficacia delle cure.
Antropologia medica, biomedicina, riduzionismo, olismo, relazione terapeutica
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Antropologia medica e umanizzazione delle cure / Lupo, Alessandro. - In: AM. - ISSN 1593-2737. - STAMPA. - 37:(2014), pp. 105-126.
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