Il presente contributo è confluito come nono capitolo della mia monografia del 2014 (Pregiudizio come costruzione sociale). Abstract: l’omofobia istituzionale agita dai rappresentanti delle istituzioni politiche e religiose, in quanto particolare forma di discriminazione pubblica e giuridica delle persone Lgbt, è il presupposto attraverso il quale le élite simboliche riproducono socialmente un modello di supremazia eterosessista, con la funzione latente di preservare e rinsaldare il proprio potere di controllo nei confronti degli strati sociali che si riconoscono nel sistema ideologico-valoriale del quale esse sono portatrici. Le pratiche collettive di matrice omofoba servono di volta in volta a rigenerare le basi di coesione e di consenso interne alla comunità dei fedeli, nel caso delle autorità ecclesiali, e agli aggregati di elettori, nel caso delle organizzazioni politiche. Il canale privilegiato di promozione collettiva dell’eteronormatività e della connessa stigmatizzazione sessuale è costituito dall’intreccio tra la mancata applicazione degli strumenti legislativi e le relative dinamiche decisionali a livello politico-religioso di contrasto ai disegni di legge tesi al riconoscimento dei diritti. Aderendo perfettamente alla situazione italiana, questo dispositivo di potere richiede che la resistenza istituzionale, rispetto al riconoscimento dei diritti a tutela delle popolazioni Lgbt, ceda il passo alle evoluzioni, riscontrabili all’interno di molti Stati dell’Unione europea e sollecitate ripetutamente da diversi organi di potere sovranazionali. A quest’ultimo riguardo, occorre riflettere sulla misura in cui l’Italia rappresenti, sul piano del (mancato) riconoscimento dei diritti pro-Lgbt, un’assoluta anomalia, se comparata ai paesi dell’Europa occidentale che, prevedendo per gay e lesbiche la possibilità di difendersi legalmente dalle discriminazioni omofobiche e in molti casi anche di formare una famiglia, hanno indebolito sensibilmente lo status sociale di inferiorità delle persone omosessuali e con esso la concezione paleoideologica che attribuisce all’eterosessualità il dominio della “normalità”. L’anomalia italiana, in una prospettiva comparata, è uno degli indizi più evidenti di un processo di secolarizzazione particolarmente lento, o comunque non sincronizzato rispetto alle tendenze avviate dalla seconda transizione demografica nei principali paesi europei e, più in generale, occidentali (Mauceri e Valentini, 2010). Il conservatorismo, laddove si imponga a livello istituzionale, attiva un dispositivo di potere che pone in an-tagonismo e in un rapporto di mutua esclusività vecchi e nuovi modelli idealtipici di famiglia, negando la varietà dei modi compossibili di declinare il legame di amore tra persone che convivono sotto uno stesso tetto. All’interno di questo orizzonte di senso, all’insegna della tradizione, le costruzioni sovraordinate che legittimano la negazione dei diritti pro-Lgbt ignorano l’evoluzione della società e dei costumi. A questo proposito, Lingiardi richiama la necessità di “aprirsi a una trasformazione antropologica” che sciolga un nodo che è simbolico, prima ancora che legislativo (2007, p. 9). In questa direzione, occorre ripensare il quadro della giurisprudenza italiana, decostruendo il modello idealtipico di famiglia patriarcale che di fatto presuppone, oltre a un appiattimento sulla sola dimensione sessuale della vita affettiva di una coppia costituita da soggetti dello stesso sesso, anche una visione poco conforme a quei mutamenti che, richiamandoci ad autorevoli sociologi come Bauman (2000; tr. it., 2003) e Beck (1986, tr. it., 2000), hanno individualizzato i corsi di vita, aumentando le chance di autodeterminazione dei cittadini. A seguito di una serie di querelle pubbliche che hanno investito anche i vertici del mondo ecclesiale, oltre che una eclissi pluriennale di qualsiasi altro tentativo in questa direzione, la proposta dei disegni di legge per il riconoscimento delle coppie di fatto (cfr. par. 9.5) ha di fatto sollecitato quella che Durkheim (1912; tr. it., 2005) avrebbe definito effervescenza collettiva. In occasione della proposta del 2008 del D.d.l. sui DiCo (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi), questa effervescenza si è manifestata nel momento in cui sono scesi nella stessa piazza romana, a distanza di pochi giorni, i manifestanti del mondo Lgbt – o che comunque sposavano la loro causa – e la flotta compatta di soggetti conservatori del Family Day, che – anche laddove non avessero mai preso parte a una manifestazione pubblica – reclamavano a gran voce il proprio diritto a non essere defraudati del loro bene più prezioso: la famiglia, per come Dio l’aveva creata e voluta dai tempi di Adamo e Eva. D’altra parte, l’ostracismo sociale – come quello istituzionale – rispetto alla parità dei diritti può esprimere molta violenza simbolica, anche laddove sia svolto in forme apparentemente pacifiche. Se l’integralismo non ammette repliche, è forse superfluo per chi è meno dogmatico evidenziare che in tal modo si sovverte totalmente il significato che è proprio del diritto tutelato, vale a dire garantire anche alle persone omosessuali la libertà di transitare e con-vivere nei vari spazi sociali, senza rischiare di essere stigmatizzati o aggrediti.

Media, élite simboliche e omofobia istituzionale / Mauceri, Sergio. - ELETTRONICO. - (2012), pp. 30-45. (Intervento presentato al convegno Diritti. Nuove Energie per Roma e Lazio tenutosi a Roma nel 14/11/2012).

Media, élite simboliche e omofobia istituzionale

MAUCERI, Sergio
2012

Abstract

Il presente contributo è confluito come nono capitolo della mia monografia del 2014 (Pregiudizio come costruzione sociale). Abstract: l’omofobia istituzionale agita dai rappresentanti delle istituzioni politiche e religiose, in quanto particolare forma di discriminazione pubblica e giuridica delle persone Lgbt, è il presupposto attraverso il quale le élite simboliche riproducono socialmente un modello di supremazia eterosessista, con la funzione latente di preservare e rinsaldare il proprio potere di controllo nei confronti degli strati sociali che si riconoscono nel sistema ideologico-valoriale del quale esse sono portatrici. Le pratiche collettive di matrice omofoba servono di volta in volta a rigenerare le basi di coesione e di consenso interne alla comunità dei fedeli, nel caso delle autorità ecclesiali, e agli aggregati di elettori, nel caso delle organizzazioni politiche. Il canale privilegiato di promozione collettiva dell’eteronormatività e della connessa stigmatizzazione sessuale è costituito dall’intreccio tra la mancata applicazione degli strumenti legislativi e le relative dinamiche decisionali a livello politico-religioso di contrasto ai disegni di legge tesi al riconoscimento dei diritti. Aderendo perfettamente alla situazione italiana, questo dispositivo di potere richiede che la resistenza istituzionale, rispetto al riconoscimento dei diritti a tutela delle popolazioni Lgbt, ceda il passo alle evoluzioni, riscontrabili all’interno di molti Stati dell’Unione europea e sollecitate ripetutamente da diversi organi di potere sovranazionali. A quest’ultimo riguardo, occorre riflettere sulla misura in cui l’Italia rappresenti, sul piano del (mancato) riconoscimento dei diritti pro-Lgbt, un’assoluta anomalia, se comparata ai paesi dell’Europa occidentale che, prevedendo per gay e lesbiche la possibilità di difendersi legalmente dalle discriminazioni omofobiche e in molti casi anche di formare una famiglia, hanno indebolito sensibilmente lo status sociale di inferiorità delle persone omosessuali e con esso la concezione paleoideologica che attribuisce all’eterosessualità il dominio della “normalità”. L’anomalia italiana, in una prospettiva comparata, è uno degli indizi più evidenti di un processo di secolarizzazione particolarmente lento, o comunque non sincronizzato rispetto alle tendenze avviate dalla seconda transizione demografica nei principali paesi europei e, più in generale, occidentali (Mauceri e Valentini, 2010). Il conservatorismo, laddove si imponga a livello istituzionale, attiva un dispositivo di potere che pone in an-tagonismo e in un rapporto di mutua esclusività vecchi e nuovi modelli idealtipici di famiglia, negando la varietà dei modi compossibili di declinare il legame di amore tra persone che convivono sotto uno stesso tetto. All’interno di questo orizzonte di senso, all’insegna della tradizione, le costruzioni sovraordinate che legittimano la negazione dei diritti pro-Lgbt ignorano l’evoluzione della società e dei costumi. A questo proposito, Lingiardi richiama la necessità di “aprirsi a una trasformazione antropologica” che sciolga un nodo che è simbolico, prima ancora che legislativo (2007, p. 9). In questa direzione, occorre ripensare il quadro della giurisprudenza italiana, decostruendo il modello idealtipico di famiglia patriarcale che di fatto presuppone, oltre a un appiattimento sulla sola dimensione sessuale della vita affettiva di una coppia costituita da soggetti dello stesso sesso, anche una visione poco conforme a quei mutamenti che, richiamandoci ad autorevoli sociologi come Bauman (2000; tr. it., 2003) e Beck (1986, tr. it., 2000), hanno individualizzato i corsi di vita, aumentando le chance di autodeterminazione dei cittadini. A seguito di una serie di querelle pubbliche che hanno investito anche i vertici del mondo ecclesiale, oltre che una eclissi pluriennale di qualsiasi altro tentativo in questa direzione, la proposta dei disegni di legge per il riconoscimento delle coppie di fatto (cfr. par. 9.5) ha di fatto sollecitato quella che Durkheim (1912; tr. it., 2005) avrebbe definito effervescenza collettiva. In occasione della proposta del 2008 del D.d.l. sui DiCo (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi), questa effervescenza si è manifestata nel momento in cui sono scesi nella stessa piazza romana, a distanza di pochi giorni, i manifestanti del mondo Lgbt – o che comunque sposavano la loro causa – e la flotta compatta di soggetti conservatori del Family Day, che – anche laddove non avessero mai preso parte a una manifestazione pubblica – reclamavano a gran voce il proprio diritto a non essere defraudati del loro bene più prezioso: la famiglia, per come Dio l’aveva creata e voluta dai tempi di Adamo e Eva. D’altra parte, l’ostracismo sociale – come quello istituzionale – rispetto alla parità dei diritti può esprimere molta violenza simbolica, anche laddove sia svolto in forme apparentemente pacifiche. Se l’integralismo non ammette repliche, è forse superfluo per chi è meno dogmatico evidenziare che in tal modo si sovverte totalmente il significato che è proprio del diritto tutelato, vale a dire garantire anche alle persone omosessuali la libertà di transitare e con-vivere nei vari spazi sociali, senza rischiare di essere stigmatizzati o aggrediti.
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