Il punto di partenza della nostra proposta di “produttività programmata” è l’insoddisfazione sia per i vari “patti” tra gli attori coinvolti, che sono essenzialmente basati sulla disponibilità delle parti sociali (e su parecchie risorse pubbliche) ma che non risolvono il problema di incentivo appena enunciato, sia per il ritorno a ipotesi di programmazione dell’economia e dell’organizzazione di impresa che sembrano trascurare i fallimenti del nostro Stato imprenditore e programmatore fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Duemila. Tale duplice insoddisfazione ci ha spinto a disegnare un meccanismo incentivante per le imprese e per i lavoratori che fosse in grado di: (i) ribaltare le regole esistenti di determinazione dei salari superando la separazione fra una preliminare contrattazione di primo livello, volta a proteggere il potere di acquisto dei lavoratori, e una successiva contrattazione di secondo livello, mirante a distribuire tra le parti i frutti degli eventuali incrementi di produttività; (ii) lasciare autonomia decisionale alle imprese e ai rappresentanti dei lavoratori, evitando improprie interferenze statali o pubbliche rispetto ai contenuti contrattuali e alle scelte gestionali. Ciò non significa che il nostro meccanismo incentivante non sia sottoposto a vincoli macroeconomici, in quanto ha l’obiettivo di ridurre i divari nella dinamica della produttività del lavoro fra l’Italia e gli altri Stati membri dell’UE e deve scongiurare crescenti divaricazioni dei salari monetari tra lavoratori con analoghe qualificazioni ma occupati in imprese/settori/territori con differenti tassi di variazione nella produttività media del lavoro.
Per la produttività programmata / Ciccarone, Giuseppe; Messori, Marcello. - In: ECONOMIA & LAVORO. - ISSN 0012-978X. - STAMPA. - 47:3(2013), pp. 26-32.
Per la produttività programmata
CICCARONE, Giuseppe;
2013
Abstract
Il punto di partenza della nostra proposta di “produttività programmata” è l’insoddisfazione sia per i vari “patti” tra gli attori coinvolti, che sono essenzialmente basati sulla disponibilità delle parti sociali (e su parecchie risorse pubbliche) ma che non risolvono il problema di incentivo appena enunciato, sia per il ritorno a ipotesi di programmazione dell’economia e dell’organizzazione di impresa che sembrano trascurare i fallimenti del nostro Stato imprenditore e programmatore fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Duemila. Tale duplice insoddisfazione ci ha spinto a disegnare un meccanismo incentivante per le imprese e per i lavoratori che fosse in grado di: (i) ribaltare le regole esistenti di determinazione dei salari superando la separazione fra una preliminare contrattazione di primo livello, volta a proteggere il potere di acquisto dei lavoratori, e una successiva contrattazione di secondo livello, mirante a distribuire tra le parti i frutti degli eventuali incrementi di produttività; (ii) lasciare autonomia decisionale alle imprese e ai rappresentanti dei lavoratori, evitando improprie interferenze statali o pubbliche rispetto ai contenuti contrattuali e alle scelte gestionali. Ciò non significa che il nostro meccanismo incentivante non sia sottoposto a vincoli macroeconomici, in quanto ha l’obiettivo di ridurre i divari nella dinamica della produttività del lavoro fra l’Italia e gli altri Stati membri dell’UE e deve scongiurare crescenti divaricazioni dei salari monetari tra lavoratori con analoghe qualificazioni ma occupati in imprese/settori/territori con differenti tassi di variazione nella produttività media del lavoro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.