La ricerca su materiali è all’origine della commercializzazione di una moltitudine di prodotti nuovi che vengono immessi sul mercato a ritmi serrati, tanto che spesso è difficile orientarsi nelle scelte in una offerta così vasta e variegata. Spesso si tratta di vere innovazioni che consentono la realizzazione di prodotti, componenti, semilavorati sempre più performanti, sia sotto il profilo prestazionale che compositivo. Sta ovviamente alla capacità progettuale, all’esperienza, alla sensibilità dei progettisti sfruttare questo “campionario del possibile” per la costruzione di buone architetture. L’innovazione, infatti, può portare a reali miglioramenti, a grandi risparmi – si pensi a quelli in campo energetico – ma può causare anche molti problemi se il controllo tecnico viene meno. Nuovi materiali, nuove tecnologie vanno impiegate con piena consapevolezza. Un settore dove la ricerca è molto spinta è quello dei materiali polimerici, in molti casi nati per usi diversi e impiegati poi anche in edilizia, dove generalmente le plastiche sono usate in gran quantità ma prevalentemente con funzioni di servizio, dalle tubature, ai pannelli isolanti alle guaine. E’ solo di recente che sono sempre più spesso “esibite”: pannelli polimerici di rivestimento lasciati a vista, lastre trasparenti, tessuti... Materiali che non imitano, come avveniva in passato, altri materiali più “nobili”, ma che si affermano proprio per una loro forte connotazione estetica oltre che per le prestazioni offerte. Parlando di sperimentazione con materiali plastici non si può non citare Gaetano Pesce, per quella attitudine verso il nuovo che gli è propria e che caratterizza i suoi lavori non solo nel campo del design, ma anche dell’architettura. In particolare di quell’architettura di piccole dimensioni a cavallo tra due discipline che hanno ormai confini così labili che sempre sovente sembrano confondersi. Già alcuni anni fa Pesce provò ad usare materiali polimerici diversi per costruire, impiegandoli in parte anche con funzioni strutturali, in particolare nella sua casa di Bahia. Sua non solo come progettazione, ma anche come proprietà, racconta infatti che non trovando committenti disposti a finanziarlo decise di costruirla per se. Ciò gli ha consentito – grazie anche alle normative poco restrittive di quel Paese - di sperimentare a tutto campo, e di “rischiare” accettando anche le conseguenze negative, come nel caso di un muro di gomma che una notte rovinò al suolo, e del quale conserva i pezzi per controllarne l’invecchiamento ma che, a suo dire, resistono in condizioni ottime. La sua ultima realizzazione – il Pink Pavilion - è stata inaugurata qualche mese fa alla Triennale Bovisa di Milano nel solco di quella gloriosa tradizione di sperimentazione sull’habitat condotta della Triennale, che ebbe inizio nel 1930 con la Casa Eclettica di Figini e Pollini. Di colore rosa shocking, il paramento esterno irregolare caratterizzato da avvallamenti e sporgenze, con alla sommità alberi di ulivo che sembrano gli strani capelli di questa fiabesca costruzione dalla consistenza apparente di meringa. L’aspetto giocoso ben si adatta alla sua destinazione d’uso: una ludoteca. Dietro alla sua realizzazione c’è una ricerca condotta dal progettista di concerto con la Bayer Material Science AG che sta lavorando alla formulazione di un materiale polimerico ad alta densità, nella prospettiva di poterlo rendere autoportante. Ciò potrebbe rivelarsi molto interessante per molteplici impieghi, ma soprattutto per le prospettive che si avrebbero nell’ambito della costruzione di abitazioni di emergenza: leggere, economiche e realizzabili in tempi rapidi. Il Pink Pavilion permetterà anche di controllare dal vero, e non con test di invecchiamento forzato in laboratorio come comunemente avviene, la resistenza all’invecchiamento del materiale. Un problema che affligge molti polimeri. Si tratta di un poliuretano posato mediante un sistema di schiumatura spray - da qui l’aspetto “arioso” di meringa che caratterizza l’edificio – la cui densità e reattività sono state adattate alle esigenze del progettista, secondo l’ormai diffuso principio di realizzazione di materiali ad hoc, per soddisfare singole esigenze. Una specie di rivoluzione copernicana in conseguenza della quale non è il progettista che modella il suo progetto sulle caratteristiche prestazionali dei materiali, ma viceversa: si parte dalle prestazioni che si vogliono ottenere e si realizza il materiale. Il poliuretano usato in questo padiglione costituisce un caso emblematico di materiale “tailor made”, fatto su misura, per uno specifico progetto. Il poliuretano, infatti, può avere, come la maggior parte dei materiali polimerici, caratteristiche molto diverse secondo le specifiche formulazioni e gli additivi che vi si aggiungono: può presentarsi rigido e resistente, come quando si utilizza per i paraurti, o soffice e leggero come quando è impiegato per la realizzazione di imbottiti. In realtà l’idea di spruzzare il poliuretano per realizzare scocche rigide non è nuova, tra gli altri il designer tedesco Jerszy Seymour ha costruito micro architetture chiamate “House in a box” utilizzando questa tecnologia. La cassaforma sulla quale spruzzare la schiuma poliuretanica è realizzata con una membrana gonfiabile che funge da supporto, necessario fino a quando la schiuma non si è solidificata. Si realizzano in questo modo artigianalmente veri e propri igloo – perfettamente resistenti alle escursioni termiche dato l’alto potere isolante del poliuretano - ai quali applicare poi porte e finestre. Architettura “spruzzata”, dunque, tra provocazione e sperimentazione, ma che potrebbe aprire nuove possibilità per le costruzioni temporanee.

"Frontiere dell'hi-tech l'architettura 'spruzzata" / Cecchini, Cecilia. - In: EDILIZIA E TERRITORIO. - ISSN 1590-6078. - STAMPA. - 23:(2008), pp. 11-11.

"Frontiere dell'hi-tech l'architettura 'spruzzata"

CECCHINI, Cecilia
2008

Abstract

La ricerca su materiali è all’origine della commercializzazione di una moltitudine di prodotti nuovi che vengono immessi sul mercato a ritmi serrati, tanto che spesso è difficile orientarsi nelle scelte in una offerta così vasta e variegata. Spesso si tratta di vere innovazioni che consentono la realizzazione di prodotti, componenti, semilavorati sempre più performanti, sia sotto il profilo prestazionale che compositivo. Sta ovviamente alla capacità progettuale, all’esperienza, alla sensibilità dei progettisti sfruttare questo “campionario del possibile” per la costruzione di buone architetture. L’innovazione, infatti, può portare a reali miglioramenti, a grandi risparmi – si pensi a quelli in campo energetico – ma può causare anche molti problemi se il controllo tecnico viene meno. Nuovi materiali, nuove tecnologie vanno impiegate con piena consapevolezza. Un settore dove la ricerca è molto spinta è quello dei materiali polimerici, in molti casi nati per usi diversi e impiegati poi anche in edilizia, dove generalmente le plastiche sono usate in gran quantità ma prevalentemente con funzioni di servizio, dalle tubature, ai pannelli isolanti alle guaine. E’ solo di recente che sono sempre più spesso “esibite”: pannelli polimerici di rivestimento lasciati a vista, lastre trasparenti, tessuti... Materiali che non imitano, come avveniva in passato, altri materiali più “nobili”, ma che si affermano proprio per una loro forte connotazione estetica oltre che per le prestazioni offerte. Parlando di sperimentazione con materiali plastici non si può non citare Gaetano Pesce, per quella attitudine verso il nuovo che gli è propria e che caratterizza i suoi lavori non solo nel campo del design, ma anche dell’architettura. In particolare di quell’architettura di piccole dimensioni a cavallo tra due discipline che hanno ormai confini così labili che sempre sovente sembrano confondersi. Già alcuni anni fa Pesce provò ad usare materiali polimerici diversi per costruire, impiegandoli in parte anche con funzioni strutturali, in particolare nella sua casa di Bahia. Sua non solo come progettazione, ma anche come proprietà, racconta infatti che non trovando committenti disposti a finanziarlo decise di costruirla per se. Ciò gli ha consentito – grazie anche alle normative poco restrittive di quel Paese - di sperimentare a tutto campo, e di “rischiare” accettando anche le conseguenze negative, come nel caso di un muro di gomma che una notte rovinò al suolo, e del quale conserva i pezzi per controllarne l’invecchiamento ma che, a suo dire, resistono in condizioni ottime. La sua ultima realizzazione – il Pink Pavilion - è stata inaugurata qualche mese fa alla Triennale Bovisa di Milano nel solco di quella gloriosa tradizione di sperimentazione sull’habitat condotta della Triennale, che ebbe inizio nel 1930 con la Casa Eclettica di Figini e Pollini. Di colore rosa shocking, il paramento esterno irregolare caratterizzato da avvallamenti e sporgenze, con alla sommità alberi di ulivo che sembrano gli strani capelli di questa fiabesca costruzione dalla consistenza apparente di meringa. L’aspetto giocoso ben si adatta alla sua destinazione d’uso: una ludoteca. Dietro alla sua realizzazione c’è una ricerca condotta dal progettista di concerto con la Bayer Material Science AG che sta lavorando alla formulazione di un materiale polimerico ad alta densità, nella prospettiva di poterlo rendere autoportante. Ciò potrebbe rivelarsi molto interessante per molteplici impieghi, ma soprattutto per le prospettive che si avrebbero nell’ambito della costruzione di abitazioni di emergenza: leggere, economiche e realizzabili in tempi rapidi. Il Pink Pavilion permetterà anche di controllare dal vero, e non con test di invecchiamento forzato in laboratorio come comunemente avviene, la resistenza all’invecchiamento del materiale. Un problema che affligge molti polimeri. Si tratta di un poliuretano posato mediante un sistema di schiumatura spray - da qui l’aspetto “arioso” di meringa che caratterizza l’edificio – la cui densità e reattività sono state adattate alle esigenze del progettista, secondo l’ormai diffuso principio di realizzazione di materiali ad hoc, per soddisfare singole esigenze. Una specie di rivoluzione copernicana in conseguenza della quale non è il progettista che modella il suo progetto sulle caratteristiche prestazionali dei materiali, ma viceversa: si parte dalle prestazioni che si vogliono ottenere e si realizza il materiale. Il poliuretano usato in questo padiglione costituisce un caso emblematico di materiale “tailor made”, fatto su misura, per uno specifico progetto. Il poliuretano, infatti, può avere, come la maggior parte dei materiali polimerici, caratteristiche molto diverse secondo le specifiche formulazioni e gli additivi che vi si aggiungono: può presentarsi rigido e resistente, come quando si utilizza per i paraurti, o soffice e leggero come quando è impiegato per la realizzazione di imbottiti. In realtà l’idea di spruzzare il poliuretano per realizzare scocche rigide non è nuova, tra gli altri il designer tedesco Jerszy Seymour ha costruito micro architetture chiamate “House in a box” utilizzando questa tecnologia. La cassaforma sulla quale spruzzare la schiuma poliuretanica è realizzata con una membrana gonfiabile che funge da supporto, necessario fino a quando la schiuma non si è solidificata. Si realizzano in questo modo artigianalmente veri e propri igloo – perfettamente resistenti alle escursioni termiche dato l’alto potere isolante del poliuretano - ai quali applicare poi porte e finestre. Architettura “spruzzata”, dunque, tra provocazione e sperimentazione, ma che potrebbe aprire nuove possibilità per le costruzioni temporanee.
2008
Microarchitetture; innovazione nell'uso dei materiali; nuove tecnologie
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
"Frontiere dell'hi-tech l'architettura 'spruzzata" / Cecchini, Cecilia. - In: EDILIZIA E TERRITORIO. - ISSN 1590-6078. - STAMPA. - 23:(2008), pp. 11-11.
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