Pietra fusa», è forse questa la definizione che meglio sintetizza le possibilità prestazionali proprie del cemento armato, un materiale che fin dalla sua scoperta ha reso possibili ardite sperimentazioni tecnico-formali: dai ponti di Robert Maillart ai gusci sottili di Felix Candela alle strutture di Riccardo Morandi fino alle opere recenti di Tadao Ando, Alvaro Siza, Richard Meier, Zaha Hadid, Santiago Calatrava, solo per citare alcuni tra i grandi architetti contemporanei che, in maniera diversa, hanno sfruttato in modo poetico le possibilità strutturali e formali che questo materiale offre. Come diceva Pier Luigi Nervi – che ha portato l’impiego del cemento armato ai livelli più alti – «il fatto di poter creare pietre fuse, di qualunque forma, superiori alle naturali perché capaci di resistere a tensione, ha in sé qualcosa di magico». Certamente la possibilità di dare continuità alle strutture orizzontali e verticali attraverso forme fluide e monolitiche ha rivoluzionato i modi di costruire. E se la rapidità di posa e l’economicità del materiale ha permesso la realizzazione di un numero spropositato di anonimi edifici con ossatura portante a telaio – specchio della banalizzazione di questo sistema costruttivo – ha altresì consentito l’edificazione di opere memorabili, forme scultoree vibranti nella loro plasticità che raccontano gli sforzi della materia. Oggi la ricerca architettonica legata all’uso del cemento armato da una parte è orientata verso la leggerezza, cioè verso l’affrancamento dal peso di un materiale che nasce pesante: gusci, vele, «tende», elementi sottili per grandi luci realizzabili con il calcestruzzo ad alte prestazioni e l’impiego della precompressione, in grado di aumentare notevolmente le performances strutturali. Dall’altro la ricerca verte proprio sulla pesantezza, soprattutto per motivi legati alla sostenibilità, al fine di sfruttare i vantaggi della massa termica del calcestruzzo, in particolare i suoi effetti positivi sulla riduzione dei consumi energetici. L’elevata coibenza e la capacità di immagazzinare calore del calcestruzzo, garantiscono infatti una «stabilità termica» in grado di ridurre in maniera significativa le oscillazioni della temperatura interna degli edifici. Impiegato con elevati spessori o in blocchi leggeri areati, questo materiale è ottimo per configurare sistemi passivi capaci di limitare notevolmente la necessità di riscaldamento invernale e di raffrescamento estivo. Ciò a patto che gli edifici siano attentamente progettati – sfruttando al meglio le potenzialità dell’inerzia termica e tenendone conto nel calcolo del rendimento energetico dell’edificio – e intelligentemente gestiti. In particolare governando i flussi energetici con un’accorta ventilazione a seconda delle diverse ore del giorno e in relazione alle condizioni climatiche esterne. Ma anche per quel che riguarda la produzione del calcestruzzo, a seguito di una forte domanda di miglioramento e diversificazione dei prodotti proveniente dal mercato, si è avuta negli anni più recenti una sorta di razionalizzazione dell’intero comparto produttivo. Un comparto caratterizzato da una forte frammentazione (cementerie, cave, betonaggio, produttori di additivi e di attrezzature per i getti) tradizionalmente non all’avanguardia. Tale spinta sta avendo riflessi sia sul versante dei processi di produzione che dei prodotti. Numerosi studi sono volti a soddisfare la domanda di maggior affidabilità e durabilità nel tempo del conglomerato cementizio armato – un tema particolarmente sentito visto il precario stato di conservazione di molti manufatti realizzati in periodi relativamente recenti – attraverso la messa a punto di malte di riparazione ad altissime prestazioni, e, in generale, di materiali più affidabili, controllati, più facilmente «gettabili », come ad esempio i calcestruzzi autocompattanti in grado di costiparsi con la sola forza di gravità. O anche agendo sugli elementi che influenzano maggiormente i processi di degrado, come la porosità interconnessa e la resistenza ad agenti aggressivi. Ma è dalla ricerca di nuovi prodotti che nascono dall’unione del calcestruzzo con altri materiali, che vengono le maggiori sorprese, come nel caso dei frammenti di vetro o di polimeri sintetici trattati con pigmenti fotoluminescenti che al buio diventano luminosi. O come i pannelli di calcestruzzo che reagiscono all’acqua facendo apparire, come per incanto, un pattern decorativo precedentemente impresso. Insomma, sembra che anche per il calcestruzzo sia venuta l’era del «materiale progettato», capace di stupire non solo per le sue innate capacità prestazionali legate alla resistenza.
Versatilità hi-tech esaltata dai progettisti / Cecchini, Cecilia. - In: EDILIZIA E TERRITORIO. - ISSN 1590-6078. - STAMPA. - 45:(2008), pp. 7-7.
Versatilità hi-tech esaltata dai progettisti
CECCHINI, Cecilia
2008
Abstract
Pietra fusa», è forse questa la definizione che meglio sintetizza le possibilità prestazionali proprie del cemento armato, un materiale che fin dalla sua scoperta ha reso possibili ardite sperimentazioni tecnico-formali: dai ponti di Robert Maillart ai gusci sottili di Felix Candela alle strutture di Riccardo Morandi fino alle opere recenti di Tadao Ando, Alvaro Siza, Richard Meier, Zaha Hadid, Santiago Calatrava, solo per citare alcuni tra i grandi architetti contemporanei che, in maniera diversa, hanno sfruttato in modo poetico le possibilità strutturali e formali che questo materiale offre. Come diceva Pier Luigi Nervi – che ha portato l’impiego del cemento armato ai livelli più alti – «il fatto di poter creare pietre fuse, di qualunque forma, superiori alle naturali perché capaci di resistere a tensione, ha in sé qualcosa di magico». Certamente la possibilità di dare continuità alle strutture orizzontali e verticali attraverso forme fluide e monolitiche ha rivoluzionato i modi di costruire. E se la rapidità di posa e l’economicità del materiale ha permesso la realizzazione di un numero spropositato di anonimi edifici con ossatura portante a telaio – specchio della banalizzazione di questo sistema costruttivo – ha altresì consentito l’edificazione di opere memorabili, forme scultoree vibranti nella loro plasticità che raccontano gli sforzi della materia. Oggi la ricerca architettonica legata all’uso del cemento armato da una parte è orientata verso la leggerezza, cioè verso l’affrancamento dal peso di un materiale che nasce pesante: gusci, vele, «tende», elementi sottili per grandi luci realizzabili con il calcestruzzo ad alte prestazioni e l’impiego della precompressione, in grado di aumentare notevolmente le performances strutturali. Dall’altro la ricerca verte proprio sulla pesantezza, soprattutto per motivi legati alla sostenibilità, al fine di sfruttare i vantaggi della massa termica del calcestruzzo, in particolare i suoi effetti positivi sulla riduzione dei consumi energetici. L’elevata coibenza e la capacità di immagazzinare calore del calcestruzzo, garantiscono infatti una «stabilità termica» in grado di ridurre in maniera significativa le oscillazioni della temperatura interna degli edifici. Impiegato con elevati spessori o in blocchi leggeri areati, questo materiale è ottimo per configurare sistemi passivi capaci di limitare notevolmente la necessità di riscaldamento invernale e di raffrescamento estivo. Ciò a patto che gli edifici siano attentamente progettati – sfruttando al meglio le potenzialità dell’inerzia termica e tenendone conto nel calcolo del rendimento energetico dell’edificio – e intelligentemente gestiti. In particolare governando i flussi energetici con un’accorta ventilazione a seconda delle diverse ore del giorno e in relazione alle condizioni climatiche esterne. Ma anche per quel che riguarda la produzione del calcestruzzo, a seguito di una forte domanda di miglioramento e diversificazione dei prodotti proveniente dal mercato, si è avuta negli anni più recenti una sorta di razionalizzazione dell’intero comparto produttivo. Un comparto caratterizzato da una forte frammentazione (cementerie, cave, betonaggio, produttori di additivi e di attrezzature per i getti) tradizionalmente non all’avanguardia. Tale spinta sta avendo riflessi sia sul versante dei processi di produzione che dei prodotti. Numerosi studi sono volti a soddisfare la domanda di maggior affidabilità e durabilità nel tempo del conglomerato cementizio armato – un tema particolarmente sentito visto il precario stato di conservazione di molti manufatti realizzati in periodi relativamente recenti – attraverso la messa a punto di malte di riparazione ad altissime prestazioni, e, in generale, di materiali più affidabili, controllati, più facilmente «gettabili », come ad esempio i calcestruzzi autocompattanti in grado di costiparsi con la sola forza di gravità. O anche agendo sugli elementi che influenzano maggiormente i processi di degrado, come la porosità interconnessa e la resistenza ad agenti aggressivi. Ma è dalla ricerca di nuovi prodotti che nascono dall’unione del calcestruzzo con altri materiali, che vengono le maggiori sorprese, come nel caso dei frammenti di vetro o di polimeri sintetici trattati con pigmenti fotoluminescenti che al buio diventano luminosi. O come i pannelli di calcestruzzo che reagiscono all’acqua facendo apparire, come per incanto, un pattern decorativo precedentemente impresso. Insomma, sembra che anche per il calcestruzzo sia venuta l’era del «materiale progettato», capace di stupire non solo per le sue innate capacità prestazionali legate alla resistenza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


