Da sempre l’uomo ha voluto governare la luce, un lungo cammino – costellato di intuizioni, ricerche, scoperte – che dal fuoco delle caverne arriva ai Led dei nostri giorni. Nella storia dell’illuminazione artificiale lo stoppino fu una invenzione rivoluzionaria, dalle conseguenze paragonabili a quelle della ruota. Alla fine del Settecento alla luce generata da fiaccole, candele e lampade a olio, si affiancò quella prodotta dall’invenzione di Amie Argand: una lampada con lo stoppino tubolare cavo che consentiva la regolazione della fiamma per mezzo del suo allungamento e della sua riduzione e l’eliminazione del fumo, grazie a un maggior apporto di aria. Più tardi fu scoperta la lampada a gas, ma il vero salto tecnologico avvenne nel 1879 grazie alla geniale invenzione della lampada a incandescenza a opera di Edison, quel fragile filamento di carbone racchiuso fra due poli in un’ampolla di vetro era destinato a mutare profondamente usi e costumi dell’uomo. Da allora è stato un susseguirsi di miglioramenti legati a questa sorgente luminosa – dalla spiralizzazione, al filamento di tungsteno, all’introduzione di gas inerti nel bulbo – e alla comparsa sul mercato di sorgenti differenti come le alogene, le lampade a vapori di sodio a bassa e ad alta pressione, ai vapori di mercurio, le lampade fluorescenti, quelle ad alogenuri metallici, al sodio ad alta pressione e luce bianca, quelle basate sul principio dell’induzione elettromagnetica. E poi Led («Light emitting diode»), fibre ottiche (in vetro o plastica) pannelli flessibili luminosi Lec («Light emitting capacitor») con i quali rivestire le superfici, pellicole prismatiche superiflettenti capaci di trasportare la luce. Un universo vastissimo con prodotti dalle caratteristiche prestazionali differenti, che è necessario conoscere per realizzare progetti illuminotecnici rispondenti non solo alle esigenze funzionali, ma anche capaci di suscitare emozioni; di rendere gli spazi urbani fruibili anche di notte, esaltando e valorizzando le loro qualità semantiche. La luce, infatti, è un materiale architettonico e, come tale, va trattato, sfruttando le sue mille possibilità funzionali ed espressive: mostrare, sottolineare, guidare, orientare, occultare, ordinare, stupire, ombreggiare, svelare, colorare. E questo vale sia per gli spazi chiusi che per quelli aperti. Il contrario dell’illuminazione piatta e monotona basata sul principio «più s’illumina, meglio», che sembra caratterizzare non poche aree urbane. Una illuminazione incapace di esaltare l’identità dei luoghi e, spesso, neanche di migliorare la loro sicurezza, a fronte di grandi impieghi di energia. Ancora oggi, in spregio alle normative vigenti, vediamo viali punteggiati da lampioni che «sparano» buona parte della luce verso l’alto disperdendola inutilmente nel cielo, dilapidando inutilmente corrente elettrica, ma anche contribuendo all’inquinamento luminoso caratteristico delle aree densamente abitate, come dimostrano le impressionanti immagini della terra rimandate dai satelliti, e come rilevato nell’appello inviato all’Unesco dagli astrofisici dei cinque continenti per salvare l’integrità del cielo notturno, chiedendo di dichiararlo patrimonio dell’umanità (www.cielobuio.org). Il problema dell’illuminazione urbana non è installare tout court più luci in nome della sicurezza dei cittadini – magari in aree stracariche di insegne abbaglianti – ma illuminare meglio, evitando così di contribuire all’omogeneizzazione luminosa, che sembra sempre più spesso accomunare centri storici e nuove periferie urbane. E tenendo conto anche del risparmio energetico, che non è sinonimo di oscurità, ma di uso razionale delle risorse, oggi facilmente ottenibile grazie alla sostituzione delle lampade a bassa efficienza e alto inquinamento ambientale con altre di più alta efficienza ma di minor potenza; all’adozione di livelli d’illuminazione appropriati per le diverse destinazioni degli spazi (transito carrabile o pedonale, sosta, emergenza monumentale, sito archeologico, parco pubblico, giardino, area residenziale); all’installazione di sistemi di stabilizzazione e regolazione della tensione e della corrente e di riduzione del flusso; all’applicazione di buoni piani di gestione e manutenzione, anche in grado di monitorare le performance degli impianti e l’efficienza del servizio fornito dal gestore. Da non sottovalutare, ad esempio, la pulizia periodica dei corpi illuminanti, in assenza della quale, specie in zone a forte inquinamento, l’intensità luminosa risulta drasticamente diminuita, o l’importanza dell’adozione di cicli di accensione, riduzione di intensità e spegnimento in base alle effettive necessità dei luoghi durante le fasi notturne. Uno strumento di pianificazione che – se non considerato riduttivamente come l’ennesimo adempimento burocratico – può essere importante per i comuni, è il Piano urbano della luce. Una occasione, partendo dalla «fotografia » dello stato di fatto dell’illuminazione, di progettare e gestire in modo consapevole e unitario, non come spesso avviene sotto la spinta di contingenze varie, i nuovi interventi e di riqualificare, ove necessario, gli impianti esistenti anche sotto il profilo energetico. E aderendo, magari, anche all’European GreenLight Programme (www.eu-greenlight.org www.enel.it/enelsole/). Gli obiettivi generali del piano sono (legge Regione Lombardia 38/2004): la limitazione dell’inquinamento luminoso e ottico; l’economia di gestione degli impianti attraverso la razionalizzazione dei costi di esercizio e di manutenzione, anche con il ricorso a energia autoctona da fonti rinnovabili; il risparmio energetico mediante l’impiego di apparecchi e lampade ad alta efficienza, tali da favorire minori potenze installate per chilometro ed elevati interassi tra i singoli punti luce e di dispositivi di controllo e regolazione del flusso luminoso; la sicurezza delle persone e dei veicoli mediante una corretta e razionale illuminazione e la prevenzione dei fenomeni di abbagliamento visivo; una migliore fruizione dei centri urbani e dei luoghi esterni di aggregazione, dei beni ambientali, monumentali e architettonici; la realizzazione di linee di alimentazione dedicate. La redazione di tali piani deve essere affidata a professionisti preparati, dotati di professionalità specifiche nel campo dell’illuminotecnica, capaci di gestire le interrelazioni tra architettura, luce e natura. L’illuminazione artificiale è talmente diffusa da essere scontata, oggi illuminare è semplice, data la varietà degli apparecchi illuminanti e la capillarità della rete di distribuzione, ma illuminare correttamente dal punto di vista sia funzionale che artisticoemozionale, sfruttando appieno le valenze del «materiale immateriale» per eccellenza non è banale. Al contrario è materia molto complessa, che richiede competenze relative alla fisica, all’ottica, ai meccanismi della percezione, alla teoria dei colori, all’architettura, alla tecnologia dei materiali. E un capillare aggiornamento tecnico, dati i continui nuovi prodotti immessi sul mercato, in grado di distribuire, direzionare, guidare, colorare la luce. Apparecchi che oltre ad avere le più varie forme e dimensioni, hanno temperatura colore, indice di resa cromatica, spettro di emissione, flussi luminosi, efficienza, durata, condizioni operative e manutentive tra loro molto diverse.
Soluzioni iper-efficienti ma "snobbate" dalle PA / Cecchini, Cecilia. - In: EDILIZIA E TERRITORIO. - ISSN 1590-6078. - STAMPA. - 22:(2007), pp. 11-11.
Soluzioni iper-efficienti ma "snobbate" dalle PA
CECCHINI, Cecilia
2007
Abstract
Da sempre l’uomo ha voluto governare la luce, un lungo cammino – costellato di intuizioni, ricerche, scoperte – che dal fuoco delle caverne arriva ai Led dei nostri giorni. Nella storia dell’illuminazione artificiale lo stoppino fu una invenzione rivoluzionaria, dalle conseguenze paragonabili a quelle della ruota. Alla fine del Settecento alla luce generata da fiaccole, candele e lampade a olio, si affiancò quella prodotta dall’invenzione di Amie Argand: una lampada con lo stoppino tubolare cavo che consentiva la regolazione della fiamma per mezzo del suo allungamento e della sua riduzione e l’eliminazione del fumo, grazie a un maggior apporto di aria. Più tardi fu scoperta la lampada a gas, ma il vero salto tecnologico avvenne nel 1879 grazie alla geniale invenzione della lampada a incandescenza a opera di Edison, quel fragile filamento di carbone racchiuso fra due poli in un’ampolla di vetro era destinato a mutare profondamente usi e costumi dell’uomo. Da allora è stato un susseguirsi di miglioramenti legati a questa sorgente luminosa – dalla spiralizzazione, al filamento di tungsteno, all’introduzione di gas inerti nel bulbo – e alla comparsa sul mercato di sorgenti differenti come le alogene, le lampade a vapori di sodio a bassa e ad alta pressione, ai vapori di mercurio, le lampade fluorescenti, quelle ad alogenuri metallici, al sodio ad alta pressione e luce bianca, quelle basate sul principio dell’induzione elettromagnetica. E poi Led («Light emitting diode»), fibre ottiche (in vetro o plastica) pannelli flessibili luminosi Lec («Light emitting capacitor») con i quali rivestire le superfici, pellicole prismatiche superiflettenti capaci di trasportare la luce. Un universo vastissimo con prodotti dalle caratteristiche prestazionali differenti, che è necessario conoscere per realizzare progetti illuminotecnici rispondenti non solo alle esigenze funzionali, ma anche capaci di suscitare emozioni; di rendere gli spazi urbani fruibili anche di notte, esaltando e valorizzando le loro qualità semantiche. La luce, infatti, è un materiale architettonico e, come tale, va trattato, sfruttando le sue mille possibilità funzionali ed espressive: mostrare, sottolineare, guidare, orientare, occultare, ordinare, stupire, ombreggiare, svelare, colorare. E questo vale sia per gli spazi chiusi che per quelli aperti. Il contrario dell’illuminazione piatta e monotona basata sul principio «più s’illumina, meglio», che sembra caratterizzare non poche aree urbane. Una illuminazione incapace di esaltare l’identità dei luoghi e, spesso, neanche di migliorare la loro sicurezza, a fronte di grandi impieghi di energia. Ancora oggi, in spregio alle normative vigenti, vediamo viali punteggiati da lampioni che «sparano» buona parte della luce verso l’alto disperdendola inutilmente nel cielo, dilapidando inutilmente corrente elettrica, ma anche contribuendo all’inquinamento luminoso caratteristico delle aree densamente abitate, come dimostrano le impressionanti immagini della terra rimandate dai satelliti, e come rilevato nell’appello inviato all’Unesco dagli astrofisici dei cinque continenti per salvare l’integrità del cielo notturno, chiedendo di dichiararlo patrimonio dell’umanità (www.cielobuio.org). Il problema dell’illuminazione urbana non è installare tout court più luci in nome della sicurezza dei cittadini – magari in aree stracariche di insegne abbaglianti – ma illuminare meglio, evitando così di contribuire all’omogeneizzazione luminosa, che sembra sempre più spesso accomunare centri storici e nuove periferie urbane. E tenendo conto anche del risparmio energetico, che non è sinonimo di oscurità, ma di uso razionale delle risorse, oggi facilmente ottenibile grazie alla sostituzione delle lampade a bassa efficienza e alto inquinamento ambientale con altre di più alta efficienza ma di minor potenza; all’adozione di livelli d’illuminazione appropriati per le diverse destinazioni degli spazi (transito carrabile o pedonale, sosta, emergenza monumentale, sito archeologico, parco pubblico, giardino, area residenziale); all’installazione di sistemi di stabilizzazione e regolazione della tensione e della corrente e di riduzione del flusso; all’applicazione di buoni piani di gestione e manutenzione, anche in grado di monitorare le performance degli impianti e l’efficienza del servizio fornito dal gestore. Da non sottovalutare, ad esempio, la pulizia periodica dei corpi illuminanti, in assenza della quale, specie in zone a forte inquinamento, l’intensità luminosa risulta drasticamente diminuita, o l’importanza dell’adozione di cicli di accensione, riduzione di intensità e spegnimento in base alle effettive necessità dei luoghi durante le fasi notturne. Uno strumento di pianificazione che – se non considerato riduttivamente come l’ennesimo adempimento burocratico – può essere importante per i comuni, è il Piano urbano della luce. Una occasione, partendo dalla «fotografia » dello stato di fatto dell’illuminazione, di progettare e gestire in modo consapevole e unitario, non come spesso avviene sotto la spinta di contingenze varie, i nuovi interventi e di riqualificare, ove necessario, gli impianti esistenti anche sotto il profilo energetico. E aderendo, magari, anche all’European GreenLight Programme (www.eu-greenlight.org www.enel.it/enelsole/). Gli obiettivi generali del piano sono (legge Regione Lombardia 38/2004): la limitazione dell’inquinamento luminoso e ottico; l’economia di gestione degli impianti attraverso la razionalizzazione dei costi di esercizio e di manutenzione, anche con il ricorso a energia autoctona da fonti rinnovabili; il risparmio energetico mediante l’impiego di apparecchi e lampade ad alta efficienza, tali da favorire minori potenze installate per chilometro ed elevati interassi tra i singoli punti luce e di dispositivi di controllo e regolazione del flusso luminoso; la sicurezza delle persone e dei veicoli mediante una corretta e razionale illuminazione e la prevenzione dei fenomeni di abbagliamento visivo; una migliore fruizione dei centri urbani e dei luoghi esterni di aggregazione, dei beni ambientali, monumentali e architettonici; la realizzazione di linee di alimentazione dedicate. La redazione di tali piani deve essere affidata a professionisti preparati, dotati di professionalità specifiche nel campo dell’illuminotecnica, capaci di gestire le interrelazioni tra architettura, luce e natura. L’illuminazione artificiale è talmente diffusa da essere scontata, oggi illuminare è semplice, data la varietà degli apparecchi illuminanti e la capillarità della rete di distribuzione, ma illuminare correttamente dal punto di vista sia funzionale che artisticoemozionale, sfruttando appieno le valenze del «materiale immateriale» per eccellenza non è banale. Al contrario è materia molto complessa, che richiede competenze relative alla fisica, all’ottica, ai meccanismi della percezione, alla teoria dei colori, all’architettura, alla tecnologia dei materiali. E un capillare aggiornamento tecnico, dati i continui nuovi prodotti immessi sul mercato, in grado di distribuire, direzionare, guidare, colorare la luce. Apparecchi che oltre ad avere le più varie forme e dimensioni, hanno temperatura colore, indice di resa cromatica, spettro di emissione, flussi luminosi, efficienza, durata, condizioni operative e manutentive tra loro molto diverse.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


