Tab. 1 – Ragioni della ricerca La violazione dei principi costituzionali e del Codice penale: la contenzione meccanica è tra tutte quella più in aperto contrasto con diversi articoli della Costituzione (artt. 13 e 32) e del Codice penale (artt. 610, 571, 572, 605), nonché con i diritti umani, proclamati dai documenti europei e dall’Occidente tutto (Cfr. EUR/04/5047810/6; EUR/04/5047810/7; www.cpt.coe.int). Il nodo legislativo: tra i giuristi non vi è accordo sull’esistenza o meno di norme all’interno del nostro ordinamento che prevedano e disciplinino questo residuo neo-manicomiale. La legge 180 non esclude (ma neanche autorizza e disciplina) il ricorso a questa forma di misura coercitiva; pertanto, l’utilizzo della contenzione meccanica continua a essere citato nella storia della giurisprudenza italiana dal solo art. 60 del regolamento manicomiale del regio decreto del 1909. Diversi studi scientifici internazionali dimostrano che aumentare la regolamentazione (anche interna all’ambito psichiatrico-ospedaliero) per la identificazione precoce e per la gestione efficace dei comportamenti problematici, come anche per il monitoraggio “uno a uno” dei pazienti contenuti, fa sì che possa diminuire del 50% il numero e la durata degli episodi di contenzione (Currier e Farley-Toombs, 2002). D’altra parte, la stessa regolamentazione suscita dubbi tra chi teme che normare la contenzione meccanica tacitamente equivarrebbe a legittimarla. L’uso improprio: anche se si volesse sostenere la legittimità di ricorrere alla contenzione in casi eccezionali, laddove si palesino rischi reali di incolumità del paziente o di altre persone, come documentato dalle narrazioni di soggetti che hanno vissuto questa esperienza all’interno di SPDC (Manicardi, 2008; Ronconi 2015) e dai casi documentati in ambito giuridico o dalla cronaca, della contenzione meccanica se ne fa spesso uso indiscriminato e/o negligente. I rischi psico-fisici per il paziente: con una probabilità che dipende dalla durata e modalità della contenzione e dallo stato di salute anteriore del paziente, oltre ai rischi fisici (asfissia, trombosi venosa profonda, embolia polmonare, traumi articolari, traumi dei tessuti cutanei, infezioni a carico dell’apparato respiratorio, rischi di decesso in seguito a un periodo prolungato di agitazione psicomotoria, etc.), sono documentati rischi di disfunzioni psicosociali associati alla contenzione meccanica, quali: aumento della confusione, compromissione della propria dignità personale e senso di vergogna, depressione, traumi da stress psico-fisico, paura, prostrazione e rassegnazione rispetto alle possibilità percepite di guarigione, riduzione dell’autonomia assistenziale e nel prendere iniziative, aumento dell’aggressività e dell’agitazione nel tentativo di liberarsi, maggiore durata della degenza, declino del comportamento sociale e cognitivo, rievocazione di traumi da violenza pregressi (Hillard e Zitek, 2005; Catanesi, Ferrarini e Peloso, 2006; Prinsen e Van Delden, 2009; Strout, 2010). La circolarità perversa che si può innescare è che la contenzione sia a rischio di acutizzare lo stato di dissociazione dalla realtà o confusione che ha giustificato il ricovero ospedaliero volontario o coatto della persona. La mancata necessità: che la contenzione meccanica possa essere evitata è desumibile dal fatto che, a parità di situazioni di emergenza, esistono strutture ospedaliere pubbliche o in altre nazioni europee (ad es. Gran Bretagna) che non ne fanno uso. Come ricostruisce Toresini (2013), la pratica no restraint “si realizza sostituendo la contenzione fisica con il contenimento psicologico attraverso la relazione”. La cortina di silenzio nella società civile: a fronte delle ambiguità legislative e delle condizioni documentate di abuso in molti SPDC, l’attenzione collettiva prestata nei confronti dell’uso improprio di queste pratiche di coercizione è pressoché assente e affiora episodicamente in concomitanza di casi estremi di cronaca (come quelli legati ai casi processuali di Marco Casu e Francesco Mastrogiovanni, deceduti a seguito di contenzione meccanica). La carenza di studi scientifici italiani: ricerche in campo internazionale, soprattutto negli Stati Uniti, Gran Bretagna e in Nord Europa, hanno indagato il fenomeno e ne hanno diagnosticato la consistenza, le caratteristiche, i gravi eventi avversi e gli abusi (Currier e Allen 2000). L’unica indagine sistematica condotta (a carattere descrittivo) con estensione nazionale sui SPDC italiani e le pratiche coercitive utilizzate al loro interno risale a più di dieci anni fa ed è stata promossa dall’Istituto Superiore di Sanità (Santone et al. 2004; Dell’Acqua et al. 2005). Il (quasi) silenzio dei sociologi La forte vocazione sociologica del progetto, che giustifica anche il fatto che tutti i responsabili di unità siano sociologi, deriva dal fatto che la comunità sociologica contemporanea, fatte le dovute eccezioni, non si è interrogata sufficientemente su come proprio la disumanizzazione dell’Altro, che come rivelava Erving Goffman (1961; tr. it., 2001), nella sua celebre ricerca Asylums, era messa sistematicamente in atto negli ospedali psichiatrici, costituisce la base ideologica fondativa della contenzione nei Spdc.

Introduzione. La rilevanza scientifica e pragmatica della contenzione in psichiatria / Mauceri, Sergio. - ELETTRONICO. - (2017), pp. 15-22.

Introduzione. La rilevanza scientifica e pragmatica della contenzione in psichiatria

MAUCERI, Sergio
2017

Abstract

Tab. 1 – Ragioni della ricerca La violazione dei principi costituzionali e del Codice penale: la contenzione meccanica è tra tutte quella più in aperto contrasto con diversi articoli della Costituzione (artt. 13 e 32) e del Codice penale (artt. 610, 571, 572, 605), nonché con i diritti umani, proclamati dai documenti europei e dall’Occidente tutto (Cfr. EUR/04/5047810/6; EUR/04/5047810/7; www.cpt.coe.int). Il nodo legislativo: tra i giuristi non vi è accordo sull’esistenza o meno di norme all’interno del nostro ordinamento che prevedano e disciplinino questo residuo neo-manicomiale. La legge 180 non esclude (ma neanche autorizza e disciplina) il ricorso a questa forma di misura coercitiva; pertanto, l’utilizzo della contenzione meccanica continua a essere citato nella storia della giurisprudenza italiana dal solo art. 60 del regolamento manicomiale del regio decreto del 1909. Diversi studi scientifici internazionali dimostrano che aumentare la regolamentazione (anche interna all’ambito psichiatrico-ospedaliero) per la identificazione precoce e per la gestione efficace dei comportamenti problematici, come anche per il monitoraggio “uno a uno” dei pazienti contenuti, fa sì che possa diminuire del 50% il numero e la durata degli episodi di contenzione (Currier e Farley-Toombs, 2002). D’altra parte, la stessa regolamentazione suscita dubbi tra chi teme che normare la contenzione meccanica tacitamente equivarrebbe a legittimarla. L’uso improprio: anche se si volesse sostenere la legittimità di ricorrere alla contenzione in casi eccezionali, laddove si palesino rischi reali di incolumità del paziente o di altre persone, come documentato dalle narrazioni di soggetti che hanno vissuto questa esperienza all’interno di SPDC (Manicardi, 2008; Ronconi 2015) e dai casi documentati in ambito giuridico o dalla cronaca, della contenzione meccanica se ne fa spesso uso indiscriminato e/o negligente. I rischi psico-fisici per il paziente: con una probabilità che dipende dalla durata e modalità della contenzione e dallo stato di salute anteriore del paziente, oltre ai rischi fisici (asfissia, trombosi venosa profonda, embolia polmonare, traumi articolari, traumi dei tessuti cutanei, infezioni a carico dell’apparato respiratorio, rischi di decesso in seguito a un periodo prolungato di agitazione psicomotoria, etc.), sono documentati rischi di disfunzioni psicosociali associati alla contenzione meccanica, quali: aumento della confusione, compromissione della propria dignità personale e senso di vergogna, depressione, traumi da stress psico-fisico, paura, prostrazione e rassegnazione rispetto alle possibilità percepite di guarigione, riduzione dell’autonomia assistenziale e nel prendere iniziative, aumento dell’aggressività e dell’agitazione nel tentativo di liberarsi, maggiore durata della degenza, declino del comportamento sociale e cognitivo, rievocazione di traumi da violenza pregressi (Hillard e Zitek, 2005; Catanesi, Ferrarini e Peloso, 2006; Prinsen e Van Delden, 2009; Strout, 2010). La circolarità perversa che si può innescare è che la contenzione sia a rischio di acutizzare lo stato di dissociazione dalla realtà o confusione che ha giustificato il ricovero ospedaliero volontario o coatto della persona. La mancata necessità: che la contenzione meccanica possa essere evitata è desumibile dal fatto che, a parità di situazioni di emergenza, esistono strutture ospedaliere pubbliche o in altre nazioni europee (ad es. Gran Bretagna) che non ne fanno uso. Come ricostruisce Toresini (2013), la pratica no restraint “si realizza sostituendo la contenzione fisica con il contenimento psicologico attraverso la relazione”. La cortina di silenzio nella società civile: a fronte delle ambiguità legislative e delle condizioni documentate di abuso in molti SPDC, l’attenzione collettiva prestata nei confronti dell’uso improprio di queste pratiche di coercizione è pressoché assente e affiora episodicamente in concomitanza di casi estremi di cronaca (come quelli legati ai casi processuali di Marco Casu e Francesco Mastrogiovanni, deceduti a seguito di contenzione meccanica). La carenza di studi scientifici italiani: ricerche in campo internazionale, soprattutto negli Stati Uniti, Gran Bretagna e in Nord Europa, hanno indagato il fenomeno e ne hanno diagnosticato la consistenza, le caratteristiche, i gravi eventi avversi e gli abusi (Currier e Allen 2000). L’unica indagine sistematica condotta (a carattere descrittivo) con estensione nazionale sui SPDC italiani e le pratiche coercitive utilizzate al loro interno risale a più di dieci anni fa ed è stata promossa dall’Istituto Superiore di Sanità (Santone et al. 2004; Dell’Acqua et al. 2005). Il (quasi) silenzio dei sociologi La forte vocazione sociologica del progetto, che giustifica anche il fatto che tutti i responsabili di unità siano sociologi, deriva dal fatto che la comunità sociologica contemporanea, fatte le dovute eccezioni, non si è interrogata sufficientemente su come proprio la disumanizzazione dell’Altro, che come rivelava Erving Goffman (1961; tr. it., 2001), nella sua celebre ricerca Asylums, era messa sistematicamente in atto negli ospedali psichiatrici, costituisce la base ideologica fondativa della contenzione nei Spdc.
2017
‘Contenere' la contenzione in Italia. Primo rapporto sui diritti negati dalla pratica di legare coercitivamente i pazienti psichiatrici nei SPDC
Salute mentale; Stigma; Contenzione; Psichiatria
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Introduzione. La rilevanza scientifica e pragmatica della contenzione in psichiatria / Mauceri, Sergio. - ELETTRONICO. - (2017), pp. 15-22.
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