The last decades have been dominated by the growing of the presence of the intangible in conservation. Such sort of ‘presence’ has characterized the definition of the objects of the conservation (material goods and not material activities), as clarified by many international Charters, the tools used and the same aims of the preservation. This important intangible presence defines some shifts of sense in the theory of conservation, because the treatment of material and of activities involves really different tasks. We must carefully consider the ‘contamination’ of the sense of reality that the improving of technologies creates, especially with the virtual reconstruction and the creation of data-bases. We also need to clarify the role of the not material approaches to conservation, that we can recognize in activities such as enhancement, managing and ‘participation’ in the restoration. A reference to the contemporary philosophical debate, about postmodernism and ‘new realism’ can help us to understand the importance of the reflection about the subject and the object of conservation. With this reflection we must be encouraged not to forget the central role of the direct knowledge of the architecture has in conservation.

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati dal progressivo avanzamento dell’immateriale nella cultura del restauro. L’ingresso dell’‘immateriale’ nella riflessione conservativa risale alla Carta di Burra (1979) e rispondeva alla necessità di rispecchiare sensibilità extraeuropee nella protezione del patrimonio, rifletteva posizioni diverse nei confronti del concetto di autenticità dei beni da salvaguardare, tentava di definire una sintesi fra una tradizione consolidata e saldamente ancorata sul valore centrale dell’architettura e della materia e le esigenze di mondi che vedevano nella tradizione – gestuale, rituale, narrativa – il fulcro della propria identità culturale. Parallelamente, lo sviluppo della tecnologia e, in particolare, dell’informatica, ha incrementato l’attenzione nei confronti degli aspetti immateriali della conservazione anche nei paesi occidentali. Catalogazione, valorizzazione, gestione del patrimonio, da processi asserviti alle logiche ‘alte’ del restauro e della conservazione sono diventate in tal modo branche sviluppate e autonome di applicazione e sviluppo, finendo per esercitare forme di condizionamento significative nei confronti delle stesse operazioni conservative. L’opera di catalogazione, definita da lessici, strutture schedografiche, cartografie geografiche e tematiche, possibilità d’interazione fra dati di natura diversa, può aiutare alla definizione di nuovi e inediti nessi interpretativi di natura storiografica, evidenziare criticità comuni sul piano conservativo, definire le priorità d’intervento, orientare addirittura, in alcuni casi, le scelte operative. La valorizzazione condiziona già in più modi l’intervento di restauro: costringendo, ad esempio, all’adozione di presidi per il controllo del microclima in ambienti sollecitati dalla presenza di numerosi visitatori o condizionando le scelte integrative di superfici e volumi architettonici. In quest’ultimo caso, infatti, si registra la possibilità di svincolare la soluzione dei problemi di completamento strutturale e materico dal trattamento degli aspetti percettivi ed estetici, risolvendo questi ultimi con la possibilità di effettuare simulazioni e riducendo le integrazioni materiali a supporti neutri e semplici piani di proiezione. La gestione, infine, riconduce la questione della cura dell’esistente dal livello della comprensione e della lettura critica dell’architettura a quello della definizione e del controllo delle attività che si devono svolgere per garantire la persistenza, in tempo ‘di pace’ e nell’‘emergenza’, delle architetture storiche, aprendo a questioni d’integrazione sistemica delle branche disciplinari, di programmazione economica e d’interazione politica e sociale con il bene. Narrazione da una parte e potenziamento dell’approccio informativo dall’altra hanno in altri termini acquistato una rilevanza tale da finire per ‘erodere’ l’identità del restauro, sempre più sospinto a divenire, da intervento configurato sulla base delle logiche interne dell’architettura, a processo interattivo complesso, da operazione orientata da un approccio culturale ma concretamente esercitata sulla materia, a insieme di attività diverse e in diversa misura collegate con gli aspetti immateriali veicolati dall’architettura. Se, da una parte, appare naturalmente impossibile non apprezzare le grandi potenzialità che le innovazioni tecnologiche hanno offerto anche nel campo del restauro e l’incremento d’interesse nei confronti dell’architettura storica registrato in contesti geografici sempre più ampi, rimane comunque difficile ignorare quanto questi due fenomeni siano condizionati da una cultura di natura essenzialmente decostruttivista. Quest’ultima ha privilegiato in tutti i campi l’approfondimento dell’ermeneutica rispetto alla riflessione sulla sostanza, lo sviluppo di lessici e sistemi interpretativi autonomi rispetto all’oggetto, l’esercizio sull’immateriale invece che sulla materia. Il recente successo, in ambito filosofico, della corrente del ‘nuovo realismo’, veicolata dal pensiero di Maurizio Ferraris e dalle efficaci incursioni di Umberto Eco, consente oggi di recuperare una riflessione che tenga conto dell’‘inemendabile’ che contrassegna la nostra realtà, anche quella legata al mondo delle architetture storiche e del loro restauro. Sempre che si chiarisca quale sia la posizione assegnata all’architettura storica in questa proposta di visione del mondo, ovvero se essa sia da porsi esclusivamente nell’ambito, ancora di natura ermeneutica, del processo soggettivo di attribuzione di valore e reinterpretativo, o se debba piuttosto collocarsi come ‘inemendabile’ presenza materiale, sempre fruibile sulla base della nostra capacità di comprensione ma in qualche misura resistente, con l’evidenza della sua specifica concretezza fisica segnata dalle vicende del tempo, alla nostra possibilità/legittimità di manipolazione. Passaggio questo non ancora affrontato dalla riflessione filosofica in questa chiave, ma fondamentale per un aggiornamento teoretico del restauro. Ciò non modifica, naturalmente, lo spazio acquisito dalla narrazione e dalla nuova tecnologia informatica, ma ne riconfigura in buona misura il ruolo, circoscrivendone la portata al campo delle attività – fondamentali ma comunque ancora accessorie – legate al restauro e riducendo i rischi connessi ad uno sproporzionato sviluppo di strumentazioni sofisticate eterodirette, non sufficientemente vagliate nell’ottica materiale concreta della salvaguardia dell’architettura storica. Un mondo di data-base e d’interpretazioni virtuali non potrà restituirci la ricchezza perduta, ad esempio, con i crolli di Pompei, ma anche per l’incuria e l’indifferenza per tanti centri storici in abbandono, per azioni svolte sul patrimonio in maniera meccanica e non filtrata da una conoscenza diretta e strutturata (ma anche per la libera interpretazione creativa condotta in nome della legittimità di ogni possibile interpretazione umana e della possibilità di mantenere comunque ‘memoria’ dello stato quo-ante). Questo, naturalmente è ben noto a coloro che si occupano stabilmente di tutela, ma rischia di risultare meno evidente a molti operatori e fruitori del bene man mano che cresce la potenzialità dei nostri strumenti di comunicazione, di raccolta e d’interazione dei dati. Per tale ragione, il restauro deve conoscere a fondo gli sviluppi di questo settore, governarli e poterli ricondurre – in forma teoretica ma anche con verifiche concrete e applicative – al cuore profondo della disciplina.

Materiale/immateriale. Frontiere del restauro / Fiorani, Donatella. - In: MATERIALI E STRUTTURE. - ISSN 1121-2373. - II, 5-6 (2014)(2015), pp. 9-23.

Materiale/immateriale. Frontiere del restauro

FIORANI, Donatella
2015

Abstract

The last decades have been dominated by the growing of the presence of the intangible in conservation. Such sort of ‘presence’ has characterized the definition of the objects of the conservation (material goods and not material activities), as clarified by many international Charters, the tools used and the same aims of the preservation. This important intangible presence defines some shifts of sense in the theory of conservation, because the treatment of material and of activities involves really different tasks. We must carefully consider the ‘contamination’ of the sense of reality that the improving of technologies creates, especially with the virtual reconstruction and the creation of data-bases. We also need to clarify the role of the not material approaches to conservation, that we can recognize in activities such as enhancement, managing and ‘participation’ in the restoration. A reference to the contemporary philosophical debate, about postmodernism and ‘new realism’ can help us to understand the importance of the reflection about the subject and the object of conservation. With this reflection we must be encouraged not to forget the central role of the direct knowledge of the architecture has in conservation.
2015
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati dal progressivo avanzamento dell’immateriale nella cultura del restauro. L’ingresso dell’‘immateriale’ nella riflessione conservativa risale alla Carta di Burra (1979) e rispondeva alla necessità di rispecchiare sensibilità extraeuropee nella protezione del patrimonio, rifletteva posizioni diverse nei confronti del concetto di autenticità dei beni da salvaguardare, tentava di definire una sintesi fra una tradizione consolidata e saldamente ancorata sul valore centrale dell’architettura e della materia e le esigenze di mondi che vedevano nella tradizione – gestuale, rituale, narrativa – il fulcro della propria identità culturale. Parallelamente, lo sviluppo della tecnologia e, in particolare, dell’informatica, ha incrementato l’attenzione nei confronti degli aspetti immateriali della conservazione anche nei paesi occidentali. Catalogazione, valorizzazione, gestione del patrimonio, da processi asserviti alle logiche ‘alte’ del restauro e della conservazione sono diventate in tal modo branche sviluppate e autonome di applicazione e sviluppo, finendo per esercitare forme di condizionamento significative nei confronti delle stesse operazioni conservative. L’opera di catalogazione, definita da lessici, strutture schedografiche, cartografie geografiche e tematiche, possibilità d’interazione fra dati di natura diversa, può aiutare alla definizione di nuovi e inediti nessi interpretativi di natura storiografica, evidenziare criticità comuni sul piano conservativo, definire le priorità d’intervento, orientare addirittura, in alcuni casi, le scelte operative. La valorizzazione condiziona già in più modi l’intervento di restauro: costringendo, ad esempio, all’adozione di presidi per il controllo del microclima in ambienti sollecitati dalla presenza di numerosi visitatori o condizionando le scelte integrative di superfici e volumi architettonici. In quest’ultimo caso, infatti, si registra la possibilità di svincolare la soluzione dei problemi di completamento strutturale e materico dal trattamento degli aspetti percettivi ed estetici, risolvendo questi ultimi con la possibilità di effettuare simulazioni e riducendo le integrazioni materiali a supporti neutri e semplici piani di proiezione. La gestione, infine, riconduce la questione della cura dell’esistente dal livello della comprensione e della lettura critica dell’architettura a quello della definizione e del controllo delle attività che si devono svolgere per garantire la persistenza, in tempo ‘di pace’ e nell’‘emergenza’, delle architetture storiche, aprendo a questioni d’integrazione sistemica delle branche disciplinari, di programmazione economica e d’interazione politica e sociale con il bene. Narrazione da una parte e potenziamento dell’approccio informativo dall’altra hanno in altri termini acquistato una rilevanza tale da finire per ‘erodere’ l’identità del restauro, sempre più sospinto a divenire, da intervento configurato sulla base delle logiche interne dell’architettura, a processo interattivo complesso, da operazione orientata da un approccio culturale ma concretamente esercitata sulla materia, a insieme di attività diverse e in diversa misura collegate con gli aspetti immateriali veicolati dall’architettura. Se, da una parte, appare naturalmente impossibile non apprezzare le grandi potenzialità che le innovazioni tecnologiche hanno offerto anche nel campo del restauro e l’incremento d’interesse nei confronti dell’architettura storica registrato in contesti geografici sempre più ampi, rimane comunque difficile ignorare quanto questi due fenomeni siano condizionati da una cultura di natura essenzialmente decostruttivista. Quest’ultima ha privilegiato in tutti i campi l’approfondimento dell’ermeneutica rispetto alla riflessione sulla sostanza, lo sviluppo di lessici e sistemi interpretativi autonomi rispetto all’oggetto, l’esercizio sull’immateriale invece che sulla materia. Il recente successo, in ambito filosofico, della corrente del ‘nuovo realismo’, veicolata dal pensiero di Maurizio Ferraris e dalle efficaci incursioni di Umberto Eco, consente oggi di recuperare una riflessione che tenga conto dell’‘inemendabile’ che contrassegna la nostra realtà, anche quella legata al mondo delle architetture storiche e del loro restauro. Sempre che si chiarisca quale sia la posizione assegnata all’architettura storica in questa proposta di visione del mondo, ovvero se essa sia da porsi esclusivamente nell’ambito, ancora di natura ermeneutica, del processo soggettivo di attribuzione di valore e reinterpretativo, o se debba piuttosto collocarsi come ‘inemendabile’ presenza materiale, sempre fruibile sulla base della nostra capacità di comprensione ma in qualche misura resistente, con l’evidenza della sua specifica concretezza fisica segnata dalle vicende del tempo, alla nostra possibilità/legittimità di manipolazione. Passaggio questo non ancora affrontato dalla riflessione filosofica in questa chiave, ma fondamentale per un aggiornamento teoretico del restauro. Ciò non modifica, naturalmente, lo spazio acquisito dalla narrazione e dalla nuova tecnologia informatica, ma ne riconfigura in buona misura il ruolo, circoscrivendone la portata al campo delle attività – fondamentali ma comunque ancora accessorie – legate al restauro e riducendo i rischi connessi ad uno sproporzionato sviluppo di strumentazioni sofisticate eterodirette, non sufficientemente vagliate nell’ottica materiale concreta della salvaguardia dell’architettura storica. Un mondo di data-base e d’interpretazioni virtuali non potrà restituirci la ricchezza perduta, ad esempio, con i crolli di Pompei, ma anche per l’incuria e l’indifferenza per tanti centri storici in abbandono, per azioni svolte sul patrimonio in maniera meccanica e non filtrata da una conoscenza diretta e strutturata (ma anche per la libera interpretazione creativa condotta in nome della legittimità di ogni possibile interpretazione umana e della possibilità di mantenere comunque ‘memoria’ dello stato quo-ante). Questo, naturalmente è ben noto a coloro che si occupano stabilmente di tutela, ma rischia di risultare meno evidente a molti operatori e fruitori del bene man mano che cresce la potenzialità dei nostri strumenti di comunicazione, di raccolta e d’interazione dei dati. Per tale ragione, il restauro deve conoscere a fondo gli sviluppi di questo settore, governarli e poterli ricondurre – in forma teoretica ma anche con verifiche concrete e applicative – al cuore profondo della disciplina.
tangible/intangible; materiale/immateriale; metodo del restauro
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Materiale/immateriale. Frontiere del restauro / Fiorani, Donatella. - In: MATERIALI E STRUTTURE. - ISSN 1121-2373. - II, 5-6 (2014)(2015), pp. 9-23.
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