Un possibile tentativo di definizione di “arredo urbano” oscilla fra due estremi: quello che lo riduce a semplici questioni di redesign degli oggetti d’uso pubblico sparsi nella città, e quello che lo estende alla complessa problematica della struttura ambientale, coinvolgendo in pieno l’architettura e ancor più la microurbanistica, da arredo ad ambiente » (G.A. Bernasconi). Già quaranta anni fa su Casabella veniva messa in luce l’ambiguità del termine arredo urbano e il suo prestarsi a interpretazioni di minima o di massima. Oggi appare chiaro come l’“arredo urbano” faccia parte, e di conseguenza vada pensato, non come insieme di elementi a se stanti – dieci panchine, cinque fioriere, venti cestini da collocare – ma all’interno di un’ottica più generale, quella dell’allestimento urbano; cioè del disegno degli spazi aperti della città intesi come insieme di luoghi di sosta, di transito, di scambio, di interazione, di svago, di contemplazione, di relax. In sintesi dei luoghi per la socialità, funzionali alla condivisione e alla vita collettiva. Quello che oggi viene spesso semplicisticamente indicato come outdoor design deve necessariamente far parte di un progetto più ampio, che si colloca in un territorio di confine tra architettura, design, comunicazione, arti visive. Strutture temporanee per la sosta, illuminazione, cartellonistica, contenitori per rifiuti, fioriere... tutti elementi – in molti casi di buon design e ottima fattura – che nella maggior parte delle città sembrano essere affastellati, sovrapposti senza criterio. Una casualità che genera una sorta di inquinamento visivo nei centri storici così come nelle periferie. Il buon design degli elementi, infatti, non è da solo garanzia di buona qualità complessiva degli spazi. Non si tratta di aspirare a un’improponibile sintesi unitaria rigidamente progettata, quanto piuttosto di evitare che gli oggetto di “arredo”, declinando ciascuno il proprio assolo, creino una sorta di disordine generalizzato. Un disordine che nulla ha in comune con la spontaneità e l’imprevedibilità che è data, invece, dalla libera fruizione degli spazi, cioè dall’uso che ne fanno i cittadini. È inoltre necessaria la massima attenzione, da parte di chi progetta gli interventi, di una rigorosa appropriatezza tecnologica, legata al contesto dove tali elementi vanno posti. Troppo spesso panchine di lamiera sono posizionate, nelle assolate cittadine del meridione, in pieno sole con il risultato di diventare roventi, dunque inutili. Così come risulta inspiegabile, per rimanere nell’ambito delle sedute, la loro collocazione ai bordi di vie di grande traffico o nei crocevia, luoghi che di certo non invitano alla sosta; o il posizionamento di lampioni all’interno di chiome di alberi che non verranno mai potati... L’altra non marginale questione che attinente questo tema è il fattore tempo, che è una variabile strettamente connessa alla progettazione, prima ancora che alla gestione e alla manutenzione. Qualsiasi intervento urbano, infatti, non può essere valutato al “tempo zero”, ma nell’arco della sua vita utile, o almeno per un arco temporale ragionevole. Se non si vuole che gli interventi risultino estremamente fotogenici al momento dell’inaugurazione, ma del tutto inadatti a reggere l’urto dell’uso quotidiano, degli atti vandalici, degli agenti atmosferici, della patina dello smog, del passare degli anni. Ciò ha dirette ricadute progettuali a ogni livello, dagli impianti complessivi dei progetti allo studio dei dettagli, alla scelta degli elementi di arredo. Raffinati dettagli costruttivi perfetti per un giardino privato possono essere del tutto inadatti a un parco pubblico; la snellezza di un palo porta cestino dei rifiuti può conferirgli notevole bellezza, ma può al tempo stesso funzionare da incentivo per gli atti vandalici; la leggerezza di talune panchine mal si adatta all’uso spesso sconsiderato che ne viene fatto. In attesa di maggior rispetto per il bene comune è necessario attrezzarsi, per realizzare interventi il più possibili duraturi. Una filosofia questa che può creare anche un circolo virtuoso, infatti le indagini sui danneggiamenti della cosa pubblica sono concordi nell’evidenziare come gli atti vandalici siano nella maggior parte dei casi compiuti su oggetti già in parte danneggiati. Più le cose sono in “ordine”, più vi rimarranno. Dunque è di fondamentale importanza una progettazione «maintenance oriented » e la programmazione di interventi di manutenzione periodica: così come nessun albero appena piantato resiste un’intera estate senza essere innaffiato, anche uno spazio costruito non può reggere l’urto del tempo senza cure. E, viste le generali ristrettezze economiche delle amministrazioni, minori sono le possibilità di effettuare regolari operazioni manutentive, tanto maggiore deve essere l’attenzione alla durata in fase di progettazione e di scelta degli elementi di arredo. Un buon progetto al tempo zero non è detto lo sia anche dopo 5-10 anni, tempi ragionevoli per valutare la qualità di un intervento.

Ma l’oggetto di design non garantisce qualità / Cecchini, Cecilia. - In: EDILIZIA E TERRITORIO. - ISSN 1590-6078. - STAMPA. - 40:(2008), pp. 7-7.

Ma l’oggetto di design non garantisce qualità

CECCHINI, Cecilia
2008

Abstract

Un possibile tentativo di definizione di “arredo urbano” oscilla fra due estremi: quello che lo riduce a semplici questioni di redesign degli oggetti d’uso pubblico sparsi nella città, e quello che lo estende alla complessa problematica della struttura ambientale, coinvolgendo in pieno l’architettura e ancor più la microurbanistica, da arredo ad ambiente » (G.A. Bernasconi). Già quaranta anni fa su Casabella veniva messa in luce l’ambiguità del termine arredo urbano e il suo prestarsi a interpretazioni di minima o di massima. Oggi appare chiaro come l’“arredo urbano” faccia parte, e di conseguenza vada pensato, non come insieme di elementi a se stanti – dieci panchine, cinque fioriere, venti cestini da collocare – ma all’interno di un’ottica più generale, quella dell’allestimento urbano; cioè del disegno degli spazi aperti della città intesi come insieme di luoghi di sosta, di transito, di scambio, di interazione, di svago, di contemplazione, di relax. In sintesi dei luoghi per la socialità, funzionali alla condivisione e alla vita collettiva. Quello che oggi viene spesso semplicisticamente indicato come outdoor design deve necessariamente far parte di un progetto più ampio, che si colloca in un territorio di confine tra architettura, design, comunicazione, arti visive. Strutture temporanee per la sosta, illuminazione, cartellonistica, contenitori per rifiuti, fioriere... tutti elementi – in molti casi di buon design e ottima fattura – che nella maggior parte delle città sembrano essere affastellati, sovrapposti senza criterio. Una casualità che genera una sorta di inquinamento visivo nei centri storici così come nelle periferie. Il buon design degli elementi, infatti, non è da solo garanzia di buona qualità complessiva degli spazi. Non si tratta di aspirare a un’improponibile sintesi unitaria rigidamente progettata, quanto piuttosto di evitare che gli oggetto di “arredo”, declinando ciascuno il proprio assolo, creino una sorta di disordine generalizzato. Un disordine che nulla ha in comune con la spontaneità e l’imprevedibilità che è data, invece, dalla libera fruizione degli spazi, cioè dall’uso che ne fanno i cittadini. È inoltre necessaria la massima attenzione, da parte di chi progetta gli interventi, di una rigorosa appropriatezza tecnologica, legata al contesto dove tali elementi vanno posti. Troppo spesso panchine di lamiera sono posizionate, nelle assolate cittadine del meridione, in pieno sole con il risultato di diventare roventi, dunque inutili. Così come risulta inspiegabile, per rimanere nell’ambito delle sedute, la loro collocazione ai bordi di vie di grande traffico o nei crocevia, luoghi che di certo non invitano alla sosta; o il posizionamento di lampioni all’interno di chiome di alberi che non verranno mai potati... L’altra non marginale questione che attinente questo tema è il fattore tempo, che è una variabile strettamente connessa alla progettazione, prima ancora che alla gestione e alla manutenzione. Qualsiasi intervento urbano, infatti, non può essere valutato al “tempo zero”, ma nell’arco della sua vita utile, o almeno per un arco temporale ragionevole. Se non si vuole che gli interventi risultino estremamente fotogenici al momento dell’inaugurazione, ma del tutto inadatti a reggere l’urto dell’uso quotidiano, degli atti vandalici, degli agenti atmosferici, della patina dello smog, del passare degli anni. Ciò ha dirette ricadute progettuali a ogni livello, dagli impianti complessivi dei progetti allo studio dei dettagli, alla scelta degli elementi di arredo. Raffinati dettagli costruttivi perfetti per un giardino privato possono essere del tutto inadatti a un parco pubblico; la snellezza di un palo porta cestino dei rifiuti può conferirgli notevole bellezza, ma può al tempo stesso funzionare da incentivo per gli atti vandalici; la leggerezza di talune panchine mal si adatta all’uso spesso sconsiderato che ne viene fatto. In attesa di maggior rispetto per il bene comune è necessario attrezzarsi, per realizzare interventi il più possibili duraturi. Una filosofia questa che può creare anche un circolo virtuoso, infatti le indagini sui danneggiamenti della cosa pubblica sono concordi nell’evidenziare come gli atti vandalici siano nella maggior parte dei casi compiuti su oggetti già in parte danneggiati. Più le cose sono in “ordine”, più vi rimarranno. Dunque è di fondamentale importanza una progettazione «maintenance oriented » e la programmazione di interventi di manutenzione periodica: così come nessun albero appena piantato resiste un’intera estate senza essere innaffiato, anche uno spazio costruito non può reggere l’urto del tempo senza cure. E, viste le generali ristrettezze economiche delle amministrazioni, minori sono le possibilità di effettuare regolari operazioni manutentive, tanto maggiore deve essere l’attenzione alla durata in fase di progettazione e di scelta degli elementi di arredo. Un buon progetto al tempo zero non è detto lo sia anche dopo 5-10 anni, tempi ragionevoli per valutare la qualità di un intervento.
2008
Appropriatezza tecnologica e allestimento urbano; outdoor design; design e luoghi della socialità urbana
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Ma l’oggetto di design non garantisce qualità / Cecchini, Cecilia. - In: EDILIZIA E TERRITORIO. - ISSN 1590-6078. - STAMPA. - 40:(2008), pp. 7-7.
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